Tappeto rosso, fotografi internazionali, divi
e dive del cinema e non solo, e “dopo-party” di gala targato rigorosamente Vanity
Fair. Negli Stati Uniti la cerimonia di premiazione dell’Academy Awards, gli
Oscar, il premio cinematografico più ambito del paese a stelle e strisce, in
prima serata, è un vero fenomeno di costume, attesissimo e trasmesso in tutto
il mondo, con una media di quarantatré milioni di telespettatori e, quest’anno,
l’insolito record fatto dalla conduttrice Elle De Generis, una delle più note
anchorwoman degli States, della foto (il selfie con tutti i principali attori
di questa stagione) più retwittata di sempre.
In Italia l’analoga cerimonia
cinematografica, i David di Donatello,
somiglia più ad una sagra di paese che ad un prestigioso riconoscimento della
critica della settima arte: trasmessa sul canale RaiMovie in pieno pomeriggio, e senza alcun risalto da parte di media
e tv. Affidata la conduzione a Paolo
Ruffini, ex vj di MTV, ex Colorado, ex “cervello in fuga” in tante commedie
italiane, e all’attrice italiana Anna
Foglietta, bravissima sì, ma incinta di cinque mesi, il che, diciamolo, non
è proprio il massimo dell’eleganza.
Una cerimonia in cui l’ex vj musicale ha
cercato di essere irriverente, ed invece è apparso solo stupido, dando della “topa”
a Sophia Loren, la quale non ha
tardato a manifestare il proprio disagio e disappunto per l’infelice battuta
del comico toscano, ignorando successivamente il selfie che il conduttore ha
tentato di scattarsi accanto alla diva italiana più famosa del mondo. Un
siparietto imbarazzato ed imbarazzante, per fortuna visto appena da 800.000
telespettatori (scarsi), e che di sicuro non resterà negli annali della
televisione italiana.
Una cerimonia di premiazione che nulla
toglie, e probabilmente nulla ha anche aggiunto, agli stessi film in concorso e
premiati. In un paese, come l’Italia, dove un premio (potenzialmente) così
prestigioso viene trattato in tal modo, è un po’ come sminuire il
riconoscimento stesso ai film in gara, la cui statuetta, ispirata alla celebre
scultura omonima in bronzo di Donatello del 1440, si trasforma così in mero contentino.
In diretta dagli Studi Nomentano 5
(in differita su RaiUno alle 23, vera
vergogna), come molto prevedibilmente, la cerimonia ha visto trionfare La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, già trionfatore agli
Oscar come miglior film straniero, che si riconferma anche in patria. Poco male
per Paolo Virzì, il cui Il capitale umano, porta comunque a
casa sette statuette, tra cui la più prestigiosa, quella di miglior film dell’anno.
Restano a bocca asciutta Allacciate le Cinture di Ozpetek,
e Smetto quando voglio di Sibilla, inizialmente molto gettonati.
Una cerimonia che sa di vergogna, lontana
anni luce dal fascino, dal glamour e dal sogno americano, che vediamo in tv d’oltreoceano,
e che i produttori ed attori italiani dovrebbero invece pretendere per il
rispetto del proprio lavoro e dei propri lavori, ma anche nel rispetto di quei
fan che con le loro pellicole, il loro talento ed estro creativo sognano,
riflettono, imparano a vivere.
Magazine Gossip
I David di Donatello 2014, la vergogna del cinema italiano
Creato il 11 giugno 2014 da Marianocervone @marianocervone
Tappeto rosso, fotografi internazionali, divi
e dive del cinema e non solo, e “dopo-party” di gala targato rigorosamente Vanity
Fair. Negli Stati Uniti la cerimonia di premiazione dell’Academy Awards, gli
Oscar, il premio cinematografico più ambito del paese a stelle e strisce, in
prima serata, è un vero fenomeno di costume, attesissimo e trasmesso in tutto
il mondo, con una media di quarantatré milioni di telespettatori e, quest’anno,
l’insolito record fatto dalla conduttrice Elle De Generis, una delle più note
anchorwoman degli States, della foto (il selfie con tutti i principali attori
di questa stagione) più retwittata di sempre.
In Italia l’analoga cerimonia
cinematografica, i David di Donatello,
somiglia più ad una sagra di paese che ad un prestigioso riconoscimento della
critica della settima arte: trasmessa sul canale RaiMovie in pieno pomeriggio, e senza alcun risalto da parte di media
e tv. Affidata la conduzione a Paolo
Ruffini, ex vj di MTV, ex Colorado, ex “cervello in fuga” in tante commedie
italiane, e all’attrice italiana Anna
Foglietta, bravissima sì, ma incinta di cinque mesi, il che, diciamolo, non
è proprio il massimo dell’eleganza.
Una cerimonia in cui l’ex vj musicale ha
cercato di essere irriverente, ed invece è apparso solo stupido, dando della “topa”
a Sophia Loren, la quale non ha
tardato a manifestare il proprio disagio e disappunto per l’infelice battuta
del comico toscano, ignorando successivamente il selfie che il conduttore ha
tentato di scattarsi accanto alla diva italiana più famosa del mondo. Un
siparietto imbarazzato ed imbarazzante, per fortuna visto appena da 800.000
telespettatori (scarsi), e che di sicuro non resterà negli annali della
televisione italiana.
Una cerimonia di premiazione che nulla
toglie, e probabilmente nulla ha anche aggiunto, agli stessi film in concorso e
premiati. In un paese, come l’Italia, dove un premio (potenzialmente) così
prestigioso viene trattato in tal modo, è un po’ come sminuire il
riconoscimento stesso ai film in gara, la cui statuetta, ispirata alla celebre
scultura omonima in bronzo di Donatello del 1440, si trasforma così in mero contentino.
In diretta dagli Studi Nomentano 5
(in differita su RaiUno alle 23, vera
vergogna), come molto prevedibilmente, la cerimonia ha visto trionfare La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, già trionfatore agli
Oscar come miglior film straniero, che si riconferma anche in patria. Poco male
per Paolo Virzì, il cui Il capitale umano, porta comunque a
casa sette statuette, tra cui la più prestigiosa, quella di miglior film dell’anno.
Restano a bocca asciutta Allacciate le Cinture di Ozpetek,
e Smetto quando voglio di Sibilla, inizialmente molto gettonati.
Una cerimonia che sa di vergogna, lontana
anni luce dal fascino, dal glamour e dal sogno americano, che vediamo in tv d’oltreoceano,
e che i produttori ed attori italiani dovrebbero invece pretendere per il
rispetto del proprio lavoro e dei propri lavori, ma anche nel rispetto di quei
fan che con le loro pellicole, il loro talento ed estro creativo sognano,
riflettono, imparano a vivere.
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