Fino a quando non cominci a capirci qualcosa di questa meravigliosa lingua, incomprensibile a noi europei a meno di averla studiata – e anche fosse, chissà chi si ricorderebbe qualcosa – ti limiti, tu europeo infarcito di luoghi comuni sull’oriente, a nutrirti di kebab senza chiederti quale sia il pasto completo di un turco. Poi invece cominci a cercare altro, anche perché il kebab alla lunga sfinisce.
La colazione più turca mai provata è stata a Safranbolu: uova sode, caffè turco o tè, salame, formaggio, burro e miele, olive nere, cetrioli e pomodori. Volendo uno si strafoga a colazione e può non vedere niente fino a cena. Chiaramente, noi gourmand Faber Castell (diminutivo etimologico di Ferrero Castellari) non ci siamo mai fatti mancare un pasto; i pranzi migliori li abbiamo consumati a Çavusin, vicino a Göreme, in Cappadocia. Di frequente preceduto da una zuppa – çorba, la mia preferita è al pomodoro piccantina, quella del #belGabriele si chiama iskembe çorba e contiene tocchetti di trippa, (il #belGabriele tiene inoltre a far sapere al mondo che la più buona è servita a Bartin, addirittura vuole che citi il nome del locale, Güner Lokantasi) – il pranzo turco è costituito da un piatto unico, molto spesso a base di riso basmati e carne in umido, tipo spezzatino, o interiora tipo fegatelli. Ma ci sono anche peperonate simili alla nostra, fagioli, zuppe di lenticchie (altra mia passione) e peperoni ripieni.
Il köfte è poi una variante del kebab fatto a polpette.
Ho mangiato poi manti, una specie di tortellini ripieni di ricotta e verdure, tanto che stavo per intonare “Romagna mia” nel bel mezzo di Sultanhamet.
Né più né meno della nostra cucina mediterranea, insomma, una cucina poco valorizzata nei kebabbari italiani, dove però avevo assaggiato l’ayran e quindi l’ho fatto scoprire al #belGabriele, il quale da quel momento in poi non vedeva l’ora di farsi una scorpacciata di fermenti lattici per prevenire problemi intestinali (l’ayran è uno yogurt liquido al naturale piuttosto aspro).
A proposito di luoghi comuni: il #belGabriele insiste a lavarsi i denti con l’acqua in bottiglia mentre io non lo faccio per pigrizia dal terzo giorno e non ho subito alcuna conseguenza; io lavo le verdure con l’acqua di rubinetto, le mangio anche crude e non succede niente; insomma, magari meglio non berla ’sta acqua del sindaco, però, per il resto, personalmente io non ho avuto problemi.
Ad Amasra, sul mar Nero, oltre a un’insalata fresca che porta il nome della cittadina, una specie di costruzione architettonica di verdure crude, abbiamo scofanato gustosi piatti di vari pesci, che gira che ti rigira sono un po’ tutti simili (il più frequente è il palamut, la nostra palamita), ma che hanno la peculiarità di essere prima grigliati e poi impanati e fritti velocemente. Il fritto regna sovrano e spesso ti propongono hamsi, sardine, appunto, fritte. La cosa meno convincente sono i gamberetti cotti in un recipiente di terracotta con il formaggio tipo Philadelphia sciolto sopra, ma ha i suoi estimatori (leggi il #belGabriele).
Chiudo infine con i dolci, troppo dolci perfino per il #belGabriele che non ha retto alla scarica calorica dei lokum al pistacchio, preferendogli un inedito (in Italia) çikolata pistachio (sic.). Sia io che lui invece ci troviamo d’accordo sulla superiorità del baklava – sfoglia al miele e, va da sé, al pistacchio – su tutti gli altri dolci.
In genere per scegliere un ristorante ci affidiamo ad Atatürk: più ritratti del presidente ci sono appesi alle pareti più la cucina è buona (è scientifico, non osate contraddirmi).