di Emilio Barucci*
Negli ultimi dodici mesi il salvataggio dell’euro è sembrato passare tramite la progettazione di strumenti assai diversi tra loro. Nell’ordine di tempo: EFSF per soccorrere gli Stati, ESM, Eurobonds, fondo di redenzione del debito pubblico, fondo di garanzia dei depositi, EFSF per la ricapitalizzazione delle banche.
Si tratta di soluzioni che sono animate dalle più oneste intenzioni (il salvataggio dell’euro, il rafforzamento dell’UE e dell’euro) ma che alla prova dei fatti si sono rivelate essere dei palliativi: i mercati hanno tipicamente reagito bene all’annuncio della loro realizzazione o a passi avanti in quella direzione ma la luna di miele di solito è durata assai poco.
Sono strumenti diversi con alcuni tratti comuni. In buona sostanza non prevedono l’esborso di fondi pubblici ma soltanto la fornitura di garanzie da parte degli Stati. Gli Stati accantonano riserve e si impegnano a garantire obbligazioni emesse da un soggetto terzo o da altri Stati ma pronta cassa non debbono mettere sul piatto risorse. Non prevedono un esborso di denaro e non richiedono di stampare moneta da parte della BCE.
I mercati hanno mostrato di non credere a queste soluzioni per più di un motivo. Questi meccanismi in buona sostanza sono strumenti di ingegneria finanziaria che sfruttano il principio di diversificazione e di mutualità tra soggetti emittenti. Gli Stati forti non debbono fornire risorse a quelli deboli, la BCE non deve stampare moneta agitando lo spettro inflazionistico per tutta l’area dell’euro, ma gli Stati forti si debbono prendere parte del rischio di default degli Stati deboli.
I limiti di questa impostazione sono più di uno. In primo luogo la Merkel non è disposta a firmare una cambiale sull’operato degli altri paesi, questo spiega il lungo mercanteggiare attorno ad aspetti tecnici che fanno però la differenza. Questo spiega anche perché l’unico strumento davvero operativo (EFSF) operi secondo un regime di garanzia pro rata e non di garanzia illimitata da parte di ogni Stato. Non soltanto la Germania non è disponibile a salvare uno Stato trasferendogli fondi o stampando moneta, non è disponibile neppure a firmare una cambiale in bianco sulla sua virtuosità. A poco servono al riguardo i vincoli costituzionali sul pareggio di bilancio.
E’ curioso che si cerchi di uscire dalla crisi del debito degli Stati sovrani utilizzando esattamente gli strumenti che ci hanno portato alla crisi dei mutui subprime. Molti degli strumenti sopra menzionati sono infatti molto simili alle cartolarizzione dei mutui subprime. L’idea base è che la diversificazione tra gli emittenti dovrebbe permettere un minore rischio e quindi ridurre l’onerosità delle obbligazioni. L’EFSF, l’ESM e il fondo di redenzione del debito assomigliano molto ai famigerati CDO. La crisi finanziaria ci ha insegnato che questi strumenti sono molto difficili da costruire e da valutare. Il principio base che li rende interessanti funziona inoltre soltanto in presenza di shock idiosincratici (per i singoli paesi) ma non per shock di sistema (quali la rottura dell’euro). In questo caso questi gli strumenti sembrano assomigliare a dei catastrophe bonds. I mercati hanno fiutato questi problemi e sono diffidenti. Possono aderire a una proposta del genere soltanto in presenza di ingenti risorse a garanzia e di chiari meccanismi per la ripartizione dei rischi, come nel caso dell’EFSF dove l’ammontare delle garanzie (pesate in base al rating) è ben superiore alla sua potenza di fuoco. I dubbi sono invece ben presenti nel caso di altri strumenti (fondi di redenzione del debito, eurobonds, fondo di garanzia per i depositi), in questo caso non si capisce dove si andrebbero a prendere davvero le risorse necessarie. Lo stesso EFSF del resto è stato in grado di fare solo qualche timido passo raccogliendo pochi miliardi di euro in quasi due anni di attività. Sarebbe in grado di reperire le risorse per salvare il sistema bancario spagnolo?
Questo argomento ci porta al terzo punto di debolezza. Non essendo denaro pronta cassa, questi meccanismi agiscono sulle aspettative dei mercati. Convincerli non è facile, i mercati sanno bene infatti che i singoli paesi potrebbero non reggere l’onda d’urto delle proteste come sta avvenendo in Grecia. Del resto lo strumento più efficace per placare (temporaneamente) i mercati non è stato un annuncio di uno strumento cha verrà ma l’immissione di 1000 miliardi di liquidità nel sistema bancario da parte della BCE.
Il quarto motivo per cui questi strumenti non funzionano è che non rilanciano la crescita. Se ben congegnati sono in grado di garantire la stabilità dell’euro ma non di rilanciare la crescita. In questo momento di grande crisi occorrere infatti un’azione dal lato della domanda: senza la crescita del PIL, tenere sotto controllo il debito non basta.
Il tempo delle alchimie finanziarie è finito, a fine giugno i mercati si aspettano risposte concrete e tempestive sia sul fronte della stabilità dei conti pubblici che su quello della crescita, vedremo cosa salterà fuori dal cappello dei nostri leader. Le alchimie sono la piega oscura di tentativi di rilancio della governance europea (l’unione politica) e di un ritorno alla crescita via aumento di competitività che non sono però a portata di mano, nell’immediato serve piuttosto tornare a stampare moneta. Prima se ne accorgeranno a Berlino e meglio sarà per tutti.
* Professore di Matematica Finanziaria presso il Politecnico di Milano
originariamente pubblicato su nelMerito.com
Filed under: Economia, Europa Tagged: bce, efsf, esm, euro