Pubblicato da massimomaugeri su ottobre 22, 2011
Partendo dal presupposto che i media e Internet sono strumenti, e che gli strumenti in quanto tali non vanno né demonizzati né santificati (dipende – banale, ma vero – dall’uso che se ne fa), ritengo che le preoccupazioni di Papa Ratzinger siano tutt’altro che peregrine. Proprio nei giorni scorsi, sul mio blog Letteratitudine, ho proposto un dibattito on line sul tema della “dipendenza da Internet” ospitando il prof. Federico Tonioni, psichiatria romano dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e Tossicodipendenze del Policlinico Gemelli (Tonioni ha appena pubblicato con Einaudi un volume intitolato “Quando Internet diventa una droga”). Un rischio, infatti, che non va sottovalutato da parte degli assidui frequentatori della rete è che in alcuni casi si possa sviluppare, in maniera inconsapevole, una vera e propria dipendenza. È ovvio che, nel momento in cui ciò dovesse verificarsi, la capacità di vivere momenti di silenzio interiore sarebbe fortemente compromessa. Come sottolinea Tonioni, però, la dipendenza in sé non è sinonimo di malattia: «se le cose funzionano e il contesto affettivo dove si cresce è sano, la dipendenza non diventa una malattia ma rimane una tendenza naturale della nostra mente che diminuisce con il passare degli anni senza peraltro sparire mai. Le relazioni web mediate diventano patologiche soltanto se non sono più in funzione della realtà ma tendono a sostituirla». Il resto – precisa Tonioni – fa parte inevitabilmente di un’evoluzione nel modo di stare al mondo evidente nei più giovani, nati e cresciuti nell’era digitale.
Aggiungo quest’altra considerazione: secondo i parametri della società frenetica in cui tutti noi oggi siamo immersi, solitudine e silenzio sono considerati spesso come disvalori. Si tende, cioè, a considerarli più nella loro accezione negativa che in quella positiva. Mai generalizzare, però. Ci sono persone che, per una serie di motivi, vivono in contesti di solitudine forzata e per le quali le relazioni on line rappresentano un toccasana. Altre, invece, che finiscono con il rimanere invischiate in nuove forme di solitudini affollate, di solipsismi di massa. Ogni storia è un caso a sé. Una cosa è certa: la possibilità di crearsi spazi introspettivi, di beneficiare di momenti di silenzio dove ritrovare se stessi e la pace interiore, rimane comunque un’esigenza. E se rispetto alle innovazioni tecnologiche applicate alla comunicazione non si può tornare indietro (per fortuna, direi), forse converrebbe puntare su nuove forme di educazione collettiva volte a fornire all’individuo post-duemila gli strumenti per godere del “suono del silenzio”, come cantavano Simon & Garfunkel nei già peraltro rumorosi anni Sessanta. Magari utilizzando come slogan le seguenti parole di Schopenhauer: dall’albero del silenzio pende il suo frutto, la pace.
Massimo Maugeri
(articolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia del 19 ottobre 2011 nell’ambito di una pagina dedicata ai “giovani e il silenzio”)