Velletri, oggi
Ancora quella maledetta musica! Era tornato, come ogni settimana. Supponeva fosse trascorsa proprio una settimana dall’ultima volta che era venuto a trovarla, ma non poteva saperlo con certezza. Nessuno le diceva niente, lì, e lei non mai domandava nulla. Le bastava starsene rannicchiata sotto le coperte e dormire. Avrebbe voluto dormire per sempre. E invece quell’uomo non la lasciava in pace.Entrava, salutava cortesemente, sistemava il giradischi in un angolo e dopo aver armeggiato un po’, iniziava la musica. Una musica orribile, che lei non voleva sentire. Ma non voleva nemmeno parlargli. Perciò restava in silenzio, si faceva più piccola tra le ruvide lenzuola d’ospedale, tirava la coperta infeltrita fin sulla fronte e si premeva il cuscino contro le orecchie. Aspettava solo che l’uomo se ne andasse. Senza di lui, le giornate trascorrevano avvolte da una rassicurante routine. A metà mattina arrivava qualcuno a caricarla su una carrozzina per portarla a fare un giro nel parco. Era primavera inoltrata, ma lei a volte sentiva così freddo, nonostante la coperta che teneva sulle gambe, che era costretta ad aprire bocca per chiedere all’infermiere di riportarla in camera. Il pomeriggio la sistemavano accanto alla finestra, e allora poteva osservare indisturbata la danza delle foglie nel vento e i riflessi ambrati della pioggia che luccicava sui vetri. Pioveva spesso. Brevi temporali primaverili che duravano il tempo di una canzone. Poi il sole squarciava il cielo, concedendole qualche istante di abbagliante, rassicurante cecità. Le piaceva stare alla finestra e osservare il mondo, un mondo di cui non faceva più parte, ma provava anche molta paura. La paura era iniziata il giorno in cui si era svegliata senza ricordare nulla. Si era alzata, dolorante, perché lo stimolo di urinare era più forte del sonno.In bagno, aveva colto il riflesso dello specchio. Dagli occhi l’immagine aveva raggiunto la gola ed era esplosa in un urlo senza fine.Roma, 1979Camminava senza una meta precisa per le vie della capitale. Doveva sforzarsi per non mettersi a correre. A volte, come quel giorno, aveva come l’impressione di poter esplodere da un momento all’altro. Lei non era fatta per quella vita. Lei voleva viaggiare, vivere d’avventura, sentire sul palato il sapore salmastro dell’oceano e attraversare la Francia in treno, fino alla vagheggiata Parigi, fino a mangiare brioches seduta a un tavolino affacciato su un affollato boulevard, con le foglie rosse e gialle che volteggiano allegre nel vento. Da lì raggiungere il porto di Marsiglia su un’auto decappottabile, il vento a scompigliarle i capelli, mano nella mano con l’ultimo amante francese e poi… Un urto improvviso la fa sbattere contro una panciuta massaia dall’aria arcigna. – Signorina, ma guardi un po’ dove va! – la rimbecca quella, fissandola con odio.Adele non fa in tempo a scusarsi che è già sparita, i fianchi larghi ondeggianti sotto il peso delle buste della spesa. Odore di pane croccante, ancora caldo, appena sfornato. In quella città piena di traffico fa in fretta ad andar via. La rabbia è svanita all’improvviso, sostituita da una familiare, cupa rassegnazione. E voglia di piangere, che quella non l’abbandona quasi mai. A chi vuol darla a bere?, si chiede. La sua vita non cambierà mai. La sua vita è l’Ostiense e la bettola puzzolente di suo padre. La sua vita è la botteguccia in cui lavora come sarta, una tra le tante che sperano di sposarsi presto per sottrarsi a una vita fatta di aghi nelle dita e spine nel cuore. Non è la vita che sogna lei. Accelera il passo, sa che se la signora non la vedrà tornare nel giro di mezz’ora, saranno guai grossi. Si infila in una viuzza, magari farà prima. Le strade corrono veloci mentre accelera il passo e le manca il fiato, scansa fruttivendoli e pedoni, respirando a pieni polmoni per togliersi di dosso quell’angoscia che la perseguita. Imbocca un’altra stradina laterale e si ferma di colpo, confusa. In lontananza il Colosseo non si vede più, credeva di aver preso la direzione giusta ma è ormai evidente che non è così. Si guarda intorno. Non riconosce le case, le botteghe; persino il cielo ha un colore diverso in quella zona sconosciuta di Roma. Il sole sta lentamente scomparendo, risucchiato da nuvole color pece, i tuoni in lontananza annunciano l’arrivo di un temporale. Fa troppo caldo, da un po’ di giorni a quella parte. Il sudore si appiccica sulla pelle anche di notte, quando dalla finestra spalancata l’alito afoso di luglio corre sui tetti. È stanca, rassegnata, triste, e probabilmente perderà il lavoro.Magazine Racconti
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