I guardiani del destino
Creato il 03 luglio 2011 da Sostiene Pereira...
Si avverte, ultimamente, in alcune produzioni hollywoodiane, l'evidente influenza estetica di una serie televisiva di successo come Mad Men, ambientata a cavallo tra gli anni '50 e '60, periodo fiorente della pubblicità e di coloro che ne concepiscono i meccanismi e i messaggi da proporre al potenziale acquirente.La serie, di pregevole fattura estetica, ha riportato in auge uno stile che ha acuito inevitabilmente quel desiderio di ritorno nostalgico al passato che si riverbera, come si diceva sopra, anche nel cinema contemporaneo, creando un falsopiano temporale che sembra atemporalizzare opere come questa di Nolfi, seppur sia evincibile con un minimo ed evidente scrupolo di attenzione, la contemporaneità della sua rappresentazione.La presenza di uno dei protagonisti della serie sopra citata, come anche nel caso di X - Men - L'inizio, che in questo caso è volutamente collocato in un preciso periodo storico ed in maniera ammiccante usufruisce anch'esso di una delle figure principali di Mad Men, connota subito i rimandi ad un prodotto televisivo ben definito, che costituisce un richiamo voluto ad un tentativo forse di rassicurante visione dell'insieme narrativo.Al di là di queste influenze, che potrebbero costituire solo un unicum casuale, come ci insegna il film stesso, tratto da un racconto di Dick, in cui tutto pare predeterminato, quando non è il caso a metterci lo zampino, il film non sembra aggiungere nulla di nuovo al tema dell'esistenza o meno del libero arbitrio umano, inserendovi esplicitamente delle figure precise che intervengono attivamente e massivamente nelle esistenze umane ed in particolare in quelle dei due protagonisti, votati ad un sicuro successo, ma legati da un amore che pare vincere ogni piano predefinito da un'entità superiore ed invisibile, le cui emanazioni sono figure dallo stile retrò.Eppure, il film di Nolfi riesce ad imprimere un'estetica interessante che fotografa la città di New York in maniera quasi opprimente ed oppressiva nei confronti dell'individuo, che lotta contro un sistema preimpostato contro la sua volontà, riuscendo comunque a far appassionare lo spettatore ad una vicenda d'amore, che ha nella sua drammaticità un punto di forza e di attaccamento alle vicende dei suoi protagonisti.Sembra quasi che il Matt Damon, visto nell'ultimo film di Eastwood, tenti questa volta di reagire e lottare più intensamente e pervicacemente, di quanto non avesse fatto in allora in Hereafter per vincere la propria solitudine autoimposta.Qui la solitudine del protagonista viene combattuta attraverso l'appagamento e il riconoscimento del suo bacino elettorale, che lo riconosce e lo ama, ma senza avere quello scambio di affettività e riscontro che lo stesso sembra ricercare e che trova casualmente nell'incontro casuale con l'amore della sua vita, ma destinato a non trovare un suo appagamento, come gli rammenta in maniera molto semplice il redivivo "angelo" pasoliniano Terence Stamp.Un dramma romantico, che potrebbe deludere i cultori di Dick e interessare gli amanti delle storie d'amore, i quali si troveranno lievemente spiazzati da questa rappresentazione in chiave "fantascientifica", ma non troppo, grazie ad un'umanizzazione ed un'estetica precisa che rimanda, come sopra detto, ad un referente culturale e visivo ben preciso ed elegantemente affascinante, nonché desiderabile.
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