Da sempre la musica rock è stata considerata la “musica del diavolo” per i suoi testi, per le sue note dure e per la vita sconnessa di quelli che il rock l’hanno fatto nascere, crescere, reso storico. Da Steven Tyler a Kurt Cobain, da Ozzy Osbourne a Tommy Lee, da Axl Rose a Jim Morrison, da Jimi Hendrix ad Angus Young, non c’è ne uno che non abbia avuto una vita segnata sì dal successo, ma anche dalle droghe e dall’alcool che inevitabilmente il successo porta. Ma “musica del diavolo” anche per l’influenza che questo genere di musica trasporta e indirizza ai giovani, di ogni –anta: in tutto il mondo ed ogni 2 -3 anni, si accusa il rock di “deviare le fragili menti dei nostri figli”, di “spingerli a desiderare una vita dedita all’ozio perenne, all’alcool, alle droghe” eccetera. Il buon vecchio (e sempreverde) detto “sesso, droga e rock’n’roll”, insomma. Ma finché i giochi si limitavano a questo, e cioè a qualche genitore adirato e a qualche figlio che marinava la scuola per andare al bar con gli amici, si poteva – socialmente parlando – contenere la situazione.
Brian Hugh Warner, in arte Marilyn Manson
Ma è dagli anni novanta che le cose si sono fatte un po’ più serie e pesanti. Con l’avvento del trash, black, death ed industrial metal (tutti generi nati a cavallo della fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90) si è passati dall’alcool e le droghe agli omicidi a matrice satanica, durante i quali venivano idolatrati – oltre al già citato Anticristo – personaggi molto più terreni come Marilyn Manson. Notizie come questa hanno fatto più e più volte il giro del mondo, con la conseguente sollevazione popolare di molte comunità verso la suddetta rockstar od altre del genere. Come dimenticare il massacro della Columbine School (a cui il regista Michael Moore ha dedicato uno dei suoi film) in cui i responsabili si erano proclamati, tra gli altri, grandi fan del Reverendo (pseudonimo di Manson)? O come dimenticare tutti gli omicidi satanici durante i quali venivano ascoltati brani death metal a caso? O come dimenticare il famosissimo caso di Varg Vikernes, leader dei Burzum, condannato per omicidio volontario e per 3 incendi ad altrettante chiese? Satanismo a parte, si accusava questo tipo di musica non solo di deviare le menti dei giovani, ma anche di spingerli a fare azioni orribili verso il prossimo. L’ultima notizia che lega la musica metal alla violenza è di appena un paio di mesi fa, e succede di poco a quella dell’anno precedente, circa nello stesso periodo: arresti per tentato – o avvenuto – omicidio, che non fanno altro che alimentare le voci che vogliono la musica metal (e chi lo suona o chi lo ascolta) legata a filo doppio con la violenza verso gli altri.
Tim Lambesis PRIMA del suo arresto
Ma è davvero così? Hanno ragione tutti quei protestanti che accusano le star dell’heavy metal di essere i responsabili? Di deviare le menti dei giovani? Di spingerli a uccidere, sacrificare, compiere stragi? Ebbene, dal mio punto di vista la risposta è no. È non è perché sono un addetto ai lavori o comunque fan della maggior parte degli “assassini” o “devianti” citati. È un discorso di logica. La musica è arte. Qualunque tipo di musica è arte. Se qualunque tipo di film horror, thriller, guerra è considerato un prodotto cinematografico, allora è arte. E allora qualunque tipo di musica – dalla lirica, al pop, alla discomusic, al rock e al metal più spinto – è arte. Arte oscura, arte nera, arte deviata. Ma comunque arte. E l’arte non si può reprimere, è una materia talmente soggettiva che non esiste arte buona e cattiva. Esiste solo arte. Nessuno, quando uscì la prima de L’esorcista, andò in giro a uccidere le persone affermando di essere posseduto. Nessuno, quando Freddy Krueger terrorizzava gli adolescenti dell’epoca, andò per le strade ad emularlo. E lo stesso vale per la letteratura. Penso subito ai personaggi di Stephen King: nessuno, appena usciti i libri, andò ad emularne i protagonisti. O meglio, qualcuno può averlo fatto, ma non si può condannare l’autore del libro o il regista del film per aver scritto o diretto quel tale prodotto d’arte. Così come non si possono condannare i cantanti metal. Non ha senso. I registi, romanzieri, musicisti esprimono loro stessi attraverso i propri film, libri o canzoni. Esprimono ciò che è dentro di loro, le loro opinioni, idee, desideri. I loro, non quelli altrui. Se due ragazzi fan di Marilyn Manson si imbottiscono di armi e vanno a fare una strage a scuola, non sono stati spinti a farlo dalla musica, sono pazzi e basta. E ai pazzi non si dovrebbe vietare di ascoltare musica, si dovrebbe fare in modo che non possano procurarsi armi così facilmente. Si potrebbe a questo punto obiettare: alcuni di questi “artisti” sono stati condannati! È agli atti! Certamente sì, non lo nego. Ma Tim Lambesis, cantante metal, non ha tentato di uccidere la moglie “perché il metal è la musica di Satana e bisogna sacrificare donne indifese in onore dell’Angelo nero”, ma per motivi molto più pratici quanto noiosi: troppi steroidi, amante, matrimonio finito, separazione, rischio di perdita della potestà sui figli. Motivi banali, quotidiani, già sentiti. Certo, la soluzione da lui adottata non era la più indicata, ma molti altri, ci scommetto, l’hanno già adottata in passato e l’adotteranno in futuro, e magari in casa hanno la collezione dei dischi della Rettore. E si potrebbe andare avanti, per ogni singolo caso che coinvolge heavy metal e violenza.
Sempre nel film di Moore Bowling a Columbine, un giovane militante della destra di Denver recita un monologo in cui esprime il suo collegamento tra Manson e la recente strage e la loro conseguente protesta. Le sue parole sono illogiche quanto incredibilmente stupide: “Qualcuno ci chiede se crediamo che tutti quelli che domani sera andranno ad ascoltare Manson, usciranno e andranno a commettere atti di violenza. La risposta è no! Tutti quelli che vedono la pubblicità della Lexus vanno a comprarsi una Lexus? No, ma alcuni sì!” Questo “alcuni sì” è imbarazzante. Secondo il suo – il loro, perché la gente che lo stava ad ascoltare applaudiva – ragionamento, se molti ascoltano o vedono qualcosa, allora alcuni faranno qualcos’altro. Dire che è un concetto banale è dire poco. È ovvio ai limiti del ridicolo. Può anche succedere che uno uccida il suo vicino solo perché ha sentito della strage di Erba, oppure può accadere che una mamma ammazzi il figlioletto perché ha letto sul giornale della Franzoni. Tutti no, ma alcuni sì! La facilità con cui questo giovane generalizza un discorso così delicato è irritante. Una strage così grave resa superficiale da un paragone del genere. Può anche succedere che ad ascoltare Manson possa essere il giovane chirurgo che il giorno dopo al lavoro salva cinque vite umane, oppure che chi veda la pubblicità della Lexus opti per una bicicletta. E allora cosa facciamo? Accusiamo Manson? Lodiamo Manson? Vietiamo le Lexus? Un capro espiatorio bello e buono, quando la faccenda è molto più profonda: invece di perdere tempo a scagliarsi addosso al primo cantante truccato e vestito di nero che passa in circolazione bisognerebbe chiedersi cosa abbia portato quei due giovani ragazzi a commettere una strage così grande, una violenza così efferata; bisognerebbe chiedersi se i loro genitori non sospettassero di nulla, se prima di quel maledetto giorno i due assassini abbiano dato qualche cenno che possa aver fatto insospettire i familiari; bisognerebbe chiedersi come abbiano trovato con così tanta facilità un arsenale del genere. Domande molto più difficili e inquietanti, sì. Molto meglio dare addosso a Manson e, già che ci siamo, a tutta la sua categoria.Non è colpa di un qualsiasi prodotto artistico se c’è la violenza al mondo. La colpa è della violenza insita nell’uomo stesso. C’è chi la sfoga con la musica, chi scrivendo, chi tirando calci a un pallone, chi a fare a pugni su un ring. E c’è chi la sfoga uccidendo uno, due, dieci, cento persone innocenti.
Se dovessimo vietare tutti i prodotti d’arte che contengono violenza, non rimarrebbe molta cultura nel mondo. E dovremmo partire dai primi prodotti, dai primi libri.
Se non sbaglio, la Bibbia non è proprio una commedia…
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