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I Signori della Strada- XXII

Creato il 12 giugno 2010 da Albix

thumbnail[4]Alla stazione successiva un nuovo carico umano, pur distribuito nelle numerose carrozze del convoglio, riduce ancora di più gli spazi per i passeggeri. Mi ritrovo alle spalle di una ragazza dalla inconfondibile testa lanosa: coi capelli nerissimi, splendenti, avvolti per boccoli colorati e che visti da così vicino sono davvero belli; emanano un odore piacevole e, cosa più sorprendente, sembrano lana, proprio come quella che usano le nostre donne per fare la maglia, come mi ha sottolineato una volta Argeel, un amico giamaicano conosciuto ai gelati; un altro interprete fantasioso della strada: un aspirante regista che in attesa di cose più serie, cerca di cogliere con la sua cinepresa gli aspetti più interessanti della vita all’aria aperta e inquinata della metropoli e di fermarla nella sua pellicola.

La ragazza ha una borsa elegante a tracolla; nella calca e nell’assestamento che consegue al precedente imbarco, un portafoglio di pelle marrone scura si ritrova a sporgere pericolosamente dalla mia parte. Attiro la sua attenzione: mi sorride e mi ringrazia, ricacciandolo non senza difficoltà all’interno della borsa. A mo’ di commento aggiunge, con un sorriso ancor più affascinante, che comunque il lunedì è sempre vuoto. A causa delle contorsioni che è stata costretta a fare, ora ci ritroviamo vis à vis; la sua capigliatura sembra un casco modellato sul viso splendido, che si erge su un collo maestoso:una Madonna nera di un improbabile Modigliani in salsa giamaicana.

Ci guardiamo negli occhi, favoriti e costretti dalla posizione, che fermata dopo fermata, abbiamo consolidato.

Vorrei dirle qualcosa ma non ci riesco. Mi blocca l’incanto di quel magico momento o forse il ricordo di ciò che mi disse Argeel, a titolo di scuse e di spiegazione per il contegno ostile che mi riservarono a casa sua alcuni suoi connazionali, giamaicani e razzisti.

-“ Ce l’hanno con i bianchi inglesi perché sono venuti a casa nostra a portare non si sa bene quale civiltà; e senza che nessuno li avesse chiamati, in effetti. Sono sbarcati a imporci le loro idee, con le loro armi; poi siamo dovuti venir qui, perché molti di noi si sono fatti illudere, o magari per sfuggire a quella realtà che con il loro arrivo era divenuta opprimente: con tutte quelle differenze tra ricchi e poveri, e tutte quelle diavolerie e invenzioni che fanno dell’uomo uno schiavo e lo fanno ammattire davvero. Ma noi, anche se siamo nati qui, siamo giamaicani, nonostante la cittadinanza sul passaporto. Noi non crediamo nel Dio degli Inglesi, che non esiste; quel Dio che loro usano come schermo di potere ma non è Gesù; noi non crediamo alla televisione e neanche in un governo fatto di uomini che non vedi mai; con i quali non parli mai e che neanche ti conoscono. Vaffanculo a loro! Ci hanno soggiogati prima, poi ci hanno chiamati qui a lavorare, senza accettare mai niente della nostra cultura e della nostra civiltà! Lo sai che tanti fratelli vengono arrestati soltanto perché fumano la marijuana? Merda! La fumano come l’ha sempre fumata la nostra gente, capici? Per noi è o.k., fa parte di noi, capisci? E questi maiali ci arrestano, ci sfottono, ci picchiano continuando a considerarci ciò che ci hanno sempre considerato, sin da quando sono sbarcati la prima volta nella nostra isola: dei selvaggi! Ma noi continueremo a lottare, e ti dirò questo: stiamo crescendo e maturando di giorno in giorno la nostra via alla riscossa per la libertà. Un giorno non troppo lontano, il nostro spirito di guerrieri risorgerà e ci guiderà alla vittoria!”

E io sono pressocché incollato a questa principessa nera che discende da un popolo di guerrieri, ma ho quasi paura che le nostre rispettive civiltà costituiscano tra noi una barriera di incomunicabilità. Eppure a pensarci bene, io non sono mica un inglese! Peccato non averci pensato prima! Ormai ho solo il tempo di dirle che la mia fermata è la prossima.

-“ Anch’io scendo alla seguente!” – mi fa lei sorridendo ancora su una dentatura resa ancor più bianca e splendente dal colore della sua pelle.

-“Splendido!” – rispondo io tutto contento; non so resistere all’impulso di stringerle la manop quando il treno comincia la sua frenata. Lei contraccambia la stretta, sbilanciata verso di me dal possente attrito. Il contatto con la sua pelle dura ma odorosa e calda non è meno piacevole del contatto con la più soave delle pelli chiare, segno confortante che siamo di certo parti di un unico tutto.

Finiamo in una “CAF” affollata e chiassosa dove a quell’ora gli odori predominanti sono quelli delle classiche uova fritte con la pancetta, patate fritte (le famose “chips”), fagioli in umido, salsicciotti arrosto, pane carrè tostato e imburrato, con l’aggiunta di montagne di “marmalade” (marmellata all’arancia) e fiumi di thè, latte e caffè.

Sediamo in fondo e consumiamo la nostra ricca colazione. Si chiama “Joy”, e mai nome di battesimo fu così azzeccato. Nonostante il suo aspetto da “vamp” è una ragazza dall’animo semplice. Il tono della sua voce, dolce e calmo, mi fa pensare al suono del mare; quel mareggiare costante e tranquillo delle giornate d’estate che sembra di rivedere negli occhi di certe persone dal carattere pacato e che come il mare hanno pronto però anche l’impeto della burrasca, quando il vento della vita chiama all’impennata dell’anima.

Parla e sorride in modo naturale ed io la guardo incantato, con ammirazione, come si guarda una regina al cinema, mentre mi racconta dei suoi studi alla Scuola di Danza, Recitazione e Canto; del suo amore e della sua voglia di divertire i bambini; dei suoi lavoretti estivi e vacanzieri, uguali a quelli di tutti gli studenti londinesi, come portalettere, cameriera, assistente, segretaria; del suo appuntamento di questo lunedì mattina in un’agenzia per un lavoro, forse in teatro o chissà!

Splendida, meravigliosa, irresistibile Joy, nella tua camicia colorata e nei tuoi calzoni di pelle; pura, ingenua, fantastica fata nera delle mie più antiche fiabe: come puoi esistere in questo mondo? Quale segreto è racchiuso nella tua testa principesca?

Osservo questo foglietto sul tavolo come se potesse dare una risposta ai miei perché: un numero di telefono, solo un numero di telefono per saperne di più sull’amore, sulla delusione, sulla vita.

Amore, spontaneo amore, naturale, libero amore, davvero difficile incontrarti dove la violenza e la paura si rincorrono feroci come due belve impazzite; dove i nostri cuori tacciono, dominati da spietate e severe regole; dove sadismo e masochismo sono il nostro credo, la nostra religione, la nostra vita e dove la nostra felicità è barattata con il benessere; le nostre angosce solo appena sommerse sotto questa cenere di fatua sicurezza che al primo vento ci lascerà smarriti e piangenti, di nuovo, come il giorno che siamo nati.

Ma un numero di telefono è molto di più di tutto questo, quando odora di Joy.


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