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Gli auguri si fanno a persone conosciute; a quelle sconosciute ma note perché artisti, si può offrire un pensiero, un omaggio affettuoso. Anche se questo omaggio non arriverà mai nelle mani del “festeggiato”.
La canzone qui sopra, una delle tante affascinanti, racchiude in sé sia il tema del disagio esistenziale, la perdita di alcune certezze e dell’innocenza di una generazione (“Ma le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno urla più forte/ son caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte”) che, anche nella pacifica Bologna, si avviava a vivere gli anni di piombo. E fa tenerezza ascoltare l’autore che canta “Io ora mi alzo tardi tutti i giorni, tiro sempre a far mattino” oppure “ma non ho scuse da portare, non dico più d’essere poeta,/ non ho utopie da realizzare: stare a letto il giorno dopo è forse l’unica mia meta” oppure: "non passo notti disperate/su qyel che ho fatto o quel che ho avuto,/ le cose andate sono andate e ho come unico rimorso/le occasioni che ho perduto".
Chissà se Guccini, all’alba degli anni ’70, era veramente così dimesso, così angosciato, così tanto “francese” e così poco “americano”, dylaniano, come alla fine degli anni ’60.
Ma questa canzone, e l’album che la contiene (Stanze di vita quotidiana, 1974), secondo me sono importanti per altri due motivi. Il primo, facile da esporre, è che, da quel momento in poi, Guccini apparirà tutt’altro che dimesso e rinunciatario. Il secondo, invece, è gustoso. Quel disco, che Guccini afferma di aver “odiato” perché fu lunghissimo da registrare a causa dei dissidi con il suo produttore d’allora, venne recensito da un giovane critico musicale, Riccardo Bertoncelli. Bertoncelli criticava il tono dimesso delle canzoni, la tendenza rinunciataria, la volontà di chiudersi dentro il piccolo mondo antico delle osterie bolognesi; poi criticava gli arrangiamenti confusi e chiassosi dell’album (e aveva ragione!), mentre concludeva con un’ingenerosa critica a Guccini, definito ormai un autore che non ha più niente da dire e che pubblica dischi solo per vendere. I due poi si conobbero e diventarono quasi amici, appianando il dissidio, anche se nel 1976, nella celebre Avvelenata, Guccini dice che, alla fine, ci sarà sempre “un Bertoncelli a sparare cazzate”. E Bertoncelli, forse, lo ringrazia ancora di questa notorietà.
In effetti Canzone delle osterie di fuoriporta è molto più bella quando è eseguita dal vivo, perché nell’album aveva una struttura musicale un po’ caotica. L’album, tanto vituperato, contiene però un’altra perla di Guccini, Canzone per Piero, che è una nobile volgarizzazione del Dialogo tra Plotino e Porfirio di Leopardi (autore citato peraltro nella canzone).
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