Nei versi del Manzoni l'identità di un Popolo confluisce in un'immagine piuttosto chiara:
Una d’arme, di lingua, d’altare,Pur apprezzando il genio Manzoniano da un punto di vista strettamente letterario, non posso che contestare questa visione, una delle tante "sante" del casto poeta che l'Italia adora. La visione di Manzoni è, infatti, decisamente chiusa quanto la mentalità che l'ha prodotta o, se vogliamo essere benevoli, figlia di un tempo ormai trapassato.Oggi l'identità di un popolo non si può più sintetizzare in un unità di sangue (stirpe), di memorie (tradizioni), di lingua e di altare (religione).Prendiamo il popolo Italiano.Non può più esserci unità di sangue perché la società multietnica che va via, via, formandosi, lo nega di fatto; inoltre se vogliamo proprio dirla tutta, cercare una stirpe comune nei popoli italici è quantomeno un'impresa titanica quanto inutile: persino la presunta latinità è discutibile essendo stata Roma, ai tempi, un grande impero multietnico e prima di lei, la penisola italica, un crogiolo di popoli con culture e tradizioni diverse (Liguri, Veneti, Piceni, Galli ecc). Superfluo poi sarebbe ricordare le molteplici invasioni che in seguito hanno caratterizzato il Bel Paese e i suoi abitanti (Goti, Longobardi, Arabi).Anche l'uniformità di tradizioni è di per sé una mal raccontata barzelletta.
Di memorie, di sangue e di cor
(Marzo 1821)
In primis occorrerebbe fissare il momento in cui si è deciso di far partire una tradizione, proprio a causa della sua volubilità, quindi monitorarne le eventuali mutazioni. Al contrario rischiamo paradossi comici e a tal proposito mi si consenta di portare ad esempio il Kilt, il "tradizionale" gonnellino scozzese che fu inventato da un inglese nel '700 che solo grazie alla sensibilità Romantica dell'epoca si trasformò da indumento moderno ad uno antico. Paradossalmente poi divenne "tradizionale" degli scozzesi, popolo di origini celtiche che si differenziavano nell'abbigliamento dalle culture dell'area mediterranee per l'uso delle brache!Ritornando all'Italia , invece, potremmo domandarci quali siano le tradizioni unitarie che legherebbero un lucano ad un friulano.E se ci sono, perché lo sono e da quanto tempo esistono.Le tradizioni, per quanto possa sembrare un controsenso, mutano al mutare delle generazioni, le quali interpretano le stesse secondo la sensibilità del proprio tempo. Solo in società chiuse od isolate, infatti, le tradizioni si perpetuano in modo da limitare al minimo le variazioni. Il loro perdurare è cioè inversamente proporzionale alla mobilità della società che le ha generate e coltivate o, in altre parole, tanto più una società è statica e chiusa alle novità provenienti dall'esterno, tanto più le tradizioni permangono.
Oggi siamo in piena epoca dell'informazione: la tradizione si confonde tra le miriadi di informazioni e capita così che in pochi anni usanze totalmente aliene divengano parte delle consuetudini (vedasi ad esempio Halloween) mentre quelle locali vengono irrimediabilmente perdute (in alcune aree urbane ad esempio i giovani conoscono meglio l'inglese che il dialetto).
Persino sul fatto che le lingue possano identificare un popolo, potremmo scrivere capitoli interi: basti dire che anche esse mutano e abbiamo esempi storici di cambiamenti estremamente radicali. Mi sovviene il caso dei Franchi, popolo germanico che, romanizzandosi, abbandonò le radici germaniche in favore di idiomi che si svilupparono nel Francese, una lingua senza alcun dubbio neo latina. Ma anche la lingua unitaria è peraltro un invenzione. Anche nel caso degli Italiani si decise di ufficializzare il toscano che assunse per l'appunto il titolo di lingua ufficiale del Regno d'Italia e che venne imposto, come "Italiano", nelle scuole del neonato Stato.
Prima, come si può ben immaginare, le lingue ufficiali erano i cosiddetti dialetti.
Di certo sappiamo che è la lingua uno degli elementi primi per la costituzione di un popolo.
Arriviamo ora alla voce "altare" ovvero la religione, in realtà parte del concetto più ampio di "tradizione" e più precisamente quello tra tutti che dovrebbe per definizione essere il meno mutevole.Che la religione possa essere un collante eccezionale per l'identità di un popolo è innegabile, basti pensare al caso ebraico, il cui credo settario ha permesso a questo popolo di sopravvivere a millenni di brutali persecuzioni. Tuttavia una cosa è accettare che la religione possa essere un fattore aggregante, altro è credere che un popolo per essere tale debba identificarsi in un unica religione.Infatti, pretendere oggi che un popolo si riconosca in una religione è di fatto un assurdo: perché mai un italiano dovrebbe smettere di sentirsi o di essere tale qualora non dovesse accettare i precetti religiosi della presunta maggioranza? E poi, siamo sicuri che la religione sia un sistema di identificazione serio o è solo una preziosa etichetta per una bottiglia vuota?Gli italiani si dichiarano Cattolici (circa l'80%), ma solo il 28% è praticante. Il 20 % non Cattolico non è italiano? E il 52% che si dichiara Cattolico senza praticare la propria fede ha risposto, diciamo, per inerzia, oppure lo è davvero? E del 28% che pratica, quanti lo fanno con cognizione di causa, in altre parole, conoscendo appieno i principi del cattolicesimo?Oggi il concetto di popolo è un'idea dai confini molto più labili di quelle che caratterizzavano le sante visioni manzoniane che oggi sono per lo più ad uso e consumo di una politica dai toni sempre più aspri e dai valori sempre più scadenti, in mano cioè a quei politici o governanti impegnati più a dividere che a unire e governare.
Non credo sia azzardato dire che il legame tra religione e popolo sia solamente di facciata, benché ritengo che anche questo fatto abbia una sua rilevanza.
Di fatto, è paragonabile alle associazioni di idee che all'estero si evocano enunciando la parola "Italia": mafia, pasta, pizza ecc
Prendiamo ad esempio la prima: non v'è dubbio che la mafia sia "cosa nostra", ovvero che l'Italia sia infestata dalle mafie, che parte degli italiani siano o assumano atteggiamenti mafiosi (basta anche la semplice omertà).
Ciò significa che il popolo Italiano è mafioso? Ovviamente no, e nessuna persona seria, ragionando, potrebbe sostenere una bestialità simile.
Purtroppo però è vero che la piaga mafiosa ci appartiene, come contenti o nolenti ci appartiene quella cristiana.
Nel caso dell'italiano, avendo avuto un indottrinamento cristiano cattolico, a meno che non diventi apostata per scelta, egli tende a definirsi cristiano, sebbene in genere mantenga le stesse difficoltà a ricordare i nomi degli evangelisti al pari di elencare i nomi dei sette nani.
Non solo: se sente in qualche modo minacciata la sua "normalità" tende, pur non praticante, addirittura a schierarsi, concetto questo su cui paradossalmente ha fatto sempre leva il movimento di Bossi, un movimento che finge di unire benché il suo intento neppure troppo celato sia quello di dividere.
Ma sto divagando.
Ora, il mio scopo non è quello di dare una nuova definizione di popolo, sia ben chiaro.
Nemmeno la mia non certo misurata vanità mi permetterebbe un passo tale; soprattutto non me lo permette la mia intelligenza.
Ciò che però mi è chiaro è che a parte la lingua comune, indispensabile, come detto, nella genesi di un popolo, nessuna delle altre citate sono più indispensabili affinché un popolo divenga, sia e rimanga tale.
Tanto meno, la religione.