Magazine Diario personale

Hanno ucciso il Posto Fisso

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

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Hanno ucciso il Posto Fisso
Chi sia stato lo si sa
Forse quelli della mala, forse la criticità?
Hanno ucciso il tempo Indeterminato
Non si sa neanche il perché
Avrà fatto qualche sgarro a qualche industria di caffè.

E noi siamo qui riuniti miei cari amici a celebrare la vita, le eroiche gesta, e l’ignobile morte del Caro Estinto, il Posto Fisso, che a noi tutti mancherà. E molto.

Miseria e ignobiltà, anche l’ultimo esemplare della già rarissima specie contractus Tempora Indeterminata è stato sterminato senza rimpianti, fatto a pezzi (per scongiurarne il vampirico ritorno) e seppellito ai quattro angoli della terra. O almeno così sembra, visto che pur cercando e cercando, per un anno intero, di Contratti a Tempo Indeterminato (alias Posti Fissi) non se n’è visto neanche l’ombra. A livello di probabilità, sarebbe più facile trovare un unicorno, o forse il classico ago nel pagliaio.

O anche il cammello che passa dalla cruna di un ago.

C’è poco da ridere miei cari lettori, la realtà è molto molto triste già per una ragazza nel fiore degli anni, con la giusta esperienza e molta voglia di fare, e diventa a dir poco nauseante se ci spingiamo a considerare le possibilità di chi non è più nel fiore degli anni, o ha fatto sempre lo stesso, poco qualificante, lavoro per tutta la vita.

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Forse è a noi lavoratori cui le mamme e le nonne hanno insegnato, assieme alle buone maniere, la voglia di impegnarci (si, in un matrimonio finché morte non ci separi con la stessa azienda, ad esempio),che dovrebbero celebrare il funerale in pompa magna. Visto che ci siamo perse quello del Contratto a tempo  Indeterminato, direi che ci spetta di diritto: una raffica di colpi a salve, una bandiera mal ripiegata sul feretro dove il nostro corpo ormai consegnato alla rigidità di una disoccupazione che ci ha ammazzate senza pietà, riposerà in eterno.

E sulla nostra lapide dovrebbero scrivere, con caratteri di ottocentesca memoria: “consunta da anni di lavoro flessibile” oppure “devota figlia, saltuaria lavoratrice a progetto” oppure ancora “fervente frequentratice di luoghi di lavoro occasionali”. Amen.

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Si perché è questo l’unico panorama che offre il mercato, quando lo offre: un’insana teoria di contratti a progetto, di fidanzamenti brevi e rotture sui gradini dell’altare, di “vorrei ma non posso”, di consulenze e prestazioni occasionali.

E solo a sentire la parola “occasionali” mi vengono in mente le pubblicità degli anni ’80, che per “rapporti occasionali” consigliavano con perentoria voce, di usare il preservativo.

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Ora come ora vi consiglierei, per questi rapporti occasionali, di strafare anche con una bella mutanda di ghisa. Tanto più che le aziende di oggi si vedono “costrette” dalla legislazione e da tutta la teoria di nuovi emendamenti, corollari, teorizzazioni e messe in pratica del “vecchio nuovo governo”, ad utilizzare in maniera tassativa, i contratti di lavoro “flessibili” di cui parlavamo sopra. Piccole e medie imprese che vengono altamente sconsigliate dalle istituzioni, ad assumere a Tempo Indeterminato: adducendo la patetica scusa che “ormai non si usa più” (come se fosse passato di moda!) ed è “retaggio di un’italietta retrograda e poco comunitaria” o sostenendo che sia ormai meno conveniente “per entrambe le parti coinvolte”.

Ecco, io vorrei chiedere alla cara ministressa e a tutti quelli che hanno montato questa fregatura dei contratti flessibili, di parlare un po’ per loro, che a me mi conveniva il Tempo Indeterminato e ancora non so (o forse so fin troppo bene?) in base a quali calcoli hanno deciso che i contratti a progetto (perché ormai ogni lavoro si riduce in 3 – 6 mesi, no) o le prestazioni occasionali sono più convenienti per noi lavoratori, che li dobbiamo subire senza possibilità di appello. Come un ergastolo a rate.

Forse si sono basati sull’introito di almeno 3 cattedre e docenze familiari in atenei prestigiosi, più lo stipendio da parlamentare, più qualche altro “lavoretto occasionale”? Perché solo in questo modo si riuscirebbero a portare a casa sufficienti quattrini per sfamare il gatto. Non dico un cristiano: un gatto.

Un cristiano si ammazza prima, quando scopre che più del 40% di un introito (nel caso di una consulenza o una prestazione occasionale con partita Iva – e trova il coraggio di aprirla, di questi tempi!-) se ne va in tasse ed emolumenti allo Stato, o in aumento dei contributi all’Inps (nel caso di stipendio con contratto a progetto di varia, dubbia natura) per finanziare una pensione che non percepirà mai. Ma mai nella vita.

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Senza nemmeno cominciare a parlare di tasse e balzelli della vita quotidiana ormai applicati su tutto e in esponenziale aumento per % e assurdità (mi meraviglio che non abbiano pensato a una TARAir – non una compagnia aerea, ma una tassa sul consumo dell’aria).

E poi veniamo a far polemica sociale sui suicidi di imprenditori più o meno noti, e sulla mancanza di spiegazioni per tali disgraziati gesti. Ma quali alternative ci lascia questo mondo infame, se non forse emigrare (per chi ha i soldi per farlo) o morire?

Ps. Se volete un punto di vista ancora più realistico sulla fine che faremo tutti noi che ancora abbiamo “voglia” di sbatterci per trovare 100+1 lavori, vi consiglio di andare a leggervi i posti di “Piccole storie di Regolare precarietà”, un blog trovato per caso (e da cui confesso aver preso l’immagine satirica sul “posto fisso” – ma in cambio lo nomino con tutti gli allori perché mi ha davvero divertita!): http://precariestorie.blogspot.it/2012_02_01_archive.html

e…si. Ho aggiunto il tag: fregnacce. fatemi causa cari politici del lavoro.


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