Magazine Diario personale

I fiori viola

Da Pupidizuccaro

fiori viola

Non ti ho nemmeno scelta, sei apparsa nella mia vita e razionalmente ho deciso che eri quella giusta. Bella, pulita, precisa, preparata. Eri quella perfetta da portare in giro, in palmo di mano, da crescere come compagna. Non troppo diversa dalla sposa indiana che i genitori del maschio scelgono in cambio di mucche e altre regalie.

T’ho visto crescere, prendere la vita di petto, diventar donna. Un Amico, uno di quelli veri, uno di quelli che non scegli ma che tra miliardi di differenze senti davvero come fratello m’ha detto la più grande verità: d’una donna non sono importanti né gli occhi né quello che le riempie la scollatura, l’unica cosa che conta sono gli amici. Sono loro il nostro vero biglietto da visita.

I libri che abbiamo letto, le citazioni che sappiamo snocciolare come grani di rosario son poca cosa. Grettezze, molliche per tentare di ritrovarci. Solo gli amici contano. E quando sei scappata via da noi pensavo d’essere solo. Poi come sempre Ivan era lì, accanto a me nei momenti più bui. C’era mentre i becchini chiudevano con lo stagno la cassa di mio padre, c’era quando la prima ragazzetta m’aveva lacerato il cuore, quello strappo che non passa mai davvero. C’era quando sono scappato di casa, c’era quando sono tornato.
Ma non ero solo. Negli anni, non so proprio perché, una mezza dozzina di persone mi hanno aperto il loro cuore. Siamo diventati veri amici, gli stessi che cercavo da una vita. Sarei pronto a prendermi un intero caricatore in petto per loro. Te l’avevo detto e t’eri pure incazzata: le donne passano, gli amici restano.

Tu mi hai donato Vinicio Capossela, io Harry Potter. Hai allargato i miei orizzonti e forse ho fatto lo stesso. C’è stato un momento che mi guardavi piena di stima. Ma l’amore, quello vero, non l’ho mai trovato in mezzo a tutti i tuoi silenzi. Ricordi? Ti dicevo che il motto della tua famiglia potevate prenderlo da quel verso di Pavese che recita “tacere è la nostra virtù”.

M’hai insegnato il colore dei fiori della melanzana, a scegliere la fragola più dolce, a camminare tra le fila delle lattughe. T’ho mentito solo una volta, quando t’ho spergiurato che per te avrei rinunciato alla scrittura.
Lei è l’unica che amo davvero, giorno dopo giorno. È lei l’indice del mio stato di salute. Quando la vita m’intossica scrivo della gran stronzate. E perdo le parole inseguendo ardite metafore che a nulla conducono.

Non ti ho mai tradita. L’ho schivata sta ignominia. Ma ho smesso pure io da un giorno all’altro d’amarti, senza strepiti. Non ho versato mezza lacrima. Quando hai troncato e sei sparita tra la neve mi sono sentito rinascere. E ti conosco abbastanza da sapere che per te è stato lo stesso. È mai possibile che due persone che si sono amate per tanti anni possano giungere a uno stallo che li àncora al regno dei lombrichi invece di fargli spiccare il volo? Dove finiscono tutte le promesse che uno si fa dopo aver fatto l’amore per mezzo decennio? Ho cercato di ricreare l’atmosfera ma non si può. Non si può tornare indietro. Mai.

Ogni scelta ci avvicina o ci scaglia a chilometri di distanza. T’ho salvato dalla solitudine a due. Cosa resta? Un orribile ciotola color glicine presa con rancore, un fumetto che mai nessuno mi regalerà, un libro che non leggerò perché compariresti tu tra le pagine.

Resto da solo, con la professione che ho scelto. Leggo, penso, scrivo. Sempre da solo. Tre azioni che nessuno può svolgere in tandem. A pagina 25 della Storia di Lisey, il bel romanzo di King che m’ha regalato Ivan prima di partire per l’altra faccia della Terra, il protagonista dice che c’è uno spazio che è solo nostro, in cui nessuno può entrare: la terra dei sogni, quando ci addormentiamo entriamo in un universo che è solo per noi. E io che faccio? Cerco d’isolarmi anche da sveglio. T’ho lasciato troppo sola. Ho fallito. T’avevo promesso che non saresti stata mai libera come in un mio abbraccio. Ma per quanto mi sono sforzato quell’abbraccio ti stava soffocando. E lo stesso stavi facendo tu.

Cosa ho imparato? Assolutamente niente. Sbaglierò di nuovo, e sempre platealmente. Ma ora so che non dobbiamo mai riporre la nostra felicità nelle mani degli altri.

Gli altri possono accompagnarci per un pezzo del cammino. Ma alla meta arriveremo sempre soli. O in compagnia di pochi e ottimi amici. Sono quelli che m’hanno fatto risorgere. Sono loro che non tradirò mai. Perché le donne passano e gli Amici restano.


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