Giunto davanti alla Madonna benedicente, che troneggiava su una grande colonna bianca, il ferryboat sembrò rallentare come per genuflettersi e, imbiancate le schiume dello Stretto, entrò severamente a Messina simile ad una processione sollenne in chiesa. Fu soprattutto la scritta in latino scolpita sul massiccio che reggeva la colonna, «Vos et ipsam civitatem benedicimus», ad impresisonare vivamente Muhamma Abdullah al-Dulaimi, diretto per la prima volta in Sicilia: dove però entrava dal lato dal quale erano penetrati i Normanni a deporre la dominazione islamica anzichè da quello, nell'altra parte dell'isola, da cui erano arrivati gli Arabi a imporre la loro civiltà.Come definirlo questo romanzo? Mi viene difficile dire, arrivato all'ultima pagina, se è un thriller religioso, piuttosto che non un libro a tema religioso/storico con delle venature di giallo.
Da lontano la colonna bianca gli era sembrata un minareto della sua Bassora e il cuore gli aveva dato un sussulto giacchè la prima cosa che vedeva della Sicilia era un simbolo islamico. Perché no? In fondo la Sicilia non era l'unica terra in Italia dove più a lungo avesse primeggiato il sacro Corano?
"I sette giorni di Hallah" nasce come giallo, passa attraverso dense pagine di storia, religione, pitture, simboli religiosi, per terminare come un thriller dove terroristi, si mescola assieme passato e presente. La dominazione araba nella terra di Sicilia avvenuta tra l'800 e il 1000, e la storia di oggi. Il terrorismo islamico, le rivendicazioni del numero due di Al Qaeda, al-Zahawiri, che nel 2006 esortava gli islamici a portare il jihad nelle terre un tempo sacre, innanzitutto l’Andalusia e la Sicilia.
Proprio in Sicilia sbarca, a Messina, un professore iraqeno di storia islamica, al-Dulaimi, nella sua mente ritornano proprio le parole di poeti e intelletuali arabi dedicate a questa terra. Una terra di dominazioni, che l'hanno fatta diventare la terra degli opposti, della sicilianità raccontata da Vittorini, Sciascia, Pirandello.
E sempre la stessa Sicilia, negli ultimi giorni del dicembre 2007, diviene teatro di una serie di episodi di sangue: un puparo ucciso e la sua bottega viene data alle fiamme, mentre l'assassino ha salvato le maschere dei mori. Sul muro la scritta «Il sangue di El».
Poi viene ucciso un anziano, cui vengono trovate accanto sette monete.
Una vecchia megera e un bambino di sette anni il cui corpo viene tracciato dal simbolo della croce.
Un altro anziano, omonimo del pittore Salvatore Fiamma (che nei suoi quadri aveva denigrato la religione di Maometto), la quinta vittima.
Di questi delitti si occupa il capo della Mobile di Catania, Antonio Meli, che chiede la collaborazione del professor Nicola Di Cristoforo, un professore specialista di Islam, della storia dell'Isola, nonchè amico del commissario.
Il professore lo porta a seguire una pista per cui dietro queste morti potrebbe esserci la mano di fondamentalisti islamici.
Persone capaci di colpire senza lasciare traccia, se non quei segni vicono alle vittime, dal forte valore simbolico, che solo una persona esperta è capace di interpretare.
Come Di Cristoforo.
Simboli come il numero sette, come sette sono i giorni del peleggrinaggio verso La Mecca, che è in corso proprio in quei giorni.
Di altra idea è invece la moglie di Meli, Giulia, studiosa di religioni, che invece dai simboli trovati, dai luoghi in cui sono trovate le persone, propende più per una pista che porta ad una setta di eretici cristiani, che si rifanno al culto del Battista, dell'arcangelo Uriel (uno dei sette arcangeli originali, che poi la Chiesa cancellò dal culto), della Maddalena.
Meli viene messo in difficoltà, da queste due piste divergenti, che arrivano da persone di cui si fida: forse il professore lo sta volutamente depistando, perchè anche lui fa parte del gruppo di terroristi che sta approntando l'attentato finale, il numero sette?
O è la moglie che si è fatta prendere la mano dai simboli, le teorie di complotti, su sette eretiche che affondano le radici nella storia antica della religione cattolica.
O forse è qualcun altro, che sta dietro il professore e Meli, che sta manovrando tutti e due.
Ed è una difficoltà che arriva fino al lettore, che pagina dopo pagina, si troverà di fronte a luoghi poco noti della Sicilia (il paese di Mineo, Scicli, piazza dei sett'angeli a Palermo, il Duomo di Cefalù col Cristo Pantocratore), storie della passata dominazione araba e della conquista normanna (il generale Al Furat, il primo a mettere piede sull'isola, la deportazione degli arabi a Lucera di Federico II, la valle dei Palici ). Un confronto tra le due religioni, quella islamica e quella cristiana: sul concetto del tempo, del pentimento (assente nell'Islam), del futuro (che per gli islamici è predeterminato per tutti).
Ma è anche un viaggio nella Sicilia, dai mille volti, dalle mille storie, delle tante dominazioni, delle tante culture: quella per cui, ad un certo punto, l'autore fa dire al professore "La Sicilia è storia, i siciliani geografia".
Nel sito dedicato al libro, l'autore Gianni Bonina, spiega le ragioni della storia:
Cosa può far rimpiangere la Sicilia a un musulmano se non un’insania che la storia non ha redento? Più che un’insania, uno sfaglio della coscienza collettiva, quasi un rimorso continentale – di una grande nazione multietnica che si riconosce nell’islam – a scontare la perdita, oltre l’Andalusia, dell’altra terra del “mare interno”, un tempo Dar al-islam, poi tornata Dar al-harb, territorio nemico, per diventare infine Dar al-kufr, territorio della miscredenza: la terra cioè ineguagliata e utopica dell’età dell’oro, creduta consacrata per sempre ad Allah e invece tradita e smarrita come un tesoro malriposto. Cos’altro è se non una colpa – la nostalgia di un paradiso più ceduto che perso e quindi un pentimento – quella che può trasformare la chimera in grifone, un antico sogno in un progetto reale, la rinuncia in rivalsa, la rassegnazione in vendetta? È vero: si può diventare malvagi per troppo amore, uccidere per rinascere e perdere la ragione per ridarsi un senso.Su questo sito degli approfondimenti sui seguenti tempi:
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L’isola bramata come la più bella delle concubine è stata terra islamica, territorio benedetto, ma la storia l’ha resa occidentale. Eppure la distanza da Roma è di gran lunga
maggiore di quella dal Maghreb e la sua conformazione morfologica la stessa di quella africana. Eppure è stata più a lungo araba che italiana. Ma ormai è straniera, irriconoscibile, ingrata e irriverente. Un torto dunque. Un eccesso e un oltraggio.
Da ragazzo Al-Dulaimi ha conosciuto Nicola Di Cristoforo, uno storico siciliano che studia i musulmani in Sicilia e al quale deve il domicilio italiano, la condizione di docente di letteratura siciliana, l’amore trasmodato per l’isola. Crede di
essergli debitore anche del proposito di riconsegnare la Sicilia ad Allah e, lasciandolo ignaro, lo coinvolge in un progetto farneticante e terribile: una serie di delitti e di attentati che valgano a riportare la guerra e rinfocolare lo scontro di
civiltà nella terra da riscattare.
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I sette giorni di Allah intitola dunque un romanzo interamente e intimamente siciliano, tale apparendo nel groviglio delle trame, nella cerebralità dei retropensieri, nel ghirigoro delle forme e nel giro dei paradossi: un romanzo che perciò interpreta
la multiformità della coscienza isolana, suscettibile – come è ormai comunemente accettato – di essere vista nella sua doppiezza e nella moltiplicazione dei suoi piani di scrutinio. La duplice pista, cattolica ed islamica, che esplora la successione di omicidi e si ramifica in una sporade montante di congetture e ipotesi circa i luoghi bersaglio dei terroristi, interroga da vicino la dinamica che regola i costumi siciliani, mai inclini a una lettura univoca e a un’uniformità di vedute e aspetti che non si presenti en travesti.
Concepito idealmente come un viaggio attraverso topoi siciliani di variegata accezione culturale, il romanzo integra anche una storia di azione e adduce suspence nella vanificazione delle soluzioni che sembrano lì per lì fatte proprie, nell’adombramento di nuove piste impresagite, nell’incalzare dei fatti e nello sviluppo di una vicenda scandita da eventi ravvicinati, interventi spasmodici, ore decisive. Ma ancor prima di una detective story in veste di docu-fiction, I sette giorni di Allah è un libro di idee, di induzioni offerte da un lato al gusto della ragione di meditare temi eterni ed evocare
motivi inediti di speculazione e da un altro al piacere della sorpresa per l’elemento inatteso: nella consapevolezza che rimandi di tale portata da una disciplina a una teoria sono possibili solo in una terra così culturalmente fertile e feconda come la Sicilia.
- Arcangeli: la confraternita resuscitata e i sette arcangeli: Quale segreto nasconde l’anonimo quadro dei sette arcangeli esposto sull’altare maggiore della basilica di Santa Maria degli angeli a Roma? Nel romanzo il numero sette costituisce un basso continuo che scandisce lo sviluppo della vicenda.
- Pupi/mafia: Com’è nata la mafia? Se è un fenomeno connaturato alla coscienza siciliana è dunque alla storia della società dell’isola che occorre rifarsi. In questa prospettiva
puòtrovare collocazione e offrirsi come tema di riflessione quanto dice Muhammad Abdullah al-Dulaimi, lo storico iracheno docente a Milano di letteratura siciliana: un
personaggio anziché una figura reale, protagonista del romanzo. Secondo al-Dulaimi il mafioso nasce nell’Ottocento a teatro, più precisamente all’opera dei pupi, che a Palermo
ebbe un successo tale da rasentare il furore ideologico.
- Il villaggio della solidarietà di Mineo: Nel febbraio 2011 il “residence degli aranci” di Mineo, dimora dei militari Usa di Sigonella, viene ribattezzato “villaggio della solidarietà” e, divenuto centro di accoglienza di immigrati, è oggi teatro di continue
tensioni interne. Curiosissimo il destino di una struttura concepita per decongestionare una Base Nato puntata contro i paesi islamici e finita per ospitare invece clandestini
perlopiù musulmani.
- Al Qaeda: i proclami di al-Zawahiri contro la sicilia.
- San Giovanni: il segreto di san Giovanni Battista in Sicilia. In provincia di Ragusa su dodici comuni, cinque (fra cui il capoluogo) hanno per patrono Giovanni Battista. Che lo
è anche della diocesi.
- Sambuca: Adrano e Sambuca legati da un mistero. E dai cani
- Uriel: l’angelo-demone che diviene killer dopo la cacciata dal canone.
Nella Cappella palatina di palazzo dei Normanni a Palermo un mosaico raffigura la biblica lotta con l’angelo e riporta accanto alle figure i nomi di Israel (Giacobbe) e di Phanuel, ovvero Uriel. Che è l’angelo-demone, il quarto arcangelo, il più vicino a Dio e poi divenuto il più distante, rimosso insieme con i patriarchi Enoch ed Esdra
La scheda del libro su Sellerio.
Il link per ordinare il libro su ibs
Technorati : Gianni Bonina