Magazine Diario personale
Mi sono fatta un esame di coscienza. E ho concluso che la differenza sta proprio in ciò che non posso più fare, ovvero certi orari, e non tanto nell'intensità dal mio lavoro.
Nel mio primo anno di lavoro, il mio orario teorico era dalle 9 alle 18.30, con un'ora circa di pausa pranzo. C'erano periodi in cui sforavamo, anche di parecchio, perché sotto scadenza. Ma c'erano anche periodi in cui sinceramente dovevo riempire il tempo facendomi un po' di autoformazione o anche semplicemente i fatti miei, perché "stava male" che non avessi niente da fare. E poi, per carità, 3 volte in quell'anno ho avuto ritmi folli e tirato il mattino dopo per una scadenza. Ero a progetto, non avevo orari, ero lì per imparare, quindi in una certa misura "ci stava".
Oggi non mi potrei permettere di tornare a casa alle sette di sera o oltre: mi perderei i miei figli che crescono. Quindi il mio orario di lavoro teorico sarebbe dalle 8.45 alle 16.15. Solo che, adesso che i figli possono andare e tornare col pullmino, mi capita di arrivare alle 7.45 e uscire alle 17.15 (quando non devo scarrozzarli da qualche parte, perché siamo ancora senza la seconda auto).
In teoria dovrei lavorare 32 ore a settimana, ma in pratica ne faccio spesso 35/38. Gli straordinari non mi vengono pagati: li recupero stando a casa nei giorni in cui la scuola dei figli mi costringe.
E fin qui per l'orario. Per la mole di lavoro, anche facendomi un profondissimo esame di coscienza, non mi sembra proprio di lavorare meno di quando lavoravo tanto.
Questo mi spinge a una riflessione: possibile che viviamo in un Paese dove non è possibile essere apprezzati perché si fa il proprio dovere? Noi, gli italiani che in teoria si saprebbero godere la vita, abbiamo questo celodurismo dello straordinario, per cui chi esce alle 9 di sera è figo (anche se magari ha fatto 10 pause sigaretta di mezz'ora, giuro che l'ho visto) e chi invece esce alle quattro e mezza è un lazzarone anche se non ha avuto neanche il tempo per andare in bagno. E più si è sfigati col contratto di lavoro e più si è degli eroi.
Beh, io ho avuto la fortuna di incappare in un concorso/retata, in cui sono stati presi tutti gli idonei. Era il terzo concorso che tentavo, e ce l'ho fatta. Quando ero in un posto che mi sottoimpiegava sia in termini di competenze sia in termini di tempo, non ho avuto problemi a dirlo, e dolermene. Ora sono in un posto in cui le mie competenze sono abbastanza ben impiegate e in cui sto crescendo. Sono in un periodo in cui i miei due incarichi principali si sovrappongono, in alcuni giorni mi siedo al computer quando arrivo e tiro su la testa solo perché mi brontola lo stomaco.
Sono stanca, giustamente stanca, e voglio avere il diritto di dirlo senza essere derisa. Ci posso anche scherzare sopra, ma voglio che il valore del mio lavoro venga riconosciuto. Anche se non tiro mezzanotte come 10 anni fa, anche se non torno nei finesettimana, anche se non mando mail alle 2 di notte.
Perché il valore del mio lavoro sta in me, e in niente di tutto il resto.
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