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I nominati

Creato il 05 agosto 2011 da Faustodesiderio

La Camera dei deputati somiglia a una classe di ripetenti che non conoscono i libri di testo e faticano a parlare in italiano. Le cronache parlamentari ieri riferivano che solo quando ha preso la parola Pier Ferdinando Casini “molti deputati hanno spento l’Ipad” e si sono messi in ascolto perché “quando i deputati italiani spengono l’Ipad significa che il loro istinto gli ha segnalato che qualcosa di interessante sta per accadere”. Il resto dello “spettacolo”  – il dibattito è stato trasmesso in diretta almeno su due reti: RaiTre e Canale5 -  è stato desolante perché i deputati che hanno parlato  – Bersani, Alfano, Reguzzoni, Di Pietro -  hanno dimostrato con “parole, opere e omissioni” di non essere all’altezza del compito. Spiace dirlo, ma il giudizio è qui una testimonianza.

Diciamolo con una formula: la classe politica della Prima repubblica era più preparata. Perché? Perché erano altri tempi, perché c’erano i partiti, perché il papa non è re? Forse, semplicemente perché erano eletti  – come si dice -  dal popolo. Oggi, come è noto, i deputati sono “nominati”. Oggi più di ieri, molto più di ieri, i deputati devono dimostrare solo di essere fedeli al capo che li mette in lista e li nomina per farli eleggere in Parlamento. Dunque, la qualità primaria del parlamentare  – il saper parlare bene e con cognizione di causa in pubblico, vale a dire l’eloquenza -  è andata perduta: il modo in cui il deputato diventa deputato non richiede più una buona formazione culturale. Anzi, averla potrebbe essere d’intoppo. Ma un Parlamento di non parlanti o di parlanti dalle idee confuse e indistinte è un Parlamento di non pensanti giacché il buon pensiero è figlio della chiarezza linguistica. Il Parlamento è stato riempito di portaborse, portavoce e portafogli, di signorine, di tailleur e di tacchi 12 ma è stato svuotato di cervelli, conoscenze e coscienze. Troppo duro? Ma lo spettacolo è stato visto e sentito da tutti e le prove abbondano.

Il punto all’ordine del giorno era noto da giorni: il serio e concreto pericolo che l’Italia diventi la Grecia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si era preoccupato di sottolineare la necessità di maturare uno spirito di coesione nazionale. Antonio Di Pietro si alza ed esordisce come se fosse un attore del caro vecchio avanspettacolo: “Caro Silvio, ma lei ci fa o ci è? E fino a che punto pensa di prendere in giro gli italiani?”. Poco prima il capogruppo della Lega, Reguzzoni, aveva inveito contro i falsi invalidi, non solo andando fuori tema ma dimenticando che la Lega è al governo da ben oltre dieci anni e invece di debellare il fenomeno dei falsi invalidi ha preferito far nascere il fenomeno dei falsi ministeri. Angelino Alfano è sempre più calato nella parte di angelino custode del capo del governo e del capo del suo partito e il massimo che riesce a dire è che i mercati non fanno i governi e non riesce a fare il passo successivo che gli dovrebbe suggerire l’idea che i governi a volte facciano la loro parte nei mercati. Ma il primo a parlare era stato quel Bersani lì che subito viene chiamato “Crozza” da una voce che alza lo sguardo dall’Ipad. Dopo aver espresso il massimo del concetto che le cose non vanno bene come il presidente del Consiglio vuol dare a bere utilizzando la metafora del cielo azzurro con qualche nuvoletta, Bersani cala l’asso: “Voi fate un passo indietro e noi facciamo un passo avanti”. Signori elettori e telespettatori, come già sapete questo è il massimo del dibattito che è venuto fuori dalla Camera (del Senato non parlo visto che la minestra riscaldata del discorso del presidente Berlusconi è stata addirittura salutata da una standing ovation finale degna del Titanic).

Le due cose  – il discorso del premier e il dibattito parlamentare -  si tengono per mano e si guardano allo specchio. L’uno richiama l’altro. Sarà per questo che ci troviamo nel mezzo di una crisi economico-finanziaria e, nonostante conosciamo da tempo malattia e cura, non riusciamo a venirne fuori? E’ stato detto più volte e vale la pena ripeterlo: gli italiani, risparmiatori e gente avveduta, hanno fatto la loro parte e continuano a farla con lavoro, tasse, decoro. C’è, però, nell’azienda-Italia una rotella che non gira per il verso giusto: il governo e il ceto politico nel suo insieme. Il governo è al minimo storico di credibilità, mentre l’opposizione  – con l’unica eccezione dei moderati e di Casini -  non si fa avanti per anticipare gli effetti della manovra economica che fissa il pareggio di bilancio (ormai solo astratto) al 2014. Il governo con il discorso tutto rose e fiori del premier e con i commenti primavera dei ministri e dei deputati della maggioranza  – la Gelmini, ad esempio: “Berlusconi ha pronunciato un discorso alto e nobile” -  non fa nulla per tendere la mano e l’opposizione con il livore che dice “prima te ne vai meglio è” non fa nulla per tendere l’altra mano. Risultato: una nazione intera nei momenti di pericolo sa di non poter contare sulla classe dirigente che è al governo e che siede a Montecitorio. E’ l’epilogo, senza nottola di Minerva, della Seconda repubblica.

tratto da Liberal del 5 agosto 2011



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