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I neurologi Gandolfini e Gigli: «terapia per stati vegetativi, non sono irreversibili»

Creato il 29 marzo 2011 da Uccronline

I neurologi Gandolfini e Gigli: «terapia per stati vegetativi, non sono irreversibili»L’Associazione Scienza & Vita ha pubblicato un editoriale curato dal dott. Massimo Gandolfini, Direttore del Dipartimento Neuroscienze e Primario Neurochirurgo della Fondazione Poliambulanza di Brescia e dal dott. Gian Luigi Gigli, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Udine e membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Neurologia (SIN). Il documento aiuta ad avere una visione scientificamente aggiornata sullo Stato Vegetativo.

RISCHI DI ENTRARE IN STATO VEGETATIVO. Qualche dato iniziale. in Italia sono circa 150mila le persone che vanno in coma a seguito di un trauma cranico. Di questi circa il 15% muore, il 10% si salva riportando gravi lesioni neurologiche e lo 0,5% entra in Stato Vegetativo (SV). Il restante 74,5% può ritornare ad una vita normale o con disabilità non gravi. Chi è invece colpito da “Ictus” (malattie cerebrovascolari acute), sono 180mila pazienti all’anno: il 20% muore, il 10% riporta gravi deficit neurologici, l’1% entra in SV ed il restante 70% circa può riprendere la propria vita, anche con qualche disabilità.

DIFFERENZE TRA “COMA”, “STATO VEGETATIVO” (SV) E “STATO DI MINIMA COSCIENZA” (SMC). Il coma è uno stato di abolizione della coscienza e delle funzioni somatiche (corporee). Ciò significa che il paziente giace immobile, ad occhi chiusi, non risvegliabile, e non presenta risposte finalizzate (cioè congrue) evocate da stimoli esterni (dolorifici, acustici, visivi). Lo Stato Vegetativo è connotato dalla conservazione della vigilanza (il paziente ha gli occhi aperti e presenta una certa conservazione del ritmo sonno-veglia) e dalla “non evidenza” della consapevolezza di sé e dell’ambiente (non essendo in grado di comunicare con l’esterno). Esiste un terzo quadro clinico, lo “Stato di Minima Coscienza” (SMC). Il paziente è in grado di esprimere una qualche limitata consapevolezza di sé e dell’ambiente, presenta una certa verbalizzazione (con risposte verbali o posturali, tipo si/no) a stimoli esterni. Può anche rappresentare uno stato temporaneo di evoluzione positiva dallo SV alla restituito ad integrum, più o meno completa.

LO SV “SENTE MA NON PERCEPISCE”, LO SMC “SENTE E PERCEPISCE”. Mentre il coma è caratterizzato dalla mancanza di vigilanza e consapevolezza, lo Stato Vegetativo è connotato dalla conservazione della vigilanza (il paziente ha gli occhi aperti e presenta una certa conservazione del ritmo sonno-veglia) e dalla “non evidenza” della consapevolezza di sé e dell’ambiente (non essendo in grado di comunicare con l’esterno). Le certezze acquisite tramite il “Multimodal Brain Imaging” (quattro tecniche: PET (tomografia a positroni), fRMN (risonanza magnetica funzionale), l’EEG/TMS (elettroencefalogramma con stimolazione magnetica transcranica), DTI (tomografia a gradiente di spostamento di molecole d’acqua) sono queste:
1) lo Stato Vegetativo non è caratterizzato dalla “morte corticale” o dalla “morte cerebrale”: la stimolazione passiva (acustica, visiva e dolorifica) ha documentato che le cosiddette “aree cerebrali primarie” sensoriali (corticali e sottocorticali), bersaglio degli stimoli, sono attive ed attivate. Invece le “aree secondarie” e le “aree associative” appaiono “spente”, cioè non attivate. Questo comporta che non c’è consapevolezza piena di un certo stimolo. Si può dire che il paziente in SV, allo stato attuale delle nostre conoscenze, “sente ma non percepisce”, cioè percepisce lo stimolo ma non produce una risposta. Nulla si può dire però di quanto avviene “ad intra”, cioè circa la “percezione interna” del paziente stesso.
2) Diversamente, un paziente in Stato di Minima Coscienza, “sente e percepisce”.
3) Tutto ciò ha portato ad accantonare definitivamente il concetto di “assenza” di coscienza, propendendo verso il più prudente concetto di “non evidenza” di coscienza. Sul piano strettamente pratico, questa mancanza di sicurezza assoluta circa la “non percezione” fonda il dovere clinico e deontologico della somministrazione della terapia antalgica: in un paziente in SMC il trattamento contro il dolore è imperativo, così come lo deve essere in un paziente in SV in ottemperanza ad un giusto principio di precauzione.

NON ESISTE LO “STATO VEGETATIVO PERMANENTE” (O IRREVERSIBILE). Nel 1994 la MultiSociety Task Force on PVS aveva decretato che uno SV che perdurava da più di tre mesi da un danno cerebrale anossico e da più di un anno da un danno cerebrale traumatico doveva essere considerato (e dichiarato) “permanente”. Oggi la ricerca scientifica ed il progresso tecnologico ci consentono di attenuare sensibilmente quell’affermazione: sono numerosi i casi documentati di “uscita” dallo SV verso uno Stato di Minima Coscienza, così come molto numerosi sono i casi di errore di diagnosi fra SV e SMC (tra il 18 e il 43%). Sulla base di queste considerazioni, la comunità scientifica ha accantonato la dizione “permanente” (oggi utilizzata più in termini ideologici ed utilitaristici che scientifici), assumendo un atteggiamento più prudente (si noti che dietro il concetto di “permanente” c’è il concetto di “irreversibile”) con il termine “persistente” o “prolungato”, che lascia la porta aperta all’ulteriore ricerca sia diagnostica che terapeutica. Il rapido evolversi delle nostre conoscenze in tema di funzionamento cerebrale e di possibile rigenerazione neuronale (cellule staminali neuronali locoregionali) rende impossibile porre un limite temporale oltre il quale si può dichiarare impossibile qualsiasi forma di recupero. Studiando uno degli ultimi casi di “risveglio” dopo uno SVP durato 19 anni (Terry Wallis), le indagini RMN/DTI hanno documentato che le fibre assonali danneggiate erano “ricresciute”, ricomponendo e riattivando networks neuronali bloccati da molti anni. Un interessante studio svolto presso l’Università di Cambridge nel 2009 ha documentato che, sottoponendo soggetti in SV e SMC a test di condizionamento “negativo” (secondo lo schema di Pavlov), è documentabile una certa capacità di “apprendimento”, che non si ottiene nei volontari sani anestetizzati con Propofol.

CONCLUSIONE: CURA “ATTIVA” E TERAPIA PER SV, NO ALL’ABBANDONO. Le conclusioni sono che occorre assumere sempre un atteggiamento di cura “attivo” nei confronti di queste persone, rifuggendo derive di rassegnazione o, peggio, di abbandono, fino ad invocare azioni eutanasiche. Dovere di cura verso ogni paziente ed in ogni circostanza, escludendo ogni forma di accanimento terapeutico. La razionale speranza di un miglioramente clinico è scientificamente fondata. Occorre veicolare – in termini non solo scientifici – la cultura di un diverso approccio agli “stati vegetativi”: da un atteggiamento passivo che pone queste persone nel novero dei “pazienti terminali”, a un approccio responsabile, fatto di cura e di terapia, verso persone con massima disabilità.


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