Corrono voci di scissione nel Pd, anche se c’è chi eroicamente resiste all’interno del partito dopo che Renzi alla Leopolda ha lasciato a intendere che gradirebbe una bella scrematura. D’Alema lo esclude categoricamente: non ha fatto una emerita cippa in quarant’anni di onorato servizio sotto le varie nomenclature della sinistra e iniziare a lavorare adesso sarebbe a dir poco traumatico.
In fondo Massimo è paziente, lo è sempre stato: come per Berlusconi aspetterà che il fenomeno Renzi si sgonfi da solo: se ci va di lusso basteranno appena vent’anni, nei quali il paese – sotto i bombardamenti di una preconfezionata inconcludenza retorica, tanto letale quanto stucchevole – verrà dilaniato una volta per tutte. Sarà stato un lavoro duro e impegnativo, ma se si inizia qualcosa la si deve finire; non si può lasciare il berlusconismo incompiuto. Si sappia: il renzismo le cose mozzicate le presenta solo in parlamento!
Civati invece si è concesso un mese per decidere. Vuole prima riorganizzare le idee, ritrovare se stesso, concedersi una quindicina di giorni di meditazione col suo istruttore di pilates e fare due conti col suo ragioniere prima di prendere una decisione, qualunque essa sia, decisione che si rivelerà sempre e comunque sbagliata!
Cuperlo resta in silenzio, fa dunque quello che gli è sempre riuscito meglio.
La dissidente Bindi si è reinventata contestatrice di piazza e litiga in diretta tv con la vicesegretaria leopoldina Serrachiani; in quel miserando frangente pare si sia miracolosamente realizzata una frattura temporale, la Bindi del 2014 litigava con la se stessa del 1994; in definitiva una democristiana in diaspora, transumata per puro carrierismo politico lì dove non c’entra una benamata mazza in eterna lotta contro se stessa.
La Serrachiani è forse più il tipo da “animatrice barra reclutatrice” di indifesi innocenti per la “Festa dell’amicizia” mentre la Bindi sembra più una campionessa di tracanno di spuma con la mazza fionda sempre carica, ma diamo tempo alla Serrachiani, in fondo è ancora giovane e la metamorfosi è lunga.
Fassina invece è sempre abitato da un isterismo latente; ha la faccia sempre scontenta e livida, sembra un pancreas stressato, ma, nonostante tutto, vuole tenere duro e resistere all’interno del partito. Lui vorrebbe tanto somigliare a Trotskij ma ne teme la brutta fine, nessuno gli ha detto che Renzi non è Stalin e che al massimo il comandante in capo alla finocchiona può fregargli l’antiacido mentre è ospite a cena da Fabio Volo!
Tante parole ma nessun atto di vero coraggio nei confronti dello slittamento a destra del partito, né nel restare e né nell’andare via; l’ala antirenziana ha comunque troppi privilegi, anche se in minoranza, e realizzare una scissione per racimolare a stento 5 o 6 punti percentuali sarebbe un suicidio; dunque non mi meraviglierei se tra un paio di mesi vedremo la sinistra Dem coccolare e diffondere la propaganda plastificata del renzismo.
Tutti parlano ma nessuno si mette in gioco: la “strana cosa” che oggi porta il nome di partito democratico è finalmente vincente ed è al potere; certo ha rinunciato e denigra le sue origini, e perde iscritti come se fossero dissidenti trombati dei cinque stelle, e poco conta se è alla guida di un paese di fatto “commissariato”, ma ora governa senza reali opposizioni. Il piatto è troppo ricco.
Il carrozzone è diventata una fuoriserie e tutti vogliono farci un giretto, anche se negli interni si sente una puzza strana da quando Berlusconi se l’è allegramente cointestata con Renzi al Nazareno.
Ma anche Matteo finge, e anche più del solito, cosa che richiede uno sforzo di ipocrisia disumano, anche per lui. Il segretario del partito e “presidentello” del consiglio provoca la minoranza ma teme comunque la scissione, specialmente adesso che è al governo: da un lato potrebbe avere il giocattolo tutto per sé, ma dall’altro rischia le elezioni anticipate in un clima da guerra civile. Ha i nervi a fior di pelle e nelle segrete stanze – a iphone rigorosamente spento – impreca non poco, ma lo fa in inglese … così non capisce “beotamente” neanche lui quello che dice, tanto per cambiare.
L’Italia è un paese strano, l’incontro claque e artificioso di un numero non identificato di mezze tacche in una stazione abbandonata di Firenze – gonfiato a dovere e senza vergogna da un’informazione prona – è riuscito a mettere in crisi un paese, mentre una bomba fatta esplodere il 2 agosto nel 1980 nella stazione strapiena di Bologna riuscì – con 85 vittime innocenti – segretamente e alla chetichella a rinsaldare i poteri forti.
Sono paradossi che ancora dovrebbero provocare quantomeno una punta cronica di vergogna, ma basta lasciare che tutto scivoli silenziosamente dalle nostre coscienze per precipitare, con tutti i suoi misteri irrisolti, tra le righe di qualche capitolo di un anonimo libro storia e il gioco è fatto. Ora siamo circondati e invasi dal ridicolo che meritiamo.
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fonte foto: Le Vignette di Mario Bochicchio
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