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PREMESSA. Mi imbatto nel romanzo di Giuseppe Culicchia e vedo che c’è anche il film, così mi vengono in mente gli Anto’ e Frusciante, poi c’ho messo i numeri primi perché in fondo il libro di Giordano lo vorrei leggere e così ho messo assieme romanzi d’esordi con ragazzi protagonisti e relativi film. A parte quello di Costanzo, non sono di gran spessore, o interessanti prove d’autore, quindi almeno per 3 su 4 si può passare direttamente per i libri, però non a tutti piace leggere, anche se questo è un blog e si legge. Se c’è qualche lettrice per esempio sarei curioso di sapere se ci sono libri o film che raccontino delle loro giovinezze, chessò tipo la trilogia di Sofia Coppola. In più sto affrontando la visione di Heimat e mettendo a registrare i Bambini di Golzow, che è un documentario vivente che dura più di 40 ore ed è già da pazzi pensare di vederlo.
“e io ti piaccio? – non lo so; non ci ho pensato. – mica bisogna pensarci! – se io non ci penso non capisco niente”: LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI – ITA\GER\FRA 2010, 118’. Regia di Saverio Costanzo. Il romanzo di Giordano ancora non l’ho letto. Si comincia benissimo, con una recita scolastica girata con la mano di Dario Argento, musiche dei Goblin pure, e nel film torneranno gli spunti horror, i colori di Suspiria, i corridoi fra Profondo Rosso e Shining. E mi è piaciuto moltissimo l’uso della musica, intra ed extra-diegetica ( che sentono anche i personaggi la prima, che accompagna il film l’altra ). Ci sono Mattia e Alice, raccontati con continui salti avanti e dietro da piccoli, durante il secondo superiore, poi quando lui sta per andare in Germania per il dottorato di ricerca e infine sette anni dopo, lui che è ingrassato e lei che non mangia. Il loro incontro avviene alle superiori, Alice zoppica in seguito ad un incidente con gli sci e viene derisa e maltrattata da un gruppetto di ragazzacce, salvo che poi Viola, una di esse, la prende con sé, comincia a farle apprezzare i vestiti, la spinge a conoscere un ragazzo. Sceglierà Mattia, riconoscendolo fra gli altri e invitandolo ad una festa. Mattia nel frattempo, ha cambiato molte scuole, si procura delle ferite tagliandosi, lascito del suo rapporto con la sorellina credo autistica, suicida, che una volta abbandonò fuori alla pioggia perché si vergognava di portarla con sé al compleanno di un amichetto. Si ritroveranno cresciuti, al matrimonio di Viola, e si daranno il bacio che non si diedero alla festa. Lui però se ne andrà lontano, perché è un genio, fino a tornare per rivederla, per viverci assieme chissà. Comunque, il bello di questo film sta tutto e giustamente nella sua realizzazione scenica, nella musica appunto, i synth inquietanti per le sequenze oniriche ( aleggia Kubrick ) e le canzoni che vivono assieme Alice e Mattia, come si fa a non sciogliersi quando i due si rincontrano ascoltando Bette Davis Eyes? Saverio Costanzo, di cui ho apprezzato sia Private che In memoria di me, sfrutta il romanzo e ci mette quello che può dare il cinema.
TUTTI GIÙ PER TERRA – ITA 1997, 98’. Regia di Davide Ferrario. Walter ( Valerio Mastandrea; per chi apprezza un po’ mostra ) ha 22 anni, studia lettere e filosofia senza molta convinzione, in più l’unico con cui scambia qualche parola è uno che odia Hegel; poi opta per il servizio civile, finendo al Centro Accoglienza Nomadi ed Extracomunitari, se ne va da casa portandosi appresso un “disagio esistenziale” ( potrei dire “leggasi verginità” ma non è tutto così facile ) e poi finirà a svolgere lavori qua e là, malpagato, maltrattato ecc.Mi è parsa un’opera troppo debole (si fa prima a leggere il romanzo che a vedere il film) e che soprattutto non aggiunge e non funziona perché a parte girare le scene di traverso e passare parecchia musica dei C.S.I. o cccp, più brandelli di Marlene Kuntz e poi non mi ricordo, disperde la freschezza e la cattiveria delle pagine di Culicchia. Disperde anche le risate, dovendo inventare gag istantanee che svuotano il film, slegando le macchiette che pure ci sono anche nel libro, ma inserite man mano che la storia procede e utili per esasperare il personaggio e raccontare il mondo che vive. Però forse sono troppo severo. Il regista, Davide Ferrario, è comunque un autore che vale la pena di seguire.
“Sballè, io oltre che punk de razza, so’ pure ‘na roccia degl’Abruzzi”: LA GUERRA DEGLI ANTO’ – ITA 1999, 90’. Regia di Riccardo Milani. Le vicende di quattro punk di Montesilvano, provincia di Pescara, prima e durante la Guerra del Golfo, divisi dall’amarezza e dalla rabbia, fra chi resta a combattere la cementificazione delle coste e chi prova a fuggire dalla leva obbligatoria ( anche se è uno scherzo ) e dal vuoto, verso Bologna, Amsterdam, l’università e la libertà. Detta così sembra chissà che storia, e anche in questo caso rimando al libro, Il disastro degli Antò ( che sto leggendo ) di Silvia Ballestra, perché così si possono apprezzare meglio la ricchezza linguistica, il dialetto, e il tono epico, o tragicomico, eroicomico ( oddio, qui sto andando alla cieca ). Poi non è così male il film, aiutano molto i quattro Anto’; Lu Purk, Lu Zombi, Lu Malatu e Lu Zorru, con il chiodo e le creste o i capelli a punta, colorati. Curiosa la presenza di Regina Orioli, nel film “sballestrera”, che incarna l’autrice e protegge i ragazzi. Anto’ Lu Purk è il protagonista e se ne va prima a studiare a Bologna, e poi a vivacchiare alla meno peggio ad Amsterdam, ma se prima si sentiva solo e poco apprezzato almeno aveva gli amici, in Olanda invece non conoscendo le lingue è solo e basta. Ha fatto però in tempo a conoscere la “pocciuta furia”, attenta a non disperdere le fragranze durante la copula e rispettosa dei tempi della Respirazione Sessuale. Vabbè. Il film poi si perde, un altro Anto’, disertore, raggiungerà Lu Purk ad Amsterdam e giù a Montesilvano li daranno per dispersi: arriverà Chi la Visto?, un incendio e poi di nuovo tutti assieme, com’era cominciata. E infatti le due scene più belle sono la prima e l’ultima: i quattro che scappano dai giostrai rom perché troppo sfrontati con una delle loro sorelle e salvati da Lu Purk che canta una loro canzone; ancora loro assieme sulla spiaggia, in riva la mare, con il cielo scuro e il mare scontroso, Battiato canta “la stagione dell’amore” e io mi alzo dal letto, timide lacrimucce a darmi il buongiorno.
JACK FRUSCIANTE È USCITO DAL GRUPPO – ITA 1996, 100’. Regia di Enza Negroni.Ancora Bologna, primi anni ’90 mi pare; liceo classico, colli su cui pedalare forte e il punk, suonato pure. L’eroe della storia, Alex, suona il basso e un giorno si innamora di Adelaide detta Aidi, fiabesca e indecisa, decisa a passare un anno in America per studiare. C’è il gruppo di cazzoni sbronzi lerci, per provare un po’ ad imitare il gergo, con cui suonare e sputarsi addosso, e poi c’è Martino, bello e dannato ( scontata oh yes ) che porta il nostro in una zona d’ombra, riflessioni esistenziali ed uscite dal cerchio, finché si spara un colpo e muore. I distacchi necessari o meno che potranno temprare l’animo di questo giovane in sella così presto esposto al vento. Gli scontri con i genitori. Pure se anche questo è un film esile, rimane nei ricordi,sarà il titolo, io ho cominciato a suonare la chitarra dopo aver ascoltato Scar Tissue, o insomma la possibilità di rivedersi o magari immaginarsi a rifare altri percorsi, lo si rivede come ci si raccontano le stesse storie con gli amici; che le sappiamo già, ma ci piace la nostra voce.
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