I dolci, secondo i nutrizionisti, non sono indispensabili alla sopravvivenza eppure si tratta del cibo che più di tutti è gradito alle nostre papille gustative. I ricordi dell'infanzia prima dell'avvento delle merendine monogusto e preconfezionate rimandano alla golosità della fetta di pane arricchita con burro e zucchero, della fetta di strudel preparato per i giorni di festa e dei primi tentativi di contrastare l'applicazione della legge di gravità alla torta paradiso ("ma perchè non ti alzi, perchè?!").
Se lo zucchero non esistesse bisognerebbe proprio inventarlo. Certo, fino alla scoperta in India della canna da zucchero (a proposito, sapete che la parola veneziana "sucaro" ha la medesima radice di "sakhara" che in sanscrito vuol dire sabbia o zucchero?) qualcosina si poteva fare con il miele o con la frutta, unici riferimenti dolci che la natura ha offerto fino a quando l'esercito di Alessandro Magno scoprì nel 324 a.C. la mitica "canna di Persia".
La dolcezza anche come promessa di delizie non solo gastronomiche come quelle bibliche della Terra Promessa, dove scorrono fiumi di latte e di miele, e come quelle che, nel Cantico dei Cantici, inducono lo sposo a raccontare com'è dolce e sensuale la sua amata: "le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c'è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano" (4:11)La dolcezza anche come business, perché no. I primi a raffinare e purificare la canna da zucchero furono gli Egizi e gli Arabi lo introdussero in Europa con le dominazioni spagnole dell'VIII secolo ma chi lo fece conoscere al mondo furono senza ombra di dubbio i mercanti veneziani. Grandi conoscitori ed importatori di spezie si spostarono nel Mediterraneo orientale facendo di Cipro un punto fondamentale per i loro commerci. Ed anche per questa piccola isola c'è una storia da raccontare, una dolce storia d'amore e di strategia.
La famiglia Cornaro a Venezia era una famiglia conosciuta e temuta. Ricchissimi, grazie ad un'enorme piantagione di canne da zucchero a Cipro, nel 1464 ricevettero una richiesta d'aiuto dall'allora re Giacomo II di Lusignano, impegnato in una guerra contro i genovesi, eterni rivali della Serenissima. I Cornaro offrirono al re importanti finanziamenti ed anche una sposa, Caterina. Quando la donna rimase vedova e senza figli il governo veneziano, con un'abile mossa diplomatica, l'adottò ufficialmente, facendola divenire figlia della Serenissima. La convinsero ad abdicare in favore di Venezia e Cipro divenne un possedimento veneziano. Accolsero in città Caterina Cornaro come se fosse ancora una regina e le donarono la splendida città di Asolo, dove lei visse fino alla morte con la sua corte prestigiosa.
Da Alessandro magno fino ai nostri giorni nostri c'è voluto un sacco di tempo per godere delle emozioni che un dolce sa dare come questo Bollo, un lievitato che ho conosciuto alla scuola di cucina ebraica del Ghetto di Venezia e che ho imparato a preparare ed amare. E' un dolce che viene offerto in occasione dello Yom Kippur e del Sukkot e la cui origine è sefardita; anche il bollo (o bolo, in spagnolo) ha subìto moltissime contaminazioni e sicuramente a Roma o a Livorno verrà preparato in maniera diversa soprattutto perché ho avuto l'onore di una maestra d'eccezione, Stella, un'energica e minuta signora di 85 anni che per anni, a Venezia ha preparato il Bollo per tutta la Comunità.
Per tantissimi anni ad ogni occasione ha impastato ben 10 chili di farina (oltre a tutti gli altri ingredienti) e più di 60 anni fa non c'erano certamente le planetarie: si usava la tinozza di metallo nella quale si faceva il bagnetto ai bimbi e il famoso "olio di gomito"! Eppure il suo Bollo è diventato leggendario. Nessuno sapeva farlo bene come lei; quando qualcuno le portava quello che aveva preparato lo prendeva in mano, lo annusava e sapeva già dirne la qualità e se, come spesso accadeva, la lievitazione non era stata fatta a regola d'arte, esclamava "Xe 'na matonea" ovvero "è un piccolo mattone". La sera in cui venne ad assaggiare i nostri esperimenti (facendoci tanti complimenti!) ci raccontò che preparare il Bollo era come accudire un bimbo. In effetti, viste le diverse fasi di lievitazione, bisognava iniziarne la preparazione verso le due per poi seguirlo durante tutta la notte: al mattino, una volta pronto, veniva portato dal panettiere che, avendo ultimato la cottura del pane del giorno, offriva l'uso del forno che si stava raffreddando in modo tale che la cottura avvenisse correttamente, "bruciando" appena un po' la superficie del dolce.Stella non c'è più, ha chiuso gli occhi e si è addormentata per sempre e sono sicura che sta sorridendo di me e dei miei maldestri tentativi di preparare, tra libri aperti, appunti e ulteriori ravanamenti nella memoria, un Bollo degno della sua maestria.Il Bollo di Stella
Ingredienti (ricetta della signora Agostini, variante scuola di cucina ebraica, variante la cucina di qb in attesa di risultati commestibili con il lievito madre :)1 kg di farina Petra1 (oppure 700 gr Petra1 e 300 gr Panettone), 300 gr di zucchero semolato, 75 gr di lievito di birra, 130 ml di acqua, 190 ml di olio di semi, 6 uova bio medie (+1 per spennellare la superficie), 300 gr di uvetta sultanina, 170 gr di canditi (qui due ricette per ottenerne da arance e cedri) , le zeste di 2 limoni bio.
Procedimento
Impastare l'acqua tiepida (meglio sarebbe dell'acqua di rubinetto che abbia riposato in una caraffa un'intera giornata) con tutto il lievito, 2 cucchiai di zucchero e 150 gr di farina: si otterrà un composto liscio e liquido. Coprirlo con pellicola, avvolgerlo con un canovaccio e lasciarlo riposare per due ore.Prendere il lievitino unire la metà della farina restante, la metà dello zucchero restante e metà degli altri ingredienti: uvetta, canditi, zeste e uova. Lavorare l'impasto a lungo (nella planetaria con la frusta a gancio oppure all'interno di una ciotola), coprirlo e lasciarlo riposare per altre due ore.Trascorso questo tempo unire i restanti ingredienti, coprire e lasciar riposare per altre due ore.Trascorso questo ultimo periodo di tempo lavorare l'impasto per altri 5 minuti e aiutandosi con delle spatole formare dei panetti lunghi e non molto grossi che verranno adagiati sopra la leccarda unta e coperta da carta forno.Come si raccomandava Stella l'impasto deve risultare "petaisso" (appiccicoso) e una volta adagiato sulla leccarda deve "sentarse" (sedersi): quindi ogni leccarda (forno da 60 cm) potrà contenere al massimo due panetti che dovranno essere ben distanziati fra di loro.Coprire con un panno e lasciar lievitare 50'. Spennellare la superficie del Bollo con un po' di uovo sbattuto con un po' di acqua e cucinare nel forno statico già caldo a 180° per circa 30'.