Licia Satirico per il Simplicissimus
Col patrocinio del Campidoglio, oggi e domani Roma cadrà vittima di celebrazioni antiabortiste. La marcia per la vita prevede convegni, appuntamenti religiosi e un corteo, con la partecipazione bipartisan di vari soggetti del mondo istituzionale: si va da Maurizio Gasparri a Magdi Cristiano Allam, da Gianni Alemanno alla diafana Dorina Bianchi, da Maurizio Lupi a Maria Pia Garavaglia, ex ministro della Salute nel governo Ciampi, ex vicesindaco di Roma con la giunta Veltroni e attuale parlamentare del Pd. L’iniziativa sarà gemellata con quella intrapresa dall’omologo gruppo “pro life” di Zagabria. Lì però l’iniziativa si chiamerà “cammino”: “marcia” ricorda troppo il passato comunista croato, mentre dalle nostre parti l’idea di una marcia su Roma dà ancora brividi nostalgici e stimola la partecipazione attiva del Comune.
Il parterre ideologico è composito e inequivocabile, spaziando da Forza Nuova al sedicente movimento politico-cattolico Militia Christi. Il motto della manifestazione è invece di provenienza talmudica: “chi salva una vita, salva un mondo intero”. La frase, divenuta nota grazie al film “Schindler’s List” (che non si occupava esattamente di aborto), colora ancor più di pericolosa impostura l’intera manifestazione: sembra che gli intenti siano commendevoli, concilianti, quasi edificanti. Difficile però trovare edificante la celebrazione eucaristica “contro il crimine dell’aborto” prevista domani sera nella basilica di Santa Maria Maggiore e presieduta dal cardinale Raymond Leo Burke.
Una città intera, dunque, ostaggio di integralisti religiosi in vena di autodafé della legge 194. Non è solo un momento di buio culturale. La marcia segna, in grande stile e senza infingimenti, il ritorno teocon del paternalismo politico. Gli eredi di ben altra marcia non sentono il bisogno di dissimularsi, di cambiare casacca, di indossare il vestito buono: si presentano ora, in tempi di crisi, come difensori di Dio Patria Famiglia, alla ricerca della definitiva consacrazione.
L’iniziativa ha suscitato accorate, vane proteste: il consigliere Pd Dario Nanni parla di “affronto alla capitale”, lanciando strali contro un sindaco che «non perde mai l’occasione per coccolare gli estremisti di destra cui affida importanti incarichi in Campidoglio e nelle aziende capitoline».
C’è del marcio in Campidoglio. Il fatto è che Alemanno non è l’unico politico coinvolto, o invischiato, nella maratona antiabortista: i marci su Roma sono trasversali, uniti dall’egida di una fede che diventa religio nel senso lucreziano del termine. L’ultima testimonianza laica del nostro Stato è proprio la legge 194 del 1978, che i marciatori pro life vorrebbero abolire col pretesto di tutelare le ragazze madri. Negli ultimi dieci anni il nostro parlamento-golem si concentrato compulsivamente su questioni di vita o di morte, creando leggi inutili e crudeli come quella sulla fecondazione assistita o discettando di norme retrive contro il testamento biologico. La legge 40 del 2004 contraddice la ratio stessa della 194, attribuendo all’embrione una tutela oltranzista: in prospettiva, i due testi non potranno coesistere a lungo.
Il vizio genetico della nostra politica post-secolare è la cleropositività, formidabile collettore di consensi in nome della tutela di esistenze aurorali (il feto) o crepuscolari (il morituro). Tutte le sfumature di grigio, disoccupati precari senzatetto immigrati indifesi sfruttati, possono essere delegate ai tecnici. Le sfumature di nero restano invece sommamente care ad Alemanno e al suo ermo Colle, pronto ad accogliere Freda e Mario Corsi come Militia Christi.
È curioso, ma da laica laicista mi fa impressione soprattutto che ci si impossessi con straordinaria disinvoltura del nome e del pensiero di Gesù. Mi piacerebbe che, aderendo suo malgrado a una prassi diffusa nel nostro contesto istituzionale, una volta tanto Cristo potesse dirci “sono stato frainteso”.