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I Cavalieri Jedi e lo Zen

Da Psiconauta

I Cavalieri Jedi e lo Zen“Senza il nulla non c’è naturalezza, non c’è vero essere. Il vero essere scturisce dal nulla, attimo per attimo. Il nulla è sempre presente, e da esso appare ogni cosa. Di solito però, completamente dimentichi del nulla, vi comportate come se possedeste qualcosa” (ref. Shunryu Suzuky)

La cosa che più mi affascina dello Zen è il suo riuscire a portare alle conseguenze più estreme la critica di ogni forma di attaccamento. Alcune sue posizioni sono state prese passo-passo per scrivere gli insegnamenti del maestro Yoda al giovane jedi Anakin Skywalker, prima del disastro finale della sua metamorfosi/nemesi. Questa posizione radicale è un pensiero, in qualche misura, totalmente anti-occidentale, perlomeno nelle premesse: l’obiettivo è la capacità di trascendere le continue trappole, le continue illusioni presenti in ogni visione cosiddetta “realistica” del mondo. Non c’è realtà, infatti, che non contenga in sé il germe del proprio dissolvimento, della propria metamorfosi: il vuoto o il nulla… Sembra quindi che solo attraverso il nulla, l’essere si possa dare e sottrarsi, incarnarsi e spostarsi, realizzarsi e farsi istantaneamente altro. La sola realtà sembra essere l’impermanenza, il movimento, “Mu”, ovvero il risolversi inarrestabile ed infinito del vuoto nella forma, della forma nel vuoto. Non c’è alcuna sostanza a cui aggrapparsi: non ci sono mete, beni, principi assoluti o valori superiori a cui abbia senso tendere, per una mente sgombra dall’illusione della solidità, della durata delle cose. Questi sono tutti importanti elemento del cammino Jedi, dati da elementi evidentemente e direttamente provenienti dal Buddhismo Zen, che  predica quindi il “non attaccamento” e l’abbandono dei legami affettivi a persone, luoghi e cose (i Jedi lascino i loro affetti da bambini e proprio l’eccessivo attaccamento alla madre prima e all’amante poi porterà il giovane Anakin Skywalker alla perdizione), con l’’obiettivo finale di raggiungere uno stato di compassione disinteressata  e spassionata per tutti gli esseri viventi: come i cavalieri Jedi, i monaci buddisti sono ascetici e celibi e sono noti, almeno nella fantasia popolare, per lo sviluppo di particolare abilità di controllo del corpo e della mente che possono apparire quasi sovrumane. Questa posizione, tutt’altro che nichilistica, se per essa è vero che neppure il nulla è un assoluto, esige una estrema e sempre rinnovata attenzione e si contrappone all’abbandono dichiarato da alcuni filoni del buddismo Zen contemporaneo. Infatti se decade questa continua attenzione, se si persegue l’abbandono, il rischio è il passaggio al “lato oscuro”, una sorta di anti-Zen.  Infine sembra necessario precisare alcune cose al riguardo della “Forza” come elemento fondante la filosofia Jedi. In realtà, il concetto di “Forza” trova la sua massima espressione nella spiritualità panistica celtica, laddove come fonte ultima di ogni  manifestazione cosmica, come minimo comun denominatore di  ogni  elemento naturale  e dunque come elemento costitutivo e radicale di  ogni istanza successivamente concretizzata nelle varie divinità, i druidi individuavano proprio la “Forza”, intesa come forza vitale e denominata “Oiw”: tutte le manifestazioni della natura, anche quelle più violente, venivano vissute come un’incarnazione dell’energia assoluta che presiede alla creazione e alla distruzione del mondo, in un processo ciclico di nascita e morte che si rinnovava continuamente e da cui derivava anche il concetto celtico della reincarnazione (e della vita ultra-terrena, come quella vissuta da Obi-Wan dopo il duello con Darth Vader), frutto della continua evoluzione dell’Oiw a tutti i livelli. Senza, però, scomodare esempi tanto lontani dalla nostra cultura e dal nostro modo di pensare, è facile vedere come tutta la “mistica Jedi” viva di pesanti prestiti anche dall’Israelitismo (in particolare Lubavicher) e dal Cristianesimo, in particolare con evidenti rimandi alla epopea templare.


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