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I costi del benessere dell’homo sapiens

Creato il 17 febbraio 2014 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Anna Pellanda

www.homosapiens.net

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Il mio commento alle Considerazioni sulla natura animale: siamo Uomini o Animali? di Gabriele Bono,[1] gentilmente sollecitato dall’autore, è che nel suo scritto risaltano due concetti: l’evoluzione dell’uomo e la contestuale mancata attenzione a tutto quanto ruota intorno all’uomo. È vero che l’antropocentrismo può scivolare verso l’antropolatria se si prendono in considerazione tutti i successi scientifici raggiunti dall’uomo. Ed è altrettanto vero che si trascura così tanto l’interdipendenza tra evoluzione umana ed evoluzione non-umana da sottovalutare la distruzione dell’ambiente e la sofferenza degli animali. Gabriele Bono indica in questo correre parallelo di conquiste umane e di noncuranze per il non-umano il destino tragico cui si può andar incontro. Egli si chiede: “Potrà il Sapiens, nel suo percorso evolutivo futuro adattarsi, e quindi sopravvivere, ai tremendi cambiamenti che coinvolgono l’ambiente che lo circonda e che peraltro sono, e lo saranno anche di più, in larga misura prodotti da lui stesso?” (p. 7), e vede nella “progressiva distruzione della biosfera” la conferma di questo incombente pericolo.

L’impostazione di Bono è lucida e del tutto condivisibile. Possiamo aggiungere un’ulteriore riflessione: l’homo sapiens non solo è consapevole delle possibili conseguenze tragiche delle sue scoperte ma intenzionalmente non se ne cura. Il motivo risiede nel suo avere una visuale di breve respiro e un’ottica altamente utilitaristica nei confronti del mondo non-umano. Il cosiddetto homo sapiens vive nel presente senza preoccuparsi del futuro, della “sostenibilità” del progresso che innesca con le sue conoscenze sempre più approfondite. Al tempo stesso egli si relaziona al non-umano con un approccio egoistico di sfruttamento.

La sua visione di tempo breve al fondo è comoda perché il futuro è incerto, e prevederlo è faticoso, se non impossibile. L’attitudine utilitaristica, a sua volta, è estremamente conveniente. Ma è anche codarda, perché sfrutta il più debole che non ha potere di ribellione. Gli animali imprigionati negli stabulari non possono rivoltarsi contro la loro vivisezione; e le piante, fisse al suolo, non possono sfuggire al loro abbattimento.

Non c’è da credere all’innocenza dell’homo sapiens. Sarebbe come supporre che la mente umana, sempre più sofisticata, sia altamente evoluta quando si dedica allo studio e atavicamente rozza quando si relaziona al diverso. Questa dissociazione è smentita dalla pratica della sperimentazione su animali che non possono difendersi e non sull’umano che può intentare azioni legali. Essa è anche smentita dall’insistere caparbio sullo sfruttamento ambientale, anche dopo lampanti prove di disastrosi rigetti. L’evoluzione ha portato l’uomo ad adattarsi a vivere sulla terra. Ma egli non si è evoluto altrettanto nell’approfondire la convivenza, come spiega Bono.

Qui si sostiene invece che egli si sia tanto evoluto da sfruttare il suo potere conoscitivo al fine di ampliare il benessere della sola sua specie a danno degli altri esseri suoi compagni su questa terra e a scapito della terra stessa. Il non riconoscimento del diverso-da-sé è la più esplicita manifestazione dell’egoismo umano; il quale mira ad avere sempre di più, a vantaggio solo della sua propria prosperità. L’ “altro” esiste fin tanto che rende come cavia animale o come spazio su cui speculare. Non gli va riconosciuto alcun ruolo nel promuovere l’evoluzione del sapiens. Quest’ultimo in realtà è un dominus che molta strada deve ancora percorrere per arrivare alla vera sapienza, la quale si regge sia sul sapere scientifico sia sul riconoscimento dei suoi debiti verso il “diverso”.

Questa posizione non intende affatto criticare il progresso. È opportuno credere nell’uomo e nelle grandi capacità della sua mente; ammirare le scoperte scientifiche e i loro benefici. Quello che si vuole denunciare è l’indifferenza intenzionale, la sopraffazione sul “diverso” più debole, la speculazione distruttrice. Questo comportamento è così tanto deliberato da avere un turpe riscontro nell’asservimento di alcuni studiosi alle direttive delle grosse industrie. Queste, sotto l’etichetta della ricerca a fini scientifici, tendono in realtà al guadagno economico e al potere sociale.

Le parole che Bertold Brecht fa pronunciare a Galileo possono rendere più espliciti questi ragionamenti: “Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, coll’andare del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale” [B. Brecht, Vita di Galileo (1955), Torino, Einaudi, 1963, XIV].


[1] L’art. di Gabriele Bono, fisiologo ed etologo, prof. emerito dell’Università di Padova, si trova nel suo blog http://gabrielebono.wordpress.com

Il commento di Anna Pellanda compare “in contemporanea” nello stesso blog (a dicembre) e qui, con lievi variazioni.

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