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Numerosi promotori (da qui in poi userò per semplicità il termine professori come sinonimo di promotori) di Cambiare si può (una parte consistente? la maggioranza? tutti?) si sono dissociati dall'esito che ha avuto - la proposta politica di Rivoluzione Civile - il processo di costruzione a sinistra di una lista alternativa al liberismo e al montismo, concorrente del centrosinistra subalterno ai diktat della Troika (Commissione Europea, BCE, FMI) di PD e SEL, del partito dei ricchi e del Vaticano di Monti, della destra berlusconiana, del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Si tratta di una scelta che corrisponde a critiche e perplessità condivise da parte più o meno vasta del popolo dell'alternativa e dell'antagonismo: l'imposizione della leadership 'non contendibile' di Ingroia (con il nome a contraddistinguere la lista nel solco della deriva personalistica della politica), la centralità, anche attraverso la scelta di un magistrato come front-man, data al tema della legalità, peraltro intesa come lotta alle mafie e alla corruzione, anziché ai temi sociali, alla pace, alla questione dell'euro e del fiscal compact, la regia e la supremazia di fatto assunte nella costruzione della proposta politica e, conseguentemente, nella prossima individuazione delle candidature dai 'soliti' partiti – Rifondazione Comunista, Italia dei Valori, Comunisti Italiani, la Federazione dei Verdi – con la riproposizione in lista di personaggi contestati e controversi (Di Pietro, Diliberto, Bonelli), ambigui nelle posizioni politiche rispetto al centrosinistra (avendo alcuni di essi tentato fino all'ultimo di farne parte) ed in contraddizione, con le proprie scelte passate, rispetto a punti identitari del programma di Rivoluzione Civile quali il no alle missioni di guerra all'estero, il rifiuto delle grandi opere ed il sostegno alle lotte dei movimenti, condotta anche con atti di disubbidienza civile, e soggetta alla repressione delle forze di polizia e della magistratura.
Premesso che gli autori dell'appello di Cambiare si può, emanazione di ALBA, costituiscono gran parte dei miei riferimenti culturali e ideali, che fondamentalmente attraverso di essi si è formata la mia percezione ed interpretazione della realtà sociale ed economica attuale e dando loro atto dell'autocritica fatta su errori compiuti e l'ingenuità dimostrata in questa vicenda, credo vi sia tutta una serie di punti e di aspetti sui quali vale la pena di riflettere e sui quali sarebbe importante ricevere delle risposte.
Perché si è arrivati al tentativo di costruire una lista alternativa a pochi mesi dalle elezioni pur essendo nel 2013 la fine naturale della legislatura, anticipata solo di un paio di mesi, e quando anzi diversi retroscenisti politici avevano prospettato la possibilità di elezioni nel 2012? Con l'unica sorpresa dell'impegno diretto di Monti nella campagna elettorale il quadro dell'offerta politica era chiaro da tempo: il centrosinistra con il PD ormai interno alle logiche del capitalismo e del mercato, il ritorno di Berlusconi, il centro clericale di Casini e Fini, l'opposizione anticasta di Beppe Grillo. Il mio piccolo appello per la costruzione di un'alternativa io l'avevo pubblicato a gennaio 2011 sul sito del Movimento Radicalsocialista. Capisco come scrive Paul Ginsborg che il progetto di ALBA e Cambiare si può poteva avere gambe adeguate solo con l'adesione di Maurizio Landini che invece ha preferito, per ragioni che io non considero valide, restare alla finestra. Forse si è deciso di agire, ai primi di novembre, solo quando era chiaro che Vendola non aveva alcuna possibilità di vincere le primarie del centrosinistra. In ogni caso resta un inspiegabile e colpevole ritardo.
La politica è fatta di idee, di valori, di programmi ma anche di numeri (di militanti, di elettori almeno potenziali risultanti dai sondaggi), di organizzazione, di struttura, di strategie per comunicare con i cittadini, per mobilitarli e far sì che possano condividere le proprie proposte e contribuire attivamente alla loro definizione. Sono entrambi elementi indispensabili: una politica costituita solo da bei programmi è cosa da centri studi o da riviste per accademici, una politica fatta solo di strategie elettorali per la conquista del consenso e da manovre di palazzo per conquistare poltrone è quella politica che ha prodotto un baratro tra sé e i cittadini ed ha innescato la lotta anticasta. Pensare di trattare con i partiti senza avere alcuna forza alle spalle, unicamente fondandosi sulle proprie convinzioni, era evidentemente velleitario ed è stato gioco facile per vecchie volpi della politica far prevalere la propria strategia.
Ancora, credo che bisognerebbe ragionare e discutere su di un tema quale la democrazia partecipata e diretta. Mi riconosco totalmente in ciò che scrive Giulietto Chiesa al riguardo: la politica richiede certo una cittadinanza attiva e consapevole, informata e convinta della necessità di partecipare alla vita pubblica ma al contempo di élites politiche e intellettuali in grado di definire le strategie, di definire il quadro di massima di un progetto. Tutti i partiti, dal Movimento 5 Stelle della democrazia partecipata e orizzontale al PDL di Berlusconi, dal Partito Democratico alla pletora delle formazioni personalistiche che contraddistinguono il panorama italiano, seguono questo schema verticistico. Del resto anche le assemblee possono essere manovrate (Chi ha deciso chi le presiede? Chi e come ha diritto di parola? Chi sceglie l'ordine del giorno? Chi scrive le mozioni finali? E' possibile la presenza di infiltrati o di claques organizzate? Chi sceglie gli organi di coordinamento 'provvisori'? Come si misura la reale rappresentatività dei movimenti sul territorio? Si tiene conto che esistono persone che saprebbero dire (e fare) cose giuste e valide ma che non hanno la possibilità/attitudine di farlo in un'assemblea pubblica?) e tanto più le votazioni sul web laddove non si controlli l'identità di chi si è iscritto ed eventuali ragioni di incompatibilità (quale ad esempio l'appartenenza ad altre organizzazioni concorrenti o rivali). In ogni caso è ben singolare che dopo aver prospettato un processo che fosse espressione della volontà degli aderenti si decida di tirarsene fuori nel momento in cui l'esito dello stesso non ha corrisposto ai propri desiderata. L'appello, ormai diventato un mantra generalizzato, alla società civile contrapposta alla casta politica, alla democrazia costruita dal basso intesa non solo, come deve essere giustamente, nel senso di identificare ciò che corrisponde al bene comune ma come realizzazione concreta di un'organizzazione partitica, mi sembra qualcosa di irrealizzabile ed utopico ed anzi spesso, anche se non è il caso di Cambiare si può, un vero e proprio inganno. Può darsi che mi sbagli e mi auguro in futuro di essere smentito dai fatti. Per il momento mi accontenterei di una dirigenza capace, onesta, trasparente negli obiettivi e nei metodi, che non mascheri il proprio ruolo piuttosto che rincorrere una pretesa democrazia dal basso falsa o condotta in modo dilettantesco o pasticcione.
Infine esiste l'annosa e ormai noiosa questione della collocazione a sinistra nello spazio politico. Esistono due tipologie di forze politiche che negano la dicotomia destra-sinistra: quelle di destra mascherata (Monti e c.) e quelle di alternativa radicale. Per queste ultime il termine sinistra è ormai un inganno, è stato screditato nella coscienza dei cittadini ed in particolare dei giovani dall'azione dei cosiddetti partiti di sinistra (PD ma non solo). Però la grande maggioranza di chi aderisce a progetti come ALBA e Cambiare si può questo problema non se lo pone: vi aderisce perché convinto di avere a che fare con una proposta di sinistra. Ma se non ci si deve più definire di sinistra e tanto meno socialisti o comunisti bisognerebbe però chiarire quali sono le altre parole che possono evocare un modello alternativo a quello dominante? Presumo che il nuovo modello a cui si ispirano i Professori sia quello di una società dei beni comuni ma è qualcosa al momento, almeno per una persona come me mediamente informata e pur attenta ai fenomeni politici, di molto vago e ambiguo che non chiarisce come trasferire l'autogestione locale di imprese e servizi alle questioni nazionali (la moneta, l'energia, il divario nord – sud e via dicendo). E a quali ceti sociali ci si rivolge? Ai ceti medi riflessivi come fa Paul Ginsborg o si deve lamentare, come hanno fatto altri, che la presenza di Di Pietro nella lista di Rivoluzione Civile farà perdere le potenziali simpatie dei membri dei centri sociali? Si vogliono rappresentare interessi concreti e di parte o solo opinioni? E dove sono i milioni di potenziali elettori per questa Alternativa? Tutti si riferiscono all'area dell'astensione come se in essa non confluissero motivazioni tra loro contrapposte e non conciliabili (protesta ma anche disinteresse ed indifferenza verso la politica). La stessa rappresentazione del 99 per cento dei cittadini dominati dal restante uno per cento è, come dice ad esempio Alfonso Gianni, una rappresentazione semplicistica: chi vota Bersani o Monti o Berlusconi lo fa non solo per abitudine o perché ingannato dai media ma anche perché in questo sistema ci sta decentemente o bene o benissimo. Dove sono i giovani? Nelle assemblee di Cambiare si può di Roma l'età media dei partecipanti era desolatamente vicina ai 70 anni! E dunque come si conquista la maggioranza alle elezioni e si fronteggiano quei formidabili fattori di distorsione della democrazia che caratterizzano i cosiddetti regimi liberali ed in particolare l'Italia: il potere del grande capitale, la condizione di subalternità dell'Italia rispetto ad alcune potenze mondiali esercitata attraverso apparati militari (la NATO) ed i servizi segreti, il Vaticano, l'assenza di un'informazione realmente libera e pluralista, le mafie, la corruzione, il voto di scambio e il clientelismo? Si è molto citato l'esempio dei referendum sull'acqua quale modello organizzativo ispiratore di Cambiare si può: ma qui dov'erano i movimenti che avevano aderito al Forum dell'acqua e che avrebbero dovuto e potuto dare forza all'appello dei professori? I referendum su acqua (e nucleare) erano poi sotto certi aspetti a-ideologici, avevano a che fare con bisogni concreti né di destra né di sinistra (il prezzo della bolletta dell'acqua; la sicurezza nella produzione dell'energia). Presumo che sia questo ciò a cui pensano i professori quando parlano di una politica dei beni comuni che esca dalla logica di destra e sinistra ma diventa difficile tradurlo in termini di intenzione di voto quando i movimenti e le associazioni che hanno sostenuto i referendum a loro volta non si schierano anche per la formazione di una nuova lista, non essendo peraltro chiaro se erano consentite o richieste adesioni collettive, e magari restano fedeli agli eventuali propri partiti di riferimento.
Rispetto alle urgenze elettorali, stante i ritardi e gli equivoci, è difficile dunque pensare a qualcosa di realisticamente diverso dalla lista di Rivoluzione Civile in cui i partiti dell'opposizione radicale pur rinunciando ai propri simboli continuano a contribuire con la propria forza organizzativa e la propria residua popolarità elettorale. Trovo ingenerosa e sbagliata ora la dissociazione dei professori, quasi si mettessero sulla riva del fiume ad attendere il passaggio del cadavere del nemico per poi poter affermare 'noi l'avevamo detto', di fronte alla priorità di portare in Parlamento una rappresentanza dell'opposizione radicale che, insieme al Movimento 5 Stelle e magari a qualche illuminato esponente di SEL, possa domani contrastare le politiche liberiste e la macelleria sociale sulla quale concordano Bersani, Monti e Berlusconi.
E per quanto riguarda l'ostracismo verso Di Pietro e Ferrero (personalmente più giustificato quello verso Diliberto ..), cosa si rimprovera a Paolo Ferrero che in questi cinque anni ha fatto opposizione coerente al di fuori del Parlamento, ha sostenuto tutte le mobilitazioni e le proteste sociali, ha testardamente perseguito l'unità elettorale delle forze di opposizione radicale? Quanto a Di Pietro si dimentica la svolta 'di sinistra' che il suo partito ha avuto dal 2009 candidando (ed in alcuni casi facendo eleggere) alle europee personaggi come Maurizio Zipponi, Gianni Vattimo, Luigi De Magistris, Sonia Alfano; si ignora che Di Pietro se avesse supinamente appoggiato il governo Monti e non contestato l'azione di Napolitano, pro-Berlusconi prima e pro-Monti poi, ora sarebbe comodamente in coalizione con il PD e candidato ad un posto di Ministro. E magari non avrebbe subito la subdola rappresaglia dei media attraverso la piddina Gabanelli di Report. Lo stesso richiamo in negativo all'esperienza della Lista Arcobaleno che non raggiunse il quorum nel 2008 mi sembra sbagliato: sono diverse le condizioni storiche (la condanna per le modalità di partecipazione al governo Prodi e per i risultati ottenuti; il ricatto veltroniano del voto utile contro Berlusconi) rispetto all'oggi (dove è forte, dopo l'esperienza del governo Monti, la necessità di opporsi alle politiche dell'austerità e antisociali imposte dai mercati finanziari). La soluzione ideale sarebbe stata la presenza sulla scheda elettorale anche di Cambiare si può coalizzato con Ingroia ma si torna ancora una volta sulla questione dei numeri e del quorum. La lista di Rivoluzione Civile, sicuramente non perfetta e diversa da ciò che molti di noi avrebbe voluto, può però rappresentare il nucleo di una proposta politica radicalmente nuova se sarà accompagnata ora ma soprattutto in futuro da un lavoro che deve essere svolto in profondità nella società. Dipenderà anche dai risultati elettorali: con consensi a cavallo del quorum del quattro per cento, un po' sopra un po' sotto, i partiti che sostengono la lista non si sentiranno in alcun modo condizionati rispetto ai propri obiettivi ed interessi particolari, se invece raggiungerà percentuali più vicine al 10 per cento acquisterà la forza e l'autorevolezza di una proposta realmente autonoma. Cari professori scendete dall'Aventino virtuale su cui siete saliti: la ricostruzione culturale, politica, etica dell'Italia ha bisogno, oggi e tanto più domani, di voi.
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