I super prof difendono l’Invalsi «Aprono la scuola alla realtà»
Le critiche di nozionismo. «No, rivelano competenze concrete»
Paolo ContiROMA — Nelle scuole primarie italiane oggi secondo appuntamento con l’Invalsi, il Sistema nazionale di valutazione della macchina educativa italiana. Toccherà alle classi II e V per la prova di matematica. E anche quest’anno le polemiche accompagnano l’appuntamento. La Federconsumatori ha chiesto al nuovo ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, la sospensione dei test. Il sindacato Unicobas ha parlato del 20% dei docenti che martedì 7 maggio avrebbe scioperato nelle II e V classi per la prova di italiano. Il ministero ha replicato parlando di scioperi limitati allo 0,69% per le II classi e allo 0,62% per le V e di prove non sostenute complessivamente nello 0,82% dei casi per le II e nello 0,75% per le V. In più c’è stato l’attacco del professor Luciano Canfora intervistato da www.ilsussidiario.net: «Le prove Invalsi sono una mostruosità, una cosa senza alcun senso, che può servire se mai a premiare chi è dotato di un po’ di memoria più degli altri, non chi ha spirito critico. La miglior cosa è eliminare i test». Sempre per Canfora «l’Invalsi e tutta la quizzologia di cui siamo circondati» sarebbero lo strumento per ottenere «un pappagallo parlante dotato di memoria e nulla più, suddito e non un soggetto politico» sottraendo ai ragazzi negli anni della formazione «l’abito alla critica, alla capacità di comprendere e di studiare storicamente, di distinguere». I responsabili dell’Invalsi (le prove sono scelte selezionando proposte avanzate da circa 150 docenti sparsi per l’Italia) respingono le accuse. A partire da Paolo Sestito, commissario straordinario Invalsi e dirigente dell’area ricerca e relazioni internazionali della Banca d’Italia, economista studioso anche di sistemi educativi: «Le nostre prove sono quanto di più lontano dal nozionismo, dall’automatismo dei test, dal Rischiatutto. Il nostro scopo è l’esatto contrario: misurare le competenze dei ragazzi e la qualità dell’insegnamento, calandole nella vita concreta. Assicuriamo alle scuole uno strumento di auto-conoscenza». Conferma Giorgio Bolondi, docente di Matematiche complementari all’università di Bologna, che coordina la predisposizione delle prove: «Abbiamo incontrato migliaia di insegnanti e registrato molte comprensibili prevenzioni. C’è un malinteso: non intendiamo esprimere giudizi, ma informare ragazzi, insegnanti e scuole sulla qualità dell’apprendimento. Ogni domanda è legata agli obiettivi di legge per i diversi gradi dell’istruzione. Nemmeno un quesito punta su memoria o formule: ciò spetta agli insegnanti, non all’Invalsi». Giudizio condiviso dal linguista Luca Serianni, che ha analizzato le prove: «L’Invalsi funziona come le analisi del colesterolo per un adulto. Servono al medico come indice importante per stilare una diagnosi dopo aver studiato altri parametri. Trovo le prove realizzate con intelligenza per tarare le competenze a seconda della fascia d’età. Non hanno nulla del quiz né vedono il nozionismo come valore. Possono aiutare le scuole a conoscersi meglio e a mettere in atto i meccanismi per migliorarsi» A difendere l’Invalsi a spada tratta è Enza Ugolini, fresca ex sottosegretario all’Istruzione nel governo Monti (insegna storia e filosofia ed è preside del liceo «Malpighi» di Bologna), che negli anni ha lavorato sul tema della valutazione (in modo politicamente trasversale) con i ministri Luigi Berlinguer, Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni, Mariastella Gelmini e Francesco Profumo: «Il primo scopo è aiutare le scuole ad avere un punto di vista esterno per capire come si lavora al proprio interno e nelle singole classi. I dati Invalsi sugli apprendimenti non sono solo “numeri” (percentuali, pesi, tassi di difficoltà, coefficienti di validità) che riducono la reale portata educativa della scuola. Anzi proprio perché i risultati sono tratti da prove concrete, gli esiti di queste prove finiscono con l’aiutare i singoli insegnanti, i consigli di classe, i dipartimenti, i collegi docenti, a fare una diagnosi anche a livello didattico». Enza Ugolini contesta l’autoreferenzialità di una certa scuola: «Uno dei nemici nella valutazione è la parzialità, quella abitudine che porta a non cercare in modo costante di tener conto di tutti i fattori della realtà. Non c’è solo la “tua” scuola, il “tuo” alunno, la “tua” classe con i “suoi” “livelli medi”: esiste il mondo… Ogni scuola e ogni classe ha uno specchio col quale confrontarsi». E conclude, per sostenere la bontà del sistema, ricordando le disparità: «In II e V primaria la situazione, specie in matematica, nel Nord è pari alla media nazionale, mentre il Sud ha mediamente +2,5 punti. Già nella prima classe della scuola secondaria di primo grado la situazione si capovolge e mentre il Nord supera di oltre 6 punti percentuali la media, nel Sud si va sotto la media, per arrivare fino a oltre -15 punti nella classe terza del Sud-Isole… Mi sembra essenziale saperlo, per rimediare».