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I Campi Flegrei /3.

Da Leucosia

GEOLOGIA E VULCANOLOGIA DEI CAMPI FLEGREI.

Il territorio dei Campi Flegrei, situato ad ovest della città di Napoli, in un’area compresa tra Pozzuoli e Marano, presenta delle caratteristiche uniche al mondo, dovute all’intensa attività vulcanica del luogo, nota fin dall’antichità[1].

Il sistema vulcanico dei Campi Flegrei, insieme alle isole di Ischia e Procida, è formato da 19 crateri concentrati in un’area di 65 kmq. , disposti secondo un allineamento est-ovest: numerosi sono i crateri riconoscibili, come il golfo di Baia (metà di un antico cratere d’esplosione), i fondi di Baia, il porto di Miseno,  il cratere di Torregaveta.

L’attività vulcanica dei Campi Flegrei è antecedente a quella del Vesuvio e l’area sembra essere rimasta in uno stato di quiescenza in tempi storici, con l’eccezione dell’eruzione del vulcano Solfatara nel 1198, e quella del Monte Nuovo avvenuta nel 1538; il fenomeno del bradisismo, che ha colpito l’area ripetutamente, fino alla metà circa degli anni ’80 del XX secolo, è dovuto, secondo recenti studi, al processo di consolidamento della massa piroclastica che riempie la zona flegrea, cosicché il ripetuto innalzarsi ed abbassarsi del suolo rispetto al livello del mare sarebbe la conseguenza delle variazioni della pressione esercitata dalle fonti di calore sottostanti a tale massa.

I meccanismi eruttivi dell’area di Campi Flegrei sono estremamente vari, anche se c’è una netta prevalenza di quelli di tipo esplosivo[2], rispetto a quelli di tipo effusivo[3].

Si è soliti suddividere la formazione dei Campi Flegrei in tre fasi successive[4].

I Fase: (100000 anni fa) A questo periodo risale la formazione di un grosso vulcano (archiflegreo) il cui diametro di base comprendeva tutta la zona flegrea, successivamente sprofondato al centro, che formò una coltre di tufo grigio. Restano tratti della cinta craterica (Camaldoli) .

 II Fase:(30000 anni fa). A tale fase sono da attribuire la formazione  di colate lavicheconnesse all’attività effusiva (Miliscola), la formazione di centri vulcanici (Misero, Bacoli, Coroglio, Archiaverno e Gauro). A questo periodo sono ascrivibili i prodotti eruttivi quali il Tufo Giallo Napoletano[5] e il Piperno-Breccia Museo.

III Fase: (12000 anni fa circa) appartengo a questa fase  le formazioni di edifici vulcanici più piccoli (Montagna Spaccata, Fondi di Baia, Solfatara, Cigliano, Pisani, Averno, Senga, Nitida, Astroni, Agnano). I prodotti eruttivi inoltre formano uno strato di pozzolana.

Al temine della suddetta prima fase, le acque del mmare invasero l’odierna piana di via Campana, formando un “paleogolfo” all’interno del quale iniziò – circa 16000 anni fa – la formazione del monte Gauro[6].

MONTE GAURO – VIA CAMPANA – PIANA DI QUARTO.

Il Monte Gauro è il più alto edificio vulcanico dei Campi Flegrei ed è costituito da tufi gialli litificati. Tale edificio è ben conservato solo nei settori nord e nord-ovest mentre negli altri è stato notevolmente decurtato: nel fianco di sud-ovest c’è stato lo spettacolare collasso che ha

  • formato il Circo di Teiano, mentre nel lato sud-orientale la cinta craterica ha subito un “taglio” che ha aperto il varco della “Porta del Campiglione” attraverso cui si accede al cratere (Campiglione), che ha un diametro di circa 1 Km. Il lato meridionale ha subito un notevole arretramento a causa delle numerose cave di tufo ormai chiuse.
  • Percorrendo la via Campana da Pozzuoli verso Quarto, sul lato destro si nota prima, il rilievo del Monte Cigliano, vulcano formatosi circa 4.000 anni fa e poi la Montagna Spaccata. Subito dopo, sulla sinistra vi è una stradina, in gran parte sterrata, che conduce sul Monte Sant’Angelo.

La Montagna Spaccata conduce alla Piana di Quarto[1]che appartiene al sistema vulcanico complesso dei Campi Flegrei e che si è formata in seguito ad uno sprofondamento vulcano-tettonico verificatosi dopo l’emissione dei prodotti del secondo ciclo dell’attività vulcanica flegrea e ad un successivo riempimento di depositi quaternari indifferenziati: piroclastiti sottili rimaneggiate depositatesi in ambiente lacustre e alluvionale.Tale Piana è cinta a Sud e ad Est da resti di edifici vulcanici recenti, a Nord e a Nord-Est dai resti dell’antica caldera originatasi in seguito all’eruzione dell’Ignimbrite Campana, mentre ad Ovest vi sono estesi depositi di tufo giallo ampiamente sfruttato con cave per l’estrazione di materiale da costruzione.


[1] Gli studiosi non sempre concordano sulla sua classificazione geologica e sulla sua datazione. Per lostudioso Giuseppe De Lorenzo (1904), il quale suddivise la storia geologica flegrea in tre periodi, il Piano di Quarto è un cratere originatosi nel terzo periodo (formazione più antica: 11 mila anni fa), caratterizzato da eruzioni ed esplosioni subaeree di materiale frammentario.Ipotesi completamente diversa quella avanzata da Alfredo Rittmann (1950); per questo studioso, ad una attività altamente esplosiva, verificatasi nel finire del ciclo (36 mila – 11 mila anni fa), seguirono degli sprofondamenti locali (es. Pianura, Piana di Quarto).


[1] Sono numerose infatti le testimonianze degli autori antichi: Pindaro, ad esempio,  nell’”Ode a Pitia” sosteneva che tutto il tratto di mare da Cuma alla Sicilia conteneva del fuoco sotterraneo  ed in profondità era costituito da cave sotterranee, collegate sia tra di loro che alla superficie. Per questo motivo tanto l’Etna, che le isole Lipari, il territorio di Dicearchia, Napoli, il golfo di Baia e l’isola di Pithecusa, avevano la stessa natura. 

 L’attività vulcanica dei Campi Flegrei viene trattata anche nell’opera di Strabone, “La Geografia”: secondo l’erudito all’origine delle modifiche del suolo terrestre, causate da terremoti scatenati da forze endogene, la Sicilia era stata sollevata dal fuoco dell’Etna, allo stesso modo di Pithecusa e delle isole Eolie; inoltre egli riferiva che, secondo le opinioni del suo tempo, la Sicilia e le altre isole erano frammenti strappati al continente, così come le isole di Procida e Pithecusa si erano staccate da Capo Miseno.

[2]  Nelle eruzioni esplosive di tipo “pliniano”, il magma prima di essere scagliato in superficie, viene frammentato ed eruttato sottoforma di scorie, pomici e lapilli. Sono varie le modalità di come il magma venga deposto in superficie: per caduta (i lapilli e le ceneri incandescenti dalla nube ricadono per gravità al suolo); di tipo “stromboliano” (esplosioni intermittenti con lancio di scorie e lapilli alternate a flussi di lava); freatomagmatiche (contatto tra l’acqua e il magma in risalita attraverso il condotto).

[3] Le eruzioni di tipo effusivo sono caratterizzate da una bassa esplosività, con il magma che cola lungo i fianchi dl vulcano; se la lava si raffredda senza riuscire a scorrere può originare cumuli di forma circolare, detti duomi lavici.

[4] La ricostruzione degli eventi vulcanici susseguitisi nell’area dei Campi Flegrei è stata effettuata prendendo come riferimento cronologico – marker stratigrafico -  lo strato della formazione del Tufo Giallo Napoletano, presente omogeneamente in tutto il territorio flegreo

[5] La formazione del Tufo Giallo Napoletano è dovuta ad un’enorme eruzione (50 Km³ di magma su un’area di 350 Km²) avvenuta al culmine di una intensa attività eruttiva precedente all’evento. Ci sono evidenze di uno sprofondamento della parte centrale dei Campi Flegrei lungo linee di frattura che poi costituiranno la via di facile risalita dei magmi che hanno caratterizzato gli ultimi intensi 10.000 anni di attività vulcanica.

[6] Gli studiosi hanno individuato anche una Fase 4 nel suddividere cronologicamente l’attività vulcanica dei Campi Flegrei: L’età assoluta delle formazioni appartenenti a quest’ultimo ciclo partono da 10.000 anni per giungere all’eruzione storica verificatasi nel 1538 del Monte Nuovo.



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