Il Conclave, chi erediterà le chiavi di Pietro?
Creato il 09 marzo 2013 da Astorbresciani
Ci siamo. Il 12 marzo avrà inizio quella che potremmo definire la Champions League del Porporato. Speriamo sia all’insegna del fair play. Si aprirà il Conclave, di cui ho già parlato nel precedente post ma senza azzardare previsioni sull’esito finale. Adesso che i giocatori (ops… i cardinali) stanno scaldando i muscoli e sono pronti a scendere in campo, è opportuno ipotizzare chi saranno i protagonisti, ma anche le formazioni e le tattiche. Intanto, cos’è esattamente il Conclave? Lo so che ne stanno parlando tutti e che potrei fare a meno di metterci del mio, ma amo la chiarezza e non voglio deludere i miei lettori che da me si aspettano sempre un pizzico di verve. Il Conclave è l’elezione del Romano Pontefice secondo la Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis. Il suo nome deriva dall’espressione latina “cum clave” (chiuso con la chiave) la cui origine è curiosa e merita d’essere ricordata. Nel 1270 bisognava eleggere il nuovo Papa e gli abitanti di Viterbo, allora sede papale, stanchi dell’indecisione dei cardinali, decisero di chiuderli a chiave nella sala grande del palazzo dei Papi, di cui scoperchiarono parte del tetto per mettergli fretta. Per la cronaca, fu eletto papa Gregorio X. Dal 1878, il Conclave si svolge nella Cappella Sistina del Palazzo Apostolico.Al Conclave 2013 parteciperanno 115 grandi elettori. Sono per poco più della metà europei. Seguono le Americhe con 33 cardinali, l’Africa con 11, l’Asia con 10 e l’Oceania con un solo rappresentante. L’Italia è la nazione più rappresentata con 28 cardinali. L’età media è di 72 anni. Anche nel Conclave del 2005, da cui uscì Papa il cardinale Ratzinger, i votanti furono 115. Il numero dei grandi elettori è cresciuto molto nella seconda metà del XX secolo: basti pensare che al Conclave del 1958, quello che nominò il “Papa Buono” Giovanni XXIII, gli elettori erano 51. Da martedì prossimo i 115 alti prelati prenderanno posto su altrettanti scranni di ciliegio e cercheranno di trovare l’intesa che porti all’elezione del nuovo Pontefice. Occorrono due terzi dei voti, una maggioranza significativa. Quanto tempo ci vorrà per assistere alla tradizionale fumata bianca? L’ultimo Conclave durò 2 giorni e occorsero 4 scrutini. Ci vollero 3 giorni e 8 scrutini per eleggere Giovanni Paolo II. Come andrà questa volta e, soprattutto, chi vincerà? A pochi giorni dall’inizio del torneo (ops… l’elezione), la situazione è più o meno questa. Esistono due forti schieramenti contrapposti che lotteranno per imporre il proprio candidato e che cercheranno il voto di chi è super partes. Il primo schieramento è costituito dai membri della Chiesa conservatrice, il secondo dai riformisti. Da una parte la Curia immobile e inamovibile, il “partito romano” legato ai poteri forti, che avrebbe scelto il suo ariete. È il cardinale e arcivescovo di San Paolo del Brasile Odilo Pedro Scherer (1949), l’uomo forte dello IOR di chiare origini tedesche. Dall’altra la Chiesa che vuole rinnovarsi e punta sul cardinale e arcivescovo di Milano Angelo Scola (1941), un ciellino molto vicino a Ratzinger. Sia Scherer che Scola sono papabilissimi e attualmente in pole position. Ciò non significa che uno dei due vincerà. È infatti noto che chi entra nel Conclave Papa ne esce cardinale. Quel che è certo è che i due squadroni di cui sono il capitano disputeranno la finale. Bisognerà vedere a quale schieramento apparterrà l’uomo scelto dallo Spirito Santo per alzare la coppa. Sembra che i riformisti, quelli per intenderci che vogliono salvare la Chiesa, abbiano una quarantina di voti, quasi tutti stranieri, soprattutto americani. Pochi per vincere, al momento. Gli altri non hanno fatto la conta ma il loro capo, il cardinale Tarcisio Bertone (1934) sembra molto sicuro di sé. A proposito, l’eventuale elezione a Papa di Bertone accrediterebbe la profezia sull’ultimo Papa della storia, che sarebbe “Petrus Romanus”. Difatti, Pietro è il secondo nome dell’ex segretario di Stato vaticano, che è nato a Romano Canavese. A fregarlo è l’età. Ha 78 anni, troppi visto che la Chiesa avverte la necessità di un Papa giovane. Bertone è spalleggiato dal decano cardinale Angelo Sodano (che però non potrà votare per raggiunti limiti di età) e da altre porpore rosse influenti nemiche del novum. Ma il Conclave è spesso sorprendente e riproduce nel bene e nel male le principali tendenze in atto nella società. Non è difficile immaginare che nasceranno e si scioglieranno alleanze e cordate, che verranno sacrificati candidati illustri in nome del fine ultimo (la vittoria) e che potrebbero emergere dal cilindro alcuni outsider se non addirittura il classico dark horse. Con questo termine inglese si designa il cavallo che vince a sorpresa e che prima della corsa non godeva di alcun credito. È già successo tante volte. Questa volta, in particolare, peserà sulla scelta dei cardinali elettori l’opinione pubblica, che preme per un rinnovamento. Alla luce del comune sentire della comunità dei cattolici, delusi e amareggiati per l’ignavia e la decadenza della Chiesa, ho come la sensazione che il prossimo Papa non potrà essere italiano. La stagione dei veleni rischia di penalizzare il nostro squadrone, troppo legato alla finanza e al potere. Non sono solo Scola e Bertone a rischiare di perdere. Rischiano di bruciarsi altri possibili papabili come il cardinale e teologo-biblista Gianfranco Ravasi (1942), presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, o Angelo Bagnasco (1943), arcivescovo metropolita di Genova e presidente della CEI. Poche le chances di Giuseppe Betori (1947), arcivescovo di Firenze, e nessuna per il pacioso Dionigi Tettamanzi (1934) e per Crescenzio Sepe (1943), arcivescovo di Napoli. Ma veniamo alle scommesse. Non so come sono le quotazioni del Toto-Papa ma si punta forte sulla vittoria di un Papa africano. In realtà, l’unico cardinale papabile del continente nero è il ghanese Peter Turkson (1948). Ha l’età giusta e la faccia simpatica. Basterà? Minori le possibilità dell’arcivescovo di Kinshasa, il congolese Laurent Monsengwo Pasinya (1939). Godono di maggiore credito e sostegno alcuni papabili europei e su tutti il cardinale austriaco Christoph Schönborn (1945). È un riformista e anche lui ha l’età giusta e l’appoggio della Mitteleuropa, che in alternativa potrebbe giocarsi la carta Peter Erdo (1952), il giovane primate d’Ungheria e presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa che parla sette lingue. Fra gli outsider del vecchio continente c’è il francese Jean Louis Tauran (1943), presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso. Anche l’America del Nord giocherà le sue carte e alcune sono eccellenti. Tra i favoriti c’è sicuramente l’ex arcivescovo di Quebec, il cardinale canadese Marc Oullet (1944), un uomo timido e poliglotta. Sarebbe il candidato perfetto ma ha un difetto: l’emotività. Ottime credenziali vanta Timothy Michael Dolan (1950), arcivescovo di New York e attualmente cardinale presbitero di Nostra Signora di Guadalupe a Monte Mario. Ma è troppo estroverso. Notevoli anche le possibilità del carismatico arcivescovo di Boston, il cappuccino Sean O’Malley (1944), uno spiritualista “puro e duro” schierato contro la pedofilia. L’America centrale propone un salesiano, l’honduregno Oscar Rodriguez Mariadaga (1942) e l’arcivescovo di Guadalajara, il messicano Josè Francisco Robles Ortega (1949). L’America del Sud si gioca la carta Paolo Sandri (1943), un italo-argentino che accontenterebbe sia i curiali che i riformisti. Sarà riproposto l’arcivescovo di Buenos Aires, il gesuita Jorge Mario Bergoglio (1936), che contese la vittoria a Ratzinger nel precedente Conclave? Difficile, è troppo vecchio. Troppo giovane, invece, è l’unico papabile asiatico, il filippino Luis Antonio Tagle (1957), arcivescovo di Manila. La Chiesa non è pronta per un Papa bambino, di cui non si conosce la tenuta psicologica. Già, perché la tenuta psicologica sarà il fattore decisionale determinante di questo Conclave che potrebbe segnare la svolta epocale o il suicidio della Chiesa, incerta se resistere arroccata sulle sue posizioni o voltare pagina. Ma ciò dipenderà dai tempi supplementari, forse da chi tirerà meglio i calci di rigore. La Chiesa è unita nel volere un Papa affidabile, che non faccia scherzi, ma divisa sulla direzione da prendere. Non può permettersi un’altra rinuncia ma nemmeno un pontificato debole o transitorio. Chi sarà il nuovo papa, dunque? Sarà “Pietro Romano”? Sarà un “Papa nero”? Io, una mezza idea ce l’ho sull’uomo che, alzando lo sguardo verso la Consegna delle chiavi, l’affresco del Perugino che si fa ammirare nel registro mediano della Cappella Sistina, chiederà a Dio d’essere degno di ricevere le due chiavi. Scusate se non la rivelo. Pur tuttavia, voglio dire per chi faccio il tifo. Il mio beniamino è l’energico e barbuto O’Malley. Di lui, apprezzo che è un ex-missionario e ha venduto l’episcopio per andare a vivere in un appartamento e non pesare sulla diocesi, indebitata fino al collo. Se venisse eletto Papa potrebbe prendere il nome Francesco I. Credo che farebbe tremare la Chiesa grassa e tronfia e proverebbe a imporle la dieta francescana. Magari accadesse!
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