Magazine Diario personale
Per dire, in inglese non mi verrebbe mai da dire "in quattro e quattrotto", che quickly non ha la stessa portata di rapidita' con improvvisazione, foga e un po' di allegria, In italiano non userei mai la parola comunita' per esprimere quel sentimento che identifico come a sense of community.
Il gruppo e' un insieme di individui che condividono un interesse comune, la comunita' e' un insieme di persone che condividono la stessa relazione sociale perche' appartenenti ad un' area circoscritta (i vicini, i compaesani, i connazionali) e per estensione, ad un aerea virtuale circoscritta (le mie amiche, le mie amiche mamme expat,le expat bloggers). Per cosi' tanti anni nella vita quotidiana all'estero ho potuto contare solo su me stessa, cercando nella mia community virtuale di persone, familiari, amiche, conoscenti, l'aiuto che potevano darmi: quello morale, affettivo, intellettuale,teorico. Quando l'ultimo anno al paesello francosvizzero incontrai Lara ed Alessandra, mi sembro' un tale miracolo poter ricevere una mano anche fisica da persone amiche, da non riuscire mai a chiederla, erano sempre loro a pensare cosa potesse servirmi mentre il Senator era via e io ero sola con le bimbe.
Quando sono arrivata a Varsavia ho trovato per la prima volta da molti anni, a sense of community sul territorio, fatta da parenti giovani e amici ereditati dal Senator come da nuove amiche trovate da me, coppie di vicini nel palazzo dove abitiamo, le maestre e la direttrice dell'asilo. Mi sembra tuttora cosi' bello da non essere vero.
Nel momento del bisogno ho ricevuto come sempre aiuto dalla mia community virtuale connessa pressoche' 24 ore su 24: tutto e' cominciato con la Viatrix che chiedeva aiuto perche' aveva male alla pancia e pochi minuti dopo per trovare confronto alla mia decisione di mandarla al prontosoccorso col padre, aprivo whatsapp e chiedevo se c'era qualcuno. Il bello e' che c'e' sempre qualcuno, per il semplice fatto che in quel momento in Wisconsin e in Georgia non erano le cinque del mattino e sfido chiunque a dire che la tecnologia non e' un dono per l'umanita', se la si usare in modo positivo.
Poche ore dopo abbiamo iniziato ad inventare la gestione delle due bimbe e tutta la logistica conseguente, di giorno in giorno: era cosi' tanto tempo che non potevo fare affidamento su cosi' tante persone, che pur nella necessita' mi sentivo bloccata da uno stupido imbarazzo di chiedere, di obbligare, di essere inopportuna, anche se in realta' chiedendo 20 cose a dieci persone diverse significava accollarne solo un paio testa.
Al terzo giorno, una mia carissima amica mi ha scritto: non voglio disturbati, fammi poi sapere quando sarete piu' tranquilli che ci sentiamo. In quel momento ho pensato che dopo l'intera giornata in ospedale, dopo tutta la paura del drenaggio il giorno prima, avevo voglia di sentirla e non c'era ragione di aspettare un momento piu' tranquillo, perche' avevo bisogno di lei in quel momento.
Cosi' in un guizzo di toscanita' le ho risposto: chiamami quando vuoi, non mi disturbi, non sono piemontese.
E' squillato skype e mi ha fatto bene parlare con lei.
Poi sono andata a dormire ripetendomi non sono piemontese, e non devo piu' farmi timori a chiedere a chi mi offre una mano.
Sono passati 15 giorni in cui ho chiesto tanto, ho ricevuto tanto.
Il postino ha portato alcuni pacchetti che hanno reso materiale l'affetto delle amiche della community on line: alcune preziose conferme di amicizia durevole negli anni, altre piacevoli sorprese.
Ora che la normalita' e' a sole 8 lavatrici di distanza, e' il momento di ringraziare.
Sto cucinando per chi ha cucinato per me.
Preparo sacchetti di tupparwares da rendere a cui aggiungo un biglietto e un piccolo pensiero.
Impilo libri prestati x intrattenere le bimbe e noi nelle notti ospedaliere e cerco altrettanti libri da prestare. Guardo i piccoli pensieri ricevuti e penso a come restituire queste gentilezze.
E scrivo questo post per ringraziare tutti voi che tramite la tecnologia non mi avete mai fatto sentire sola e siete riusciti a darmi una spalla su cui piangere o una battuta per ridere, ogni volta che c'e' stato bisogno.
E siccome si sa, noi italiani c'abbiam tanti difetti ma quanto a volemosebbene non ci batte nessuno, concludo con il vero inno dell'italian expat
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