“Secondo i media tunisini, che riportano indiscrezioni dell’inchiesta sull’attenato al museo del Bardo, il 18 marzo, giorno della strage, Abdelmajid Touil, il marocchino arrestato mercoledì nel Milanese, avrebbe incontrato in place Pasteur i due terroristi poi uccisi dalle forze speciali al museo. Proprio con loro si sarebbe poi diretto verso il Bardo.” (da Tgcom24) .
Indiscrezioni, fonti anonime, verbi al condizionale tracciano la rotta verso il Minotauro, la mitica pubblica opinione. Mitica come il mostro perché un’ opinione pubblica non esiste e sempre meno esisterà, travolta da quella fame giustizialista che allevia ansie volutamente instillate nella popolazione.
Vitali sono i problemi del nostro tempo, scarse le capacità di quelli che li dovrebbero capire e affrontare. Occorre loro, per restare sulla vetta dove si sono arrampicati, cadenzare notizie placebo. Il giornalismo collaborante, e in Italia la generalità lo è, si acconcia. Si fa barca che, dalla sconfitta Atene della Ragione, trasporta il tributo al Minotauro. Là nel Labirinto dove siamo noi, mitica pubblica opinione.
Il giornalista Amedeo Ricucci – in un post pubblico della sua pagina Facebook – il giorno 20 maggio anticipava “Sull’arresto di Abdel Majid Touil ieri pomeriggio, mentre molte testate italiane sbattevano in prima pagina la faccia del “mostro” che aveva prima “ideato”, poi “eseguito”, infine “supportato” la strage al museo del bardo a Tunisi, mi sono permesso di avanzare qualche dubbio e di far notare i “toni” molto più prudenti usati dalla stampa internazionale.”
E il 21 Ricucci raccoglieva, come quadrifogli in un prato, rari spunti di giornalismo “pensato”
Oggi scopro che i miei dubbi non erano così peregrini, tant’è che diversi stimati colleghi, invece di accodarsi al gregge, li condividono. Cito:
1) “Nessuno spiega perché si sia deciso di annunciare con grande enfasi la cattura di un “pericoloso terrorista” prima di verificare la fondatezza delle accuse” (Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera). La stessa Sarzanini aggiunge: “Se era inserito in una cellula terroristica che pianificava un attacco così eclatante, perché aveva deciso di lasciare il suo Paese qualche settimana prima, entrare in Libia e poi partire con un mezzo di fortuna per raggiungere il Paese dove vive la sua famiglia”?”.
2) Sulla Stampa Paolo Colonnello: “Come ha fatto a rientrare in Italia dalla Tunisia se davvero è tornato lì per compiere l’attentato?”‘. E poi: “Non solo la famiglia ma anche i vicini testimoniano che non si è mai mosso da Gaggiano: come si spiega?”
3) Su Repubblica Carlo Bonini: “Cosa prova la circostanza che questo giovane marocchino sia arrivato in Italia su un barcone? Nulla. Anzi è la prova che i barconi della disperazione sono la più insicura delle rotte eventualmente scelte per infiltrarsi.. Perché chi arriva via mare viene subito identificato e cessa dunque di essere invisibile appena mette piede sulle nostre coste”.
Ce n’è abbastanza. direi, per guardare a questa vicenda con occhio meno da pesce lesso. Ricordandoci ad esempio che il nesso barconi/terrorismo islamico è solo un “teorema” politico e senza dimenticare poi che le autorità tunisine hanno un disperato bisogno di trovare dei colpevoli per quella strage del 18 marzo che ha messo a nudo tutta loro debolezza di fronte al pericolo del terrorismo islamico.