I cinesi di casa nostra
Creato il 06 novembre 2012 da Tnepd
Si dice che i cinesi mangino tutto ciò che ha quattro gambe, fuorché le sedie. E subito viene in mente che, se ci si riduce a mangiare di tutto fuorché il legno è a causa di un’incoercibile atavica fame, che i cinesi, come anche tutte le popolazioni del mondo, hanno conosciuto molto bene.
Il fattore decisivo sono sempre state le risorse del territorio, di modo che se ci si mette a coltivare la terra vicino al Nilo, si avranno le periodiche inondazioni che renderanno i campi fertili e la fame si sentirà di meno, ma se ci si mette a coltivare la terra in alta montagna, la vita sarà grama e la fame si farà sentire più facilmente.
Con questa elementare premessa, possiamo capire che anche nel territorio italiano, le popolazioni si sono distribuite più facilmente in pianura piuttosto che in montagna, e anche coloro che hanno scelto di stabilirsi sui monti, hanno preferito abitare nel fondo valle piuttosto che sulla cima delle montagne.
Gli irriducibili o i tendenzialmente misantropi andranno a vivere in posti impossibili, con scarsità di risorse. L’abbrutimento dovuto alla fame renderà tali popolazioni impegnate allo spasimo nella ricerca del cibo, persone ombrose, scontrose e poco acculturate. Sempre che non decidano di migrare in cerca di lavoro, dando una svolta alle proprie esistenze.
In Italia abbiamo un caso eclatante di arroccamento e di isolamento culturale, che si ripercuote anche sulla parlata locale. Il misoneismo e la xenofobia la fanno da padrone, con un pizzico di anarchia e di ribellismo che rende tali enclavi etniche refrattarie all’obbedienza alle leggi dello Stato e, per converso, simpatiche agli anarchici.
Penso che abbiate già capito che sto parlando dei montanari della provincia di Brescia, bracconieri per vocazione, nonché fautori entusiasti della Lega Nord, partito non a caso ostile agli stranieri e allo Stato italiano. Quando penso all’idea platonica di un buzzurro, a me viene facile pensare ad un abitante della Val Camonica, in cui abitano i discendenti dei Camuni, o della Val Trompia, abitata dai Trompiuni, costruttori di armi automatiche o della Val Sabbia, abitata dai Sabbiuni.
Vi ho avuto a che fare direttamente poche volte, ma quelle volte sono state esiziali. Affacciandosi fuori della stazione di Brescia, frequentata da centinaia di persone di colore, si ha quasi l’impressione che viga una specie di Nemesi: i bresciani sono xenofobi e allora Dio manda loro gli africani, più o meno come alle ranocchie che volevano un re e a cui Zeus manda un travicello.
C’è stato un uomo che ha avuto a che fare con Camuni, Trompiuni e Sabbiuni molto più di me. E veniva anche da molto più lontano di me. Veniva da Aachen, che in italiano si traduce Aquisgrana, e si chiamava Eugen Toennis. Dico si chiamava perché è morto d’infarto all’età di quarantadue anni durante una pedalata in bicicletta. E poi dicono che lo sport all’aria aperta fa bene!
Eugen venne a cercarmi nel 1984, su indicazione di Carlo Consiglio allora come oggi presidente della Lega Abolizione Caccia. Venne a cercarmi quando mi ero appena trasferito a Romans di Varmo, in un casale di campagna senza elettricità, nel 1984.
Che fossi senza luce non m’impediva di organizzare azioni di disturbo alla caccia e all’uccellagione, di giorno. E azioni di sabotaggio di uccellande e capanni da caccia, di notte. Gli esposti ai carabinieri e le visite alle ferramenta le facevo malvolentieri e lasciavo che fosse Eugen a farle, quelle volte che dalla Germania veniva a trovarmi. Io mi limitavo ad accompagnarlo.
I carabinieri accoglievano i nostri esposti, dopo che eravamo passati dalle ferramenta e aver scoperto che vendevano taglioline di metallo senza denti, per i passeriformi, e a volte anche tagliole più grandi, dentate, per le volpi. In entrambi i casi si trattava di strumenti il cui uso è proibito, ma non la vendita. Siccome siamo in Italia, patria dell’ipocrisia e dei furbetti, il commerciante immancabilmente diceva che le taglioline erano per i topi, mentre delle tagliole non diceva niente.
Ai carabinieri, oltre allo scontrino fiscale con l’indirizzo della ferramenta, lasciavamo anche i “corpi del reato”. Povero Eugen! Com’era ingenuo! Fisicamente era in Italia, paese di furbetti e lazzaroni, ma mentalmente era ancora in Germania, dove le leggi vengono fatte applicare. Io sapevo, non tanto per esperienza diretta perché ero ancora in un certo senso “vergine”, ma forse per un’atavica sanguigna consapevolezza, che nessun giudice o pretore avrebbe perso anche solo un minuto del suo prezioso tempo a considerare queste inezie, questi reati venatori. Che se ne occupino i guardiacaccia, pensava l’indaffaratissimo magistrato di turno.
E così, erano forse più proficue le conferenze stampa che facevamo dopo aver presentato l’esposto, anche se pure in quel caso era come gettare in mare un messaggio dentro una bottiglia e sperare che le onde lo portassero a destinazione. Si sperava di fare azione educativa su un popolo di cialtroni congeniti e di tribali leghisti menefreghisti. E tanto per non smentire le forze sproporzionate in campo nonché la nostra ingenuità di educatori, il quotidiano letto dai friulani, il Messaggero Veneto, si guadava bene dal pubblicare alcunché sulle nostre conferenze stampa, mentre quello letto dai triestini, il Piccolo – per cui qualsiasi cosa che denigri i friulani va bene – invece le pubblicava.
Il che si potrebbe intendere nel senso che il mitteleuropeo triestino è più sensibile sui temi della protezione degli uccelli, mentre il buzzurro friulano è più sensibile al sugo di pettirosso che funge da contorno alla polenta. Ma si potrebbe anche intendere nel senso che storicamente è in atto una manovra per tenere i friulani nell’ignoranza, mentre i triestini nella cultura. Vedasi le lotte per avere l’università a Udine.
Causa, effetto. Effetto, causa. D’altra parte, se su un determinato territorio non è presente una certa attività (e la cattura d’uccelletti migratori potrebbe essere assimilata ad attività economica) è più agevole condannarla e lamentarsi della sua inciviltà e illegalità, mentre se è tradizionalmente presente i mass-media vi si adeguano e la musica cambia. Altrimenti, non mi spiego come una redazione giornalistica condanni l’uccellagione, dove non c’è mai stata, mentre un’analoga redazione giornalistica non la condanni dove l’uccellagione esiste da sempre.
Forse che se gli abitanti di Faedis, capitale friulana dell’aucupio, leggendo articoli che biasimano l’uso dei roccoli avrebbero smesso di comprare il Messaggero Veneto? Forse che gli abitanti di Trieste non trovando articoli che biasimano gli uccellatori friulani avrebbero smesso di comprare il Piccolo?
Tanto per fare un esempio di becero campanilismo, quando nel 1982, due anni prima di conoscere Eugen, frequentavo l’università a Trieste, un collega studente mi disse stizzito che i terroristi li avevamo noi friulani, riferendosi a Cesare Di Lenarda, mio compaesano, che qualche mese prima era stato arrestato all’interno del covo dov’era prigioniero il generale Dozier e dove lui fungeva da carceriere.
A Eugen però questi campanilismi non interessavano. A un certo punto non venne più in Friuli ma si diresse verso le valli bresciane, in virtù del fatto che il medico deve andare dov’è maggiormente richiesta la sua presenza. Conobbe nel frattempo Guido De Filippo, anche lui della L.A.C. e anche lui prematuramente passato a miglior vita e si unì al gruppo dei milanesi che regolarmente, in autunno, sciamavano nelle valli bresciane alla ricerca di archetti.
L’apripista di tale attività volontaria di pulizia dei boschi fu Secondo Mensi, metalmeccanico milanese che nel 1989 sarebbe stato arrestato con me ad Azzida, quando ancora l’allevamento della FIDIA, poi comprato dalla Harlan, era in costruzione.
Circolavano leggende tra noi volontari protezionisti, come ci identificavamo all’epoca prima di adottare il termine “animalisti”. Si diceva che nel bergamasco era così acuta la richiesta di uccelletti, da parte dei ristoratori, che alcuni cacciatori intraprendenti non esitavano ad utilizzare pipistrelli al posto degli uccelli. Mi sono sempre chiesto come facessero a catturarli.
Si diceva che a Caneva di Sacile esistesse il ristorante “Al Roccolo”, ma non ho mai appurato la sua esistenza. Preferivo muovermi per andare a distruggere le reti e i pali di roccoli, prodine e bressane, di cui conoscevo l’ubicazione, andando a colpo sicuro. Su tutte le leggende metropolitane aleggiava il detto: “Polenta e osei, cibo degli Dei”.
E poi c’era la “Sagra dei Osei” di Sacile. Una volta, Guido pagò il biglietto ed entrò a dare un’occhiata. Quando uscì disse di aver visto un beccofrusone, specie da sempre protetta. Erano gli anni Ottanta, i commercianti d’uccelli facevano il bello e il cattivo tempo, le guardie venatorie chiudevano tutti e due gli occhi e noi stavamo fuori dalle transenne con i nostri cartelli appesi al collo. Oggi gli animalisti, molto più numerosi di quelli che mi accompagnavano trent’anni fa, pagano il biglietto, entrano in massa e si piazzano nel cuore di Sacile, dando non poco fastidio ai buzzurri in visita e non pochi denari agli organizzatori. A me non sarebbe mai venuto in mente di fare una cosa del genere. Fastidio sì, quanto più se ne può, ma denari no, nemmeno un centesimo agli aguzzini di animali!
Nel bresciano la vendemmia di archetti e reti era cospicua. Se venivano trovati pettirossi appesi alla trappola si controllava se avevano una o tutt’e due le zampe fratturate. Nel primo caso si tagliavano i legamenti che tenevano uniti i due monconi e lo si lasciava andare, perché avrebbe potuto sopravvivere anche con una sola zampa. Nel secondo caso, con entrambe le zampe spezzate, lo si sopprimeva.
Noi italiani lasciavamo volentieri ai tedeschi questa incombenza.
Tuttavia, c’era anche chi steccava alla bell’e meglio l’unica zampa spezzata e portava i pettirossi così conciati a Milano, per affidarli alle cure di un veterinario, sempre tenendo presente che, sballottati dentro borse e zaini, non gli si faceva un grande favore, tenuto conto che quasi sempre morivano dopo poche ore, a dispetto delle nostre migliori intenzioni. Oggi sembra che esista un centro di cura che fa le cose per bene, con il beneplacito delle autorità, ma a quel tempo, l’immancabile senso d’impotenza e di rabbia ci faceva maledire bresciani, bracconieri e umani in genere, tanto che molti di noi avrebbero visto consolidarsi quella misantropia che ci contraddistingue in quanto animalisti, che è un effetto delle cattiverie della gente cosiddetta normale e che ci fa desiderare l’estinzione della razza umana.
Chi non ha passato tutto questo non può capire e, quando auspichiamo la fine della nostra specie, veniamo considerate persone malvagie.
Eugen era pieno di energie. Saliva i sentieri di montagna senza il minimo sforzo e ogni tanto si fumava una sigaretta. Non è stato il fumo ad ucciderlo, perché ne fumava poche, ma qualche predisposizione congenita coronarica. Tuttavia, se penso che anche l’attivissimo Guido De Filippo lo avrebbe seguito dopo pochi anni nei pascoli del cielo, potrebbe affacciarsi alla mia mente disturbata che, come le morti sospette degli ufologi, anche nel caso di attivisti troppo attivi nel difendere la fauna sia in atto un’operazione segreta di annientamento, gestita dai servizi segreti.
Poiché anch’io ho il mio bel curriculum, dovrei sentirmi in pericolo, anche se ultimamente ho perso i contatti con la L.A.C. e di capanni e roccoli non ne vedo l’ombra da tempo. Ad ogni modo, se permettete, ora faccio i dovuti gesti scaramantici e passo a raccontarvi un gustoso aneddoto che riguarda il mio defunto amico tedesco.
Gustoso è l’aggettivo giusto perché sia io che lui accompagnavamo di tanto in tanto giornalisti di carta stampata o di cinepresa, ovviamente di nazionalità tedesca piuttosto che italiana, giacché anche qui vale il principio del Messaggero Veneto per buzzurri e del Piccolo per buzzurri di minor grado. Di modo che i mass-media italiani sono idonei per i buzzurri italiani, mentre i mass-media tedeschi sono adatti per buzzurri solo di qualche grado inferiore.
Il gatto mediatico si morde la coda e ciascuno ha i mass-media che si merita.
In un ristorante X da qualche parte in Lombardia c’era Eugen, il giornalista televisivo germanico e suo figlio adolescente che gli faceva da cameraman. Ordinarono polenta e osei. Fu loro servita fumante, con succulenta polenta. Eugen e il giornalista cominciarono a mangiare le coscette di fringuello. Gli ossicini crocchiavano tra i denti, ma l’uccelletto viene più succhiato che masticato. Così mi pare che funzioni.
Erano lì per documentare la barbarie, la gastronomia tipica delle valli bresciane, ma succede un imprevisto: il ragazzo si fa prendere da scrupoli. Non visto dai camerieri, invece di portarsi alla bocca i sugosi cadaverini, se li infila nella camicia sbottonata, facendoli passare tra mento e collo. A un certo punto, la macchia di sugo diventa troppo evidente sul davanti e il ragazzo deve assentarsi per andare in bagno a rimediare alla stupidaggine. Il Q.I. delle popolazioni teutoniche ne risente.
Poi, siccome era molto bravo a fingere, Eugen, sia in quell’occasione che in altre, si faceva passare per giornalista di qualche improbabile testata. Tipo: “Mangia bene”. Detta da lui, con il suo accento alla Joseph Ratzinger, era cosa spassosa. In tal modo, chiedendo il permesso al proprietario, aveva accesso alle cucine e poteva filmare i cuochi al lavoro sui cadaverini.
Il padrone del ristorante gongolava come un deficiente, per una volta tanto caduto lui nella trappola. Questo però succedeva negli anni in cui la repressione del bracconaggio non era ancora eccessiva. A un certo punto però i ristoratori si sono fatti furbi e l’accesso alle cucine non veniva più concesso, giornalisti o non giornalisti.
Lui veniva in provincia di Brescia sempre accompagnato da ragazzi e ragazze. Dormivamo tutti in un camping di Iseo, con i cavi d’acciaio che, sbattendo sugli alberi delle barche a vela ormeggiate nel lago, fungevano da colonna sonora alle nostre brevi notti.
Negli ultimi anni veniva accompagnato da quello che, seguendo consolidate modalità da adepto, si comportava come il suo braccio destro. Se per esempio, camminando in fila indiana nelle retrovie, mi attardavo presso un appostamento di cacciatori con tanto di tordi esposti in alto nelle gabbie e, in assenza dei proprietari, decidevo di poggiare una scala sull’albero, raggiungere la gabbia e aprire la porticina della gabbia, il Braccio Destro correva ad avvisare Eugen, come un bravo cane da caccia che riporti la preda al cacciatore.
Tanto per restare in tema.
Eugen allora ritornava sui suoi passi e con quella pazienza che si usa fra vecchi amici mi coglieva con le mani nella marmellata, cioè con una mano dentro la gabbietta, per afferrare il tordo, e mi spiegava che noi eravamo lì per gli archetti e non per fare azioni di sabotaggio ai cacciatori capannisti.
Lui me lo diceva con pazienza, che non era saggio rovinare i buoni rapporti che negli anni eravamo riusciti ad instaurare con le forze dell’ordine, ma gli attivisti della L.A.C. di Milano, di pazienza, con me, guastatore di gabbie e rapporti con le forze dell’ordine, ne avevano poca.
Ricordo che un giorno eravamo solo io e Andrea, di Vigevano, e ci eravamo sganciati dal resto dei colleghi anticaccia proprio per non confondere le acque e non mettere in imbarazzo Guido e gli altri responsabili L.A.C.
Ebbene, passammo un’intera mattinata a perlustrare le colline e quando trovavamo un appostamento incustodito, con tanto di uccelli da richiamo esposti sugli alberi, era uno spasso aprire quelle gabbie. Ovviamente facendo il meno rumore possibile e stando bene attenti che non arrivasse qualcuno. Furono così tanti gli uccelli liberati, compresi quelli che avevano le penne delle ali non del tutto a posto, che dopo due giorni la notizia apparve sui due quotidiani bresciani, che ovviamente – per la sindrome dei mass-media buzzurri per lettori buzzurri – evidenziarono l’opera vandalica degli animalisti.
Gli amici della L.A.C., forse pensando che un esponente di A.L.F. può, se fatto arrabbiare, diventare pericoloso, o forse solo per motivi logistici, sgridarono Andrea ma non me, che ero il maggiore responsabile dell’azione di danneggiamento. Per me era ordinaria amministrazione, per Andrea un isolato diversivo e avrebbero potuto anche immaginare che Andrea in qualche modo fosse stato plagiato. Questo insegna che coloro che dovrebbero parteggiare per gli uccelli in libertà e non per la proprietà privata dei nostri nemici, spesso diventano carnefici di chi passa all’azione, in questo caso il povero Andrea che le ha sentite.
Siccome mi è capitato un episodio simile anche nel vicentino, di cui magari parlerò un’altra volta, mi viene il sospetto che questo fenomeno sia più esteso di quanto si possa immaginare e per me rientra negli incomprensibili comportamenti umani tipici di chi si dà martellate sulle innominabili ghiandole dell’apparato genitale maschile. Ne ho avuto prova, recentemente, a Correzzana.
Con alleati così, la guerra la vinciamo di sicuro!
Non basta l’atavica fame. Non bastano i golosi cinesi di casa nostra, i trogloditi veneti e lombardi. Ci si devono mettere anche i perbenisti protettori di uccelli e collaboratori delle forze dell’ordine. Questi diligenti e sottomessi attivisti non si rendono conto che se siamo al punto in cui gli archetti non sono stati ancora aboliti del tutto è anche grazie a forestali, carabinieri e guardiacaccia che non hanno fatto il loro fottuto dovere. Se invece di una ridicola multa facessero provare la galera – quella vera – ai bracconieri, state pur certi che gli archetti sparirebbero in quattro e quattr’otto, altro che cambio generazionale, lento progresso morale o altre fesserie di questo tenore.
Uccelli fuori dalle gabbie e buzzurri buongustai in gabbio.
Questo è il mio motto.
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