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I miti dell’Hockey….Jacques Plante (by Vito De Romeo)

Creato il 22 gennaio 2013 da Simo785

I miti dell’Hockey….Jacques Plante (by Vito De Romeo)I miti dell’Hockey….Jacques Plante (by Vito De Romeo)I miti dell’Hockey….Jacques Plante (by Vito De Romeo)

I miti dell’Hockey…..

Jacques Plante, il più grande portiere di tutti i tempi.

Ogni sport ha i suoi miti: così come Pelé e Maradona stanno al calcio, Nuvolari e Senna all’automobilismo, e Mohammed Alì alla boxe, allo stesso modo Jacques Plante sta all’hockey su ghiaccio.

Chi era Jacques Plante? Jacques Plante è stato un grande portiere degli anni ’50, anzi, il più grande di tutti i tempi. Jacques Plante fu colui che rivoluzionò il modo di stare in porta. Fu lui che estese il ruolo del portiere anche al di fuori della propria gabbia. Non si era mai visto prima di lui un portiere che abbandonasse la propria porta per anticipare in uscita un avversario, per velocizzare la ripartenza della propria squadra, impostando l’azione col primo passaggio, e non si era nemmeno mai visto un portiere districarsi tanto bene nel giocare il disco col bastone.

Altra cosa che ha reso eterno Jacques Plante è stato l’utilizzo della maschera. Infatti Plante è stato il primo portiere ad utilizzare la maschera protettiva, quando la cosa non era concepibile, in quanto giocatori e portieri giocavano privi di protezioni al volto e alla testa.

Jacques Plante, al secolo Joseph Jacques Omer Plante, nasce il 17 gennaio del 1929 a Shawinigan Falls in Québec (Canada).  Cresciuto in un ambiente modesto, in una famiglia di undici filgi,  Jacques mostra sin da piccolo un interesse per l’hockey, che pratica con gli amici sul lago ghiacciato nei pressi di casa sua. La sua prima mazza da portiere la riceve come regalo di natale. Suo padre, non potendo mettere che frutta nelle calze dei propri figli sotto l’albero di natale, si dilettava a costruire con notevole inventiva qualche gioco in legno per loro, e fu proprio così che costruì lui stesso la prima mazza da portiere per Jacques, così come due gambali da portiere, ricavati da due sacchi di patate opportunamente imbottiti.

Altra nota di colore dell’infanzia di Jacques, è quella del suo berretto di lana. Un giorno Jacques chiese a sua madre di fargli un berretto di lana per proteggersi dal freddo quando giocava a hockey. Sua madre gli diede due ferri da maglia, un gomitolo di lana, e gli insegno l’arte del lavoro a maglia. Il giovane Plante, determinato in tutto ciò che faceva, imparò subito, tanto da provvedere egli stesso non solo al berretto, ma anche al maglione e ai calzettoni da hockey.

Una cosa che ha compreso sin da piccolo il giovane Plante, è che la fortuna aiuta gli audaci, tanto che a soli 12 anni, mentre segue un incontro di hockey della squadra della sua scuola, assiste al litigio del coach con il proprio portiere, il quale lascia il campo. Non vi erano portieri di riserva, e il giovane Plante, nonostante l’età media della squadra fosse di 16/17 anni, si propone con caparbietà all’allenatore, il quale non avendo altre soluzioni, lo fece posizionare davanti alla porta. Fu così che Plante, davanti a quella gabbia ci rimase stabilmente per altri tre anni. Notevolmente ambizioso, Plante un giorno decide che deve andare oltre, e si presenta col suo borsone alla pista di ghiaccio della sua città, dove gioca una squadra di livello intermedio. Ha saputo che la squadra non ha un portiere di riserva, e allora, dotato di una buona faccia tosta, si propone al coach come riserva. Anche se titubante, vista la determinazione del ragazzo, il coach accetta. Si fece subito spazio e diventò subito l’idolo della formazione di questa piccola cittadina canadese. Ovviamente a quei livelli non era prevista remunerazione, ma lui, convinto da suo padre, tentò lo stesso di ottenere un compenso dal suo coach, il quale accettò di dargli 50 cents a partita, a patto che gli altri giocatori non lo venissero a sapere. Questo fu anche l’inizio per lui di una stretta correlazione tra amore per lo sport e attenzione ai propri interessi economici, cosa che lo contraddistinguerà per tutta la sua carriera.

Si mette subito in luce e riceve offerte da tutto il paese, ma preferisce restare nella sua cittadina fino al conseguimento di un diploma. Dopo il diploma inizia a lavorare in una fabbrica della zona. I Canadiens di Montréal, nel 1947, lo selezionano per un provino. Entusiasti del suo talento, i Canadiens gli propongono un contratto, che lui, una volta letto, rifiuta asserendo che guadagna di più col suo stipendio da operaio in fabbrica. Torna pertanto a giocare per altri due anni nei Cittadelles de Québec, prima che i Canadiens non tornino nuovamente alla carica, questa volta con una proposta più allettante. I Canadiens lo dirottano su una formazione di seconda fascia, Montréal Royals, al fine di fare esperienza per tre anni.

Quando il mitico portiere dei Canadiens, nella stagione 1949-1950 annuncia il suo ritiro, il suo posto viene preso da Gerry Mc Neil, e per Plante si apre la porta della NHL, anche se come secondo portiere dei Canadiens, la squadra più importante del mondo. Nel mese di ottobre del ’52, il portiere titolare subisce un infortunio alla mascella, e Plante viene chiamato a sostituirlo per tre mesi.  Si distingue subito per un litigio col suo coach, che non gradiva il fatto che Plante indossasse il suo berretto di lana mentre giocava, tanto da proibirgli di utilizzare accessori di vestiario che lo distinguessero dai suoi compagni. Plante ingaggia una vera e propria guerra col suo coach sull’argomento, tanto che dalla stampa venne battezzata “la battaglia del berretto”. Pur di non dargliela vinta, il giorno del debutto da titolare, il coach fece sparire tutti i berretti di Plante dallo spogliatoio, il quale fu costretto alla fine a scendere in pista privo del suo copricapo porta fortuna.

L’anno successivo fu dirottato in AHL con i Buffalo Bisons, dove scatenò da subito l’entusiasmo dei tifosi. La sua sola presenza portò un aumento di pubblico sugli spalti mai visto prima: si passò dai soliti 2000 spettatori a 9000! In quel contesto si guadagnò il soprannome di “Jacke the snake” (Jacke il serpente).

Alla fine di quel campionato, i Canadiens si ritrovano ai Playoff contro i Chicago Blackhawks, dopo 5 incontri si ritrovano sotto per 3 a 2, e il coach Dick Irvin decide di calare un asso dalla manica: con una scelta coraggiosa e spregiudicata, decide di schierare Jacques Plante a difesa della gabbia dei Canadiens. Nonostante la scarsa esperienza in NHL, solo 3 incontri, Plante si rivela decisivo e chiude il primo incontro a rete inviolata, portando i Canadiens alla vittoria per 3-0. Arrivati in finale, viene schierato nei primi due match di finale playoff contro i Boston Bruins, prima di lasciare il posto al rientrante titolare di gabbia Mc Neill. Quell’anno i Canadiens di Montréal si aggiudicano la mitica Stanley Cup, e il nome di Jacques Plante rimarrà da sempre legato alla vittoria di quel trofeo. L’anno successivo Plante torna ai Buffalo, segnando un tabellino impressionante, con ben cinque Shootout (incontri a rete inviolata, cosa insolita per l’hockey su ghiaccio), e così, quando Mc Neill esce malconcio dalle finali playoff, a Montréal si chiude l’era Mc Neill ed inizia quella del più grande di tutti i tempi, ossia Jacques Plante.

Con Plante a difendere la gabbia, i Canadiens si aggiudicano 5 Stanley Cup consecutive, e Plante vince per ben 5 volte il premio Vézina (assegnato al portiere che raggiunge il punteggio migliore in termini di parate e goal subiti). Quella formazione dei Canadiens è probabilmente la più forte franchigia di tutti i tempi. Cresce così il mito di Plante, così come cresce il suo stile del tutto innovativo di gioco. Infatti Plante è il primo portiere ad interpretare in modo diverso il suo ruolo, lui esce dalla gabbia per anticipare gli attaccanti avversari, per raccogliere il disco da dietro la gabbia e rilanciare con maggiore velocità il gioco dei propri compagni di movimento. Inoltre, quasi come se fosse un libero calcistico o un regista arretrato, diventa spesso un giocatore aggiunto in pista, e guida dalle retrovie le proprie linee di movimento. Prima di Plante, i portieri restavano inchiodati alla loro gabbia, limitandosi a difenderla in modo statico. Va detto che Plante, contrariamente alla maggior parte dei portieri, è molto dotato nella gestione del disco col bastone, e con le sue uscite infonde sicurezza a tutto il reparto difensivo.

La cosa che però segnerà il mito di Plante per sempre, è quella dell’utilizzo della maschera protettiva. Fino a quel momento, i portieri non usavano maschere o caschi protettivi. Fu proprio Plante, che a seguito di un intervento al naso, decise di indossare una maschera protettiva, da lui stesso congeniata in modo artigianale, durante gli allenamenti, ritenendo al quanto stupido di rischiare ferite permanenti al volto, per il gusto di giocare privi di protezione. Il suo coach Hector Blake gli vietò di utilizzare la maschera durante le gare. Nonostante il divieto, Plante continua a studiare e concepire maschere protettive durante gli allenamenti. Nel 1958, affascinato dalla teoria di un Bill Burchmore, ex giocatore ora occupato per una ditta di fibre leggere, si convince che si possono utilizzare materiali più modellabili e leggeri per costruire maschere protettive. I due si incontrano, fanno il calco del viso di Jacques Plante e modellano un’innovativa maschera in fibra leggera. Il coach Hector Blake sconsiglia Plante di utilizzare in gare la nuova maschera, e Plante inizia la nuova stagione giocando ancora senza maschera. Si arriva così a quella storica sera del 1 novembre al Madison Square Garden di New York, quando i Canadiens affrontano i New York Rangers.  Nel corso del primo tempo, un disco scagliato con violenza verso la porta di Plante, lo colpisce al viso, procurandogli uno squarcio notevole, tanto da costringerlo ad abbandonare la pista per farsi suturare. Negli spogliatoi litiga furiosamente con il suo coach, dicendogli che non riprenderà parte all’incontro se non protetto dalla sua maschera. Il coach Blake andò su tutte le furie, ma non avendo portiere di riserva (in quel periodo le squadre non ne avevano in formazione), fu costretto a piegarsi alla testardaggine di Plante, strappandogli la promessa che avrebbe rinunciato alla sua maschera non appena rimarginate le sue ferite. Mai promessa fu più vana, in quanto quella sera del Madison Square Garden, segnò inesorabilmente una svolta per la storia dell’Hockey su ghiaccio, e la maschera protettiva ancora oggi deve la sua introduzione al genio e alla caparbietà di Jacques Plante.

Negli anni successivi, un fastidio al ginocchio ne compromette il rendimento. La mitica compagine di Montréal vede diversi giocatori infortunati, e il segno del tempo che passa inizia a farsi evidente. Plante, contrariamente a tanti giocatori del NHL ha un carattere introverso, schivo e poco propenso alle pubbliche relazioni. Rivive nella vita privata il suo ruolo in pista, solo, davanti alla sua gabbia, a difendersi da tutti. In una conversazione arrivò a dire: “ no, non mi faccio mai degli amici. Né nell’hockey, né altrove. Quanto meno, non più sin dalla mia adolescenza. Perché questo? Bhe, se siete vicini a qualcuno, dovete essere predisposto a piacergli.” Le sconfitte non rendono più semplici le cose nello spogliatoio dei Canadiens, e fu allora che Plante prende la strada di New York per giocare con i Rangers. Dopo due anni deludenti nella Grande Mela, annuncia il suo ritiro dall’hockey.

Dopo tre anni lontano dalle piste, Plante decide di accettare la proposta dei Blues di Saint Louis per la cifra di 35’000 dollari, e a 40 anni si rimette i pattini e si riposiziona davanti ad una gabbia. Incredibilmente ritrova subito una forma strepitosa, rivince il Vézina e porta la sua compagine in finale, dove affronterà, perdendo, i suoi ex compagni dei Canadiens. L’anno successivo i Blues raggiungono di nuovo la finale, ma questa volta si piegano ai Boston Bruins. La stagione successiva passa al Toronto, per poi raggiungere i Boston Bruins qualche mese più tardi, portandoli alle qualificazioni playoff. Decide in seguito, di diventare allenatore, e per una stagione siede sulla panchina dei Nordiques de Québec, prima di rimettersi in gioco a 46 anni per difendere la porta degli Edmonton Oilers. A dispetto degli anni, la sua stagione è decorosa, nonostante i numerosi acciacchi fisici. Turbato dalla scomparsa prematura di uno dei suoi figli a causa di un incidente, decide di smettere e di trasferirsi in Svizzera, a Sierre, dove mette la sua esperienza a disposizione dei portieri del rinomato club locale HC Sierre. L’anno seguente sarà seguito da un’altra stella dei Canadiens di Montréal, il giocatore-allenatore Jacques Lemaire. Plante , ricoprendo vari incarichi all’interno del club elvetico, rimarrà a Sierre fino alla fine dei suoi giorni, arrivata il 27 febbraio del 1986, quando viene stroncato da un male incurabile.

Terminato questo racconto, ci tengo a spiegare il motivo di tanta ammirazione da parte mia, nei confronti di questo incredibile personaggio. Io a Sierre, ultima residenza di Plante, ci sono nato e cresciuto. La mia infanzia l’ho trascorsa sul ghiaccio del palaghiaccio Graben, nelle fila del settore giovanile del HC Sierre, e i miei miti non erano Platini o Maradona, ma Jacques Plante, Jacques Lemaire, Wayne Gretsky, ecc…. tutti i grandi astri della NHL, ai quali io e i miei coetanei guardavamo con ammirazione. Il ricordo di questi grandi miti, così come gli insegnamenti ricevuti da piccolo, da fior di campioni che misero la loro esperienza al servizio dei più giovani sul ghiaccio di Sierre, avranno sempre un posto di prestigio nel cassetto della mia memoria. Qualche sera fa, assistendo all’incontro di hockey della massima serie italiana, tra l’Asiago e il Pontebba, guardando alla porta degli stellati mi sono venuti i brividi, allorquando ho realizzato che il nuovo portierone dell’Asiago si chiama Plante, Tyler Plante (presumo si tratti solo di un caso di omonimia, ma mi informerò). Quando poi ho notato la sua disinvoltura nell’uscire dalla gabbia e la sua bravura nel gioco del disco col bastone, il mio pensiero è tornato a mitico e inarrivabile Jacques Plante, idolo di quando ero ancora un bambino. E così, ho riavvolto il nastro della memoria, e ho pensato bene di dedicare il primo articolo della serie dedicata ai miti dell’hockey all’indimenticabile Jacques Plante.


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