O forse, dovremmo chiamarlo “mal-occupato”.
Non pretendo né di essere esaustiva né di essere una commercialista, un avvocato del lavoro, un sindacalista, un esattore del fisco o un controllore di Equitalia (piuttosto, la morte): posso solo parlare della mia esperienza, e la mia esperienza non è quella di un metalmeccanico, ad esempio, per cui immagino che a un metalmeccanico, o a un operaio, sia più difficile presentare contratti di prestazioni occasionali.. però non so. La “fantasia” applicata a questo campo dalle aziende e dagli imprenditori italiani è grande e sempre piena di risorse: in mia esperienza, le trovano tutte pur di evitarsi
- di corrispondere i contributi dovuti (anche quelli per legge)
- di corrispondere il salario dovuto, secondo i vari CCNL e “in Q” agli studi di settore
- di assumere, soprattutto a tempo indeterminato ma anche a tempo determinato ”lungo” una persona, per quanto bene possa lavorare.
Non se lo possono permettere. E io li capisco.
Tranne che qualche volta non se lo VOGLIONO permettere, e allora lì non li capisco.
Ma comunque, questo è un mondo libero perciò gli imprenditori e le aziende hanno il loro diritto di non assumere personale, io ho il mio di dire la mia, secondo le mie esperienze e senza la volontà di offendere nessuno. È semplicemente così che vanno le cose, o che sono andate a me negli ultimi 3 anni.
Quindi i soliti possono astenersi dal commentare “NonnaSo non capisci un cxx di questo o di quello”…è vero, non ne capisco, non ne voglio capire, parlo della mia esperienza, a chi non sta bene può semplicemente non leggere. Girarsi dall’altra parte e… andare.
magari a leggersi questo post QUI, che la spiega di sicuro meglio di me (anche se i calcoli sono relativi alla “vecchia” partita iva dei minimi)
Sono bene accette invece esperienze e critiche costruttive. Dopotutto io ammetto i miei limiti (e per fortuna! Che ne ho già abbastanza delle mie di “esperienze” in tal campo!!!)
Detto questo, entriamo nel discorso e cominciamo a familiarizzare con il primo grande concetto che cambia, quando sei un disoccupato che cerca nuovo lavoro, ma non lo trova più come quello vecchio: la fatturazione.
L’occupato dei tempi andati, infatti, è assolutamente all’oscuro di questo nuovo modus operandi: lui era abituato alla comoda sicurezza della busta paga, che veniva conteggiata da qualcun altro e comodamente recapitata nelle sue mani a fine mese (e sul conto in banca), completa di contributi già pagati, detrazioni, ritenute e imposte fiscali su cui non si è fatto il sangue acido cercando di capirne il senso e il motivo, corrisposta anche in caso di ferie e malattie, “inciccita” alcuni mesi da tredicesima e quattordicesima mensilità e corredata di buoni pasto (laddove previsti da contratto). Insomma: la pacchia estrema.
Con la disoccupazione, e i tentativi successivi di occupazione, le cose cambiano: mai più nessuno gli proporrà un contratto con assunzione “a tempo”, ma solo “collaborazioni”, e quindi niente busta paga.. si entra nel loop delle fatture, note di prestazione o come volete chiamarle (c’è differenza fra le une e le altre, ma non è lo scopo di questo post spiegarvela nel dettaglio fiscale).
Grazie alle sempre nuove riforme del lavoro,il suddetto lavoro è diventato “dinamico” (yeah, siamo ganzi) e “mobile” (doppio yeah) e “fluido” e… vabeh che ve lo dico a fare? Precario che di più non si può.
E ovviamente le aziende ne approfittano dove possono, concordando una serie quasi infinita di collaborazioni, rinnovate di mese in mese o, nei casi più fortunati, di trimestre in trimestre. Teoricamente “non si potrebbe”, perché tali collaborazioni occasionali sono, per definizione “occasionali” quindi capitano una volta ogni tanto, e invece le aziende le ripropongono di mese in mese, giocando sui limiti (e sulla disperazione delle persone) pur di non incappare nei 3 punti già citati (corrispondere i contributi, assumere, etc.).
Ormai non propongono nemmeno più i contratti a progetto, che sono un po’ più regolamentati e richiedono di versare una quota di contributi (parte da parte dell’azienda e parte da parte del lavoratore) e sono un po’ più tutelati. Non so dirvi di contratti di apprendistato di varia natura… “per fortuna” quelli non me li hanno potuti proporre mai poiché sono “troppo vecchia” per giustificare che mi stanno insegnando qualcosa (e anche troppo qualificata che è “un peccato” assumermi a tirocinio o stage con tutte le qualità che ho).
Indi per cui, per 3 anni ho lavorato con le collaborazioni occasionali – con committenti diversi, in modo da rispettare il “ricircolo” dell’occasionalità – e la famigerata ritenuta d’acconto.
La ritenuta d’acconto, in mia opinione, altro non è che il facile modo che ha un’azienda di “risparmiare” sui costi del personale: con un comodo forfait del 20% sull’imponibile, l’azienda si risparmia di corrisponderti l’IVA (22,5% attualmente figuriamoci quando la alzano al 25%) e i contributi. Inoltre, è anche giustificata a pagarti poco, perché tanto dovete restare sotto la soglia dei 5000€ (lordi, quindi compresi delle ritenute) per non incorrere nel dovere di versare contributi, etc.
Sembra il paese del Bengodi, a guardarla così: tu guadagni soldi puliti, l’azienda ti fa lavorare… in realtà i 5000€ (lordi) sono annuali… oltre a quelli c’è… la morte. Nel senso che già con quelli chi ci vive un anno? E oltre si entra nel difficile mondo di chi cerca qualcuno disposto a pagargli i contributi, oppure nell’impegno di doverseli pagare da sè (e a forza, oserei aggiungere, giacchè l’INPS ti costringe ad iscriverti alla gestione separata, e a versare un minimo di 3500€, quali che siano i tuoi introiti annuali, per poter aver conteggiato valido quell’anno ai fini della pensione).
A queste considerazioni aggiungete che sia sui 5000 di ritenuta d’acconto, che sugli introiti successivi (così come su quelli, ad esempio, derivati da incentivi all’esodo quando vi hanno licenziati oppure a quelli dovuti per sussidio di disoccupazione) dovete comunque PAGARE LE TASSE: IRAP, addizionali comunali e compagnia bella. E dio non voglia che tutti i redditi vi facciano cumulo… sono altre centinaia di euri che volano via a giugno (rata) e a novembre (acconto sull’anno successivo, su introiti che “Si suppone” voi avrete, e che voi stessi non sapete se augurarvi di avere, per poter rientrare di queste tasse e pagare quelle dell’anno dopo, oppure no, per avere un “credito” che mai nessuno vi restituirà…)
Ah, come è bella la vita, vero? E tu che già ti vedevi con un sacco di tempo libero e a sguazzare nell’oro…
Dunque siamo rimasti al povero (per definizione e non per pietismo) mal-occupato che lavora con contratti occasionali e la ritenuta d’acconto “secca”. Vediamo quando il povero mal-occupato riesce a trovare da continuare a lavorare ovvero, quando fa talmente bene il lavoro che le aziende e i committenti, pur non potendosi permettere di assumerlo, continuano a farlo lavorare: sforata la soglia dei 5000€, lo abbiamo già detto, si può continuare a lavorare con le ritenute d’acconto, ma bisogna iscriversi alla Gestione separata dell’INPS e cominciare ad accantonare i soldi per i contributi che verranno chiesti. Per legge, questi soldi vengono corrisposti secondo l’aliquota vigente (il 28,72% dell’imponibile, attualmente ma l’anno prossimo sale se non sbaglio) e per 2/3 a carico dell’azienda e 1/3 a carico del lavoratore.
E già questo non piace all’azienda che vuole “risparmiare”, e che perciò impone “l’ultimatum” (e per fortuna, dico io, piuttosto che il “calcinculinaton”!): ovvero “o apri la partita iva o con noi non puoi lavorare più.”
(a tal proposito, vi segnalo un articolo molto interessante che potete leggere QUI sulle finte partite IVA e sul lavoro mascherato da autonomo per non assumere…)
E che fa il povero disperato? Ovviamente cerca di tenersi quel poco di lavoro, e di portare ancora a casa quel poco di introiti, e così, fiducioso nel futuro, del riuscire a rilanciarsi veramente come freelance, di portare a casa almeno un paio di contratti “stabili” oppure qualcuno in più “volante”, si reca dal commercialista per cercare di capire come aprire la partita iva nel regime dei minimi, o anche no, ma soprattutto: quanto gli costerà aprire questa benedetta partita iva, e quanto di quello che incasserà riuscirà a tenersi per vivere, una volta tolte tutte le spese, spesine, spesucce, tasse, tassine e balzelli, contributi e compagnia bella.
La risposta la sappiamo tutti, ed è pressappoco… BEN POCO (quando a lui – o lei – basterebbe riuscire a portare a casa quel poco indispensabile con cui si è abituato a vivere, quel che basta per mangiare e coprire le spese di casa), soprattutto con le ultime notizie in merito al job act, alla riforma del lavoro, e alla riforma del regime dei minimi che – ovviamente, e perché no? – ha abbassato le soglie massime entro cui stare per godere del regime agevolato e alzato le % di aliquote fisse forfettarie da versare.
Dico ovviamente perché con un mercato del lavoro che spinge sempre più verso la “flessibilità”, il freelanciato e il lavoro autonomo, vuoi che lo Stato non cerchi di andare a mangiarci ancora e ancora e ancora di più su tutta questa teoria di nuove piccole partite iva? Vuoi che lasci un regime “agevolato” quando invece ne può mettere uno “equiparato” (a cosa, dico io, agli studi di settore? E cche settore, ddi grazia??? E poi ma seriamente? Seriamente credono che a conti fatti anche con 30mila euro l’anno sui faccia la bella vita?? Si forse sulla carta, ma già gli va tolto il 30% in contributi INPS, più un’altra bella percentualina in altre tasse varie che escono + il raddoppio dell’acconto tasse sull’anno successivo….ah, si, la bella vita è assicurata, perché non siamo diventati tutti partite iva, mi chiedo ogni notte…)
Ma insomma questa è un’altra storia che, forse, fra qualche tempo – una volta raccolte più notizie sicure – vi racconterà una giovane, carina (?) e partitaivata…. che spera di non finire i…ata:
Ps. Perdonatemi l’articolo delirante, lo so che l’ho fatta proprio semplicistica, ma era per farvi capire più che per disquisire di commercialisti…..