Il 2015 è appena iniziato e ci ritroviamo a trascinare il greve fardello di aspettative videoludiche che ci eravamo caricati sulle spalle sul finire del periodo tipicamente dedicato alle fiere e ai nuovi annunci. Le speranze sono, alla fin fine, sempre le stesse e ce le ripetiamo in continuazione, come un mantra, per auto convincerci che il nuovo anno porterà finalmente una ventata di originalità nel settore, che il fenomeno “remastered” conosca finalmente una contrazione in favore di nuove IP (speranza, sembra, vana) o, perlomeno, di sequel dalla formula innovativa e che la piccola Vita possa in chissà quale modo attecchire in occidente. Già, perché in terra natia l’handheld sembra esser ben supportato e può contare su uscite costanti (ed importanti) che riescono a mantenerlo frequentemente nelle classifiche di vendita stilate a cadenza settimanale.
Permettersi l’illusione, a quasi tre anni di distanza dal suo arrivo sul mercato occidentale, di sperare ancora in una inversione di tendenza pare invero troppo, anche per il più ottimista tra noi; d’altronde la casa madre da tempo lancia occhiate languide al mercato indie ed il recentissimo Citizen of Earth ne è la riprova. Ciò nonostante anche da noi – seppur col solito ritardo – giungono ancora a singhiozzo frammenti d’oriente che, nel nostro ristretto panorama portatile, brillano come scintille in una notte senza stelle. Una di queste iniezioni di Vita era già stata oggetto di analisi in queste pagine (link recensione) sul finire dell’estate. Con Hyperdimension Neptunia Re;Birth1 la saga della tenera Neptune e compagne si faceva portatile, accompagnata da una generale svecchiata del gameplay, rivisto e pesantemente corretto per l’occasione, ed alcune novità di rilievo che rendevano il titolo un acquisto caldamente consigliato. A circa sei mesi di distanza eccoci dunque a recensire il remake del secondo capitolo della trilogia ambientata nel mondo di Gamindustri; remake che sostanzialmente conferma ciò che di buono avevamo visto ad agosto, con piccoli aggiustamenti e correzioni generali che vanno a limare i difetti del primo capitolo e rendono Sisters Generation un titolo da inserire nella propria wishlist.
SPAZIO ALLE NUOVE GENERAZIONI!
Affrancandosi dal contesto narrativo del precedente Re;Birth1, che vedeva le quattro CPU, divinità protettrici delle altrettante regioni in cui è diviso il mondo di Gamindustri, alle prese con una tragica “Console War”, Sisters Generation propone un rinnovato intreccio narrativo e “nuove” comprimarie. In realtà, per chi l’avesse giocato nel 2012, si tratta dell’episodio rubricato sotto la dicitura MK2, ristrutturato per l’occasione con qualche revamp dei dialoghi ed alcune sorprese di sicuro gradimento per i fan della saga, come un nuovo finale e l’aggiunta di qualche nuovo comprimario. Ad ogni modo, Gamindustri si trova alle prese con un nuovo potente nemico ed il suo stuolo di scagnozzi inquadrati in una organizzazione paramilitare che sta creando scompiglio in ogni dove. Non c’è dunque più tempo per le antiche rivalità; le quattro CPU e le relative sorelline minori decidono di unire le forze in un’ultima epica lotta all’ultimo sangue, ma vengono sconfitte ed imprigionate nel luogo in cui vanno a finire tutti i giochi ed i prodotti di elettronica obsoleti, il Gameindustri Graveyard. Solo Nepgear, la protagonista nonché sorella minore di Neptune, riesce a mettersi in salvo, grazie alla complicità di Compa, amica della sorellona e vecchia conoscenza della serie. Inizia così per Nep Nep e compagne un viaggio ricco di insidie attraverso tutte le regioni di Gameindustri per cercare tutto l’aiuto possibile e liberare così le CPU prigioniere, senza dimenticare di sradicare la malefica organizzazione criminale denominata ASIC che vuole impadronirsi dell’intero mondo.
NOVITÀ? POCHE, MA BUONE
Il remake di MK2, come dicevamo rinominato per l’occasione Re;Birth2: Sisters Generation, in realtà non apporta grandi cambiamenti non solo rispetto alla formula tipica della serie, ma anche riguardo a quanto visto nel primo capitolo della trilogia portatile di Neptune e compagne. Come ricordavamo nella nostra analisi di qualche mese fa infatti la piccola, vera, rivoluzione del gameplay è avvenuta proprio col primo remake rilasciato per la piccola di casa Sony, e Re;Birth2 rappresenta solo il perfezionamento e la definitiva conferma di un’alchimia che funziona e diverte, tutto in funzione di un’esperienza di gioco ricca e longeva, che decolla in modo deciso nella seconda metà dell’avventura.
Ad ogni modo, vistosi cambiamenti ed eclatanti novità nella ben collaudata formula messa in piedi da Felistella e Compile Heart non ve ne sono. Re;Birth2, oltre a contenere già tutte le novità proposte in precedenza, possiede infatti anche tutti i canoni tipici della serie che abbiamo imparato a conoscere, a partire da una world map bidimensionale stilizzata e su cui compariranno, nel prosieguo dell’avventura, nuove location come le città delle diverse regioni del mondo e, chiaramente, gli immancabili dungeon i quali giocheranno un ruolo centrale nell’economia di gioco, come ogni buon JRPG che si rispetti. Chi non avesse dimestichezza con la serie, o non avesse giocato al precedente Re;Birth non si deve comunque preoccupare troppo, a livello di trama e gameplay, di dover entrare “in medias res” sprovvisto dei dovuti collegamenti e punti di riferimento. Nonostante l’intreccio narrativo sia direttamente connesso dal precedente e coinvolga alcuni personaggi già conosciuti, gli sviluppatori sono riusciti a mantenere uno stile leggero, diretto e senza tanti fronzoli o inutili lungaggini che, grazie alle ottime stringhe di dialogo che fungono da collante e ad un buon doppiaggio, permette sin da subito di comprendere le vicende che hanno portato Nepgear e socie a dover intraprendere quella pericolosa avventura, nonché le connessioni interpersonali tra i diversi comprimari in scena. Il gameplay, poi, parte sempre dalle basi più elementari ed ogni suo aspetto viene spiegato con un preciso e completo tutorial i cui insegnamenti possono esser richiamati in ogni momento attraverso l’apposita “Nepedia”.
IN GIRO PER GAMINDUSTRI
Il nutrito cast, come da tradizione tutto al femminile, si dovrà barcamenare tra una fase gestionale profonda, articolata e ben curata e una fase esplorativa (o di grinding) in cui si guadagneranno i necessari oggetti, pezzi d’equipaggiamento e, soprattutto, esperienza per trovare il giusto equilibrio tra le diverse combattenti ed i loro molteplici stili di combattimento e peculiarità derivanti dalla loro condizione di “divinità” di Gamindustri. La gestione del party è, come dicevamo, davvero ben curata e va oltre il semplice ricambio di equipaggiamento acquistato o guadagnato attraverso le tante missioni secondarie – di raccolta o di caccia – che la Gilda cittadina ci mette a disposizione. Salendo di livello le ragazze acquisiranno nuove abilità speciali e nuove mosse da inserire in sequenze di combo totalmente personalizzabili in forza ed intensità, per ottenere un climax progressivo che tende sempre verso il massimo risultato possibile col minimo sforzo. Oltre a questo, vi è anche il ritorno dell’ormai immancabile Lily Rank, ossia il livello di affinità tra le combattenti (da incrementare attraverso eventi e dialoghi facoltativi). Più alto sarà il livello tra due ragazze, maggiori probabilità avranno durante gli scontri (se accoppiate nella gestione del party) di utilizzare ulteriori combo speciali, in stile “tag team”.
Tale ben di dio però non sarebbe possibile se si tralasciasse la fase esplorativa che, oltre a portare i classici punti esperienza e nuovi oggetti attraverso encounter fortunatamente abbastanza equilibrati e non casuali, contribuisce anche a fornire i materiali per la sezione di crafting introdotta nel recente passato e denominata Remake System, o Plan. L’esplorazione dei dungeon rappresenta l’unico momento in cui è possibile ammirare le combattenti ed il mondo di gioco in tre dimensioni. I dungeon in particolare, sbloccabili proseguendo nella storia, denotano ancora la debolezza del team di sviluppo in tale ambito. Essi infatti tendono purtroppo ad essere (seppur fondamentali) ancora ambienti abbastanza lineari e non troppo articolati, esplorabili in modo piuttosto rapido, poco interattivo e popolati da aggressive creature di tutti i tipi pronte solo a metterci i bastoni fra le ruote. Noi non ci siamo lasciati certo pregare ed è con piacere che possiamo riconfermare la bontà del combat system, rimasto praticamente immutato (ed è un bene) rispetto a quello già visto nel precedente remake portatile. Le parole, che anche in questo caso definiscono al meglio il gameplay, rimangono dunque “libertà di movimento” e “profondità“. Ogni combattente durante il proprio turno d’azione non rimane statica; essa può liberamente muoversi entro un’area circoscritta che varierà in base al coefficiente di Agilità di ognuna. Ciò permette di metter a punto strategie dinamiche e variabili durante ogni scontro le quali dovranno essere coordinate e studiate approfonditamente grazie alle molte abilità disponibili per ogni ragazza. Ecco dunque la seconda parola chiave che caratterizza il combat system, ossia, “profondità”.
Ad aggiungere un po’ di brio ed ulteriore longevità (comunque eccedente le 40-50 ore) al titolo, ci pensano due feature sicuramente interessanti, di cui una rappresenta una piacevole e simpatica distrazione rispetto all’esperienza principale. La prima feature porta il nome, già citato, di Remake System (o Plan). Questo in buona sostanza non è altro che un sistema di crafting che permette, attraverso i progetti gentilmente donati dai cittadini di Gamindustri o trovati all’interno dei dungeon, di fabbricare e sbloccare nuovi oggetti, anche se questa feature va oltre. Si possono infatti trovare decine di progetti particolari che permettono, chiaramente con i giusti materiali, di modificare diverse caratteristiche del mondo di gioco e dell’avventura, dalla difficoltà alla quantità di mostri all’interno dei dungeon, dai tesori accumulabili a veri e propri nuovi dungeon secondari. La seconda feature invece si intitola “Stella’s Dungeon” ed è una vera e propria novità, anche se può essere tranquillamente saltata, non essendo fondamentale per giungere alla fine dell’avventura. Ciò nonostante essa rappresenta una buona distrazione e permette anche di ottenere oggetti ed equipaggiamento che potranno essere utilizzati dalle combattenti nell’avventura principale. Questa nuova sezione ha per protagonista Stella, la mascotte – manco a dirlo – del team di sviluppo Felistella. La piccola può essere inviata ad esplorare i dungeon per nostro conto. Prima di inviarla ci è data la possibilità di equipaggiarla, scegliere la tipologia e la difficoltà del dungeon da esplorare e anche la durata della spedizione. Se ha successo, Stella può ritornare con un sostanzioso bottino, mentre se fallisce nell’intento perde tutti gli oggetti trovati e l’equipaggiamento indossato. Il tutto procede in automatico e la particolarità sta nel fatto che la missione di Stella avviene in “real time”, ovvero anche se la console è spenta o non stiamo giocando a Sisters Generation, il tempo continua a scorrere. Quindi, settando una missione, ad esempio, di 8 ore prima di andare a dormire e spegnendo la console, al vostro risveglio troverete comunque Stella di ritorno dalla missione.
STESSA QUALITÀ, STESSA SENSUALITÀ
Riguardo, infine, al comparto tecnico, non possiamo che attenerci a quanto già ampiamente detto in sede di recensione del precedente capitolo, dato che i punti di forza e di debolezza rimangono esattamente gli stessi anche se fortunatamente, questi ultimi, sbiaditi. Al fan service sfrenato dedicato agli amanti della procacità femminile si accompagna una sempre pregevole veste grafica tridimensionale in cel shading intervallata da scenette e da molti dialoghi in pieno stile anime che non possono che divertire e strappare più di un sorriso. Ottimo come al solito il doppiaggio, la qualità dei dialoghi (ora più diretti e meno prolissi) e la presentazione generale del titolo, grazie ad una stupenda caratterizzazione delle diverse comprimarie e dei nemici. Permangono però le solite incertezze a livello di design ambientale. Nonostante un lieve miglioramento generale, i dungeon tridimensionali tendono (circa a metà dell’avventura) comunque a ripetersi, ciclicamente, presentando le stesse zone e gli stessi nemici, anche se più potenti. Un difetto che gli sviluppatori non riescono proprio a limare. Peccato, perché prestando maggiore attenzione a tale aspetto sarebbe scaturito, come si auspica sempre, un titolo sopra le righe.