Gianluca Chierici, Hanno amore , Perdisa, 2010
di Lorenzo Chiuchiù
Cosa accadrebbe se Diana, Grande Madre della luce riflessa, tornasse nei sogni di un bambino? Cosa se il sogno, lungi dall’essere solo una fantasmagoria dell’inconscio, fosse l’“altro stato” (E. T. A. Hoffmann) nel quale la cosiddetta realtà comincia a mostrare la sua illusorietà, la sua dipendenza da potenze notturne? È questo il cuore del romanzo breve di Gianluca Chierici.
Il romanzo non è tanto la descrizione di un percorso (che avrebbe in sé il suo valore pedagogico, coscienziale o, anche peggio, favolistico), ma è semmai una raccolta di sequenze mimetiche. Mimetiche di stazioni iniziatiche: il sogno del protagonista segue un sonno letargico (sonno che, dallo sciamanesimo fino ai sonni nelle silve medievali e rinascimentali, arriva alle foreste lisergiche di Hofmann); la foresta è qui propriamente la silvae che riproduce una zona neutra dove tutto diventa altro da sé e così trova se stesso come perennemente segnato dall’alterità (nel romanzo sono evidenti il perdersi per ritrovarsi, il morire per nascere, l’uccidere nell’altro se stessi); si susseguono le metamorfosi (bambino/adulto, corpo/fantasma) nella ricerca di una verità che inevitabilmente cambia con la metamorfosi; è evidente una specie di noluntas che decostentualizza la realtà e la sottrae alla dittatura della funzione, ovvero alla banalità monodimensionale dell’impoetico: emblematica la scena, spiazzante, delle sedie appese al muro, che testimonia di uno sguardo sottomesso alla visione, esposto all’irrompere dell’inimmaginabile.
Se le stazioni iniziatiche sono sotto il segno perturbante di Diana, tuttavia la dea che anima queste pagine è una specie di Artemide caduta nei labrinti dell’occultismo: il polso del protagonista è segnato da una cicatrice a forma di mezzaluna, come se il marchio del cielo dovesse precipitare nel sangue; la ruota della physis greca è diventata il cerchio che perimetra un sabba; la pura offerta del sacrificio greco si intorbida e diventa moderna, esige giustificazioni e si avvicina al crimine.
La scrittura di Chierici si fa carico di una tradizione che da Novalis arriva a Leśmian. Il «sogno logico» di Nerval, la sua allucinazione ferma, trova ovunque corrispondenze, significati, moniti; qualcosa di simile accade per l’innocenza irrimediabile del protagonista di Hanno amore:
«La notte era un grande teatro e il cielo, soffitto divino, confluiva nella luna, come una botola aperta sull’infinito attirava verso di sé l’attenzione di tutte le stelle, sì, era una botola di luce, la luna, e attraverso di essa saremmo entrati nell’eternità».