L’affaire Juncker è stato superficialmente dibattuto dai quotidiani nazionali nel corso della scorsa settimana, ma pare evidente che una riflessione più approfondita sull’accaduto da parte dell’opinione pubblica sia doverosa, al fine di comprendere le implicazioni della vicenda sulla politica europea.
Sintetizziamo i fatti, che crediamo siano conosciuti ai più. Un’inchiesta giornalistica, condotta da The Guardian fra gli altri, ha rivelato che negli anni in cui l’attuale Presidente della Commissione Europea ricopriva incarichi di Governo (Ministro delle Finanze e Capo del Governo) in Lussemburgo, le politiche fiscali avevano assunto tratti per lo meno accomodanti nei confronti di numerose multinazionali. Le aziende sono libere di sfruttare le condizioni che più le favoriscono all’interno del mercato unico e, attratte dalle condizioni vantaggiose offerte dal Lussemburgo, hanno versato buona parte dei loro contributi nelle casse di quello stato e non in quelle dei paesi dove la loro attività economica si concentra maggiormente.
Precisiamo immediatamente che questo tipo di politiche non sono contestabili da un punto di vista legale allo stato attuale, cioè in assenza di una politica fiscale comunitaria. Sicuramente, i mezzi di informazione che hanno dato inizio all’inchiesta già ribattezzata LuxLeaks hanno tutto il diritto di continuare a indagare, nel rispetto del ruolo di “cane da guardia” che si auspica il giornalismo abbia; se emergessero irregolarità legali, il quadro cambierebbe.
Vi è però un interrogativo di estrema rilevanza da un punto di vista politico, prima che giuridico, che bisogna porsi in seguito questa vicenda: quali sono gli obiettivi cui la Commissione ambisce per i prossimi anni per ciò che concerne le politiche fiscali dei paesi membri? E quali personalità politiche devono rappresentarla, al fine di conseguirli?
La guerra fiscale al ribasso di cui il Lussemburgo si è fatto chiaramente alfiere negli anni dell’amministrazione Juncker non può essere considerata conforme al sano ideale di federalismo fiscale che anima gli europeisti più convinti. Inoltre, è responsabilità della Commissione attuare politiche volte a combattere l’elusione fiscale che avviene all’interno del mercato unico e di tentare di avviare, nel corso del suo prossimo mandato, quel processo di armonizzazione fiscale che contribuirebbe a rendere l’UE qualcosa di più di un semplice agglomerato di paesi attratti fra loro più da vantaggi particolari che comunitari.
Se consideriamo questi due obiettivi, potremmo chiederci che livello di credibilità abbia l’attuale Presidente nell’intraprendere questo tipo di politiche, alla luce degli avvenimenti descritti dall’inchiesta. La risposta sarebbe inevitabilmente che tale livello è molto basso. Non solo: la Commissione ha ora aperto un’inchiesta sulle eventuali irregolarità commesse dal Lussemburgo negli anni passati. Potremmo perciò anche domandarci se non sia presente un conflitto d’interesse (almeno potenziale) per Juncker, data la carica politica che ricopre al momento. E anche in questo caso, se ne concluderebbe che sì, il conflitto di interesse è presente.
La questione politica richiederebbe un discorso pubblico franco da parte di Juncker, che al contrario sembra riluttante a rilasciare dichiarazione pubbliche al momento e questo atteggiamento non muove nel senso dell’accountability richiesta. L’Europa ha la stessa urgenza di trovare grandi figure politiche di quanta ne ha di politiche economiche e sociali. Le sfide che il futuro pone di fronte all’Unione impongono al Parlamento, alla Commissione tutta e al suo Presidente un’assunzione di responsabilità che per ora ancora non si è vista.
La questione politica sopra citata appare molto delicata e merita perciò un’analisi attenta. Se da una parte la figura del Presidente può risultare in parte delegittimata dai risultati dell’inchiesta, d’altra parte occorre ricordare che Junker è il primo Presidente della Commissione nella storia dell’Unione ad avere una legittimazione politica spiccata, seppur nella forma mediata del parlamentarismo. Infatti fu indicato dalla coalizione di appartenenza come candidato presidente già prima delle elezioni. Si può dire che votando per il Parlamento, politicamente si intendesse esprimere apprezzamento anche per il Lussemburghese. Questa svolta è stata a ragione motivo di esultanza per i sostenitori di una maggiore politicizzazione dell’Ue: in previsione di eventuali conflitti istituzionali, il Presidente potrebbe far valere questo risultato politico e far proseguire il percorso di integrazione.
Qui sta la prima prova alla luce della quale valutare il Presidente: se da primo ministro del Lussemburgo ha lecitamente saputo portare avanti gli interessi nazionali, ora ci si aspetta che faccia lo stesso con quelli europei intesi nel loro insieme. Dopo un momento di confronto pubblico coi cittadini, naturalmente.
La “lezione” che si può trarre dalla vicenda Junker è che da qualunque parte li si guardi, i fenomeni globali chiedono una maggiore condivisione delle decisioni, se si vuole evitare che la guerra al ribasso cancelli ogni conquista passata. E’ perciò fondamentale che le istituzioni comunitarie abbiano consenso politico e credibilità istituzionale per farsi carico di questa missione.
di Andrea Cerrato e Lorenzo Berto