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“Il conto delle minne” di Giuseppina Torregrossa, edizioni Mondadori, ora disponibile anche nella collana Oscar Mondadori Il connubio letteratura cucina non è più cosa nuova nell'editoria contemporanea. I due elementi si amalgamano bene insieme, titillano sensi non poi così diversi. Il punto di partenza e quello di arrivo sono, in fondo, gli stessi: fantasia e appagamento. Se ascoltiamo ciò che dice Nabokov nell'introduzione al romanzo di Dickens, "Casa desolata", dovremmo considerare il centro del piacere letterario un punto in mezzo alle scapole. E mettere così in un piano squisitamente fisico la fruizione delle emozioni regalateci dalle parole. E fisico è di sicuro il piacere della cucina.
Ma, in letteratura come in cucina, a fare la differenza non sono solo gli ingredienti bensì il modo in cui vengono mescolati, dosati, cotti. E Giuseppina Torregrossa con le parole ha la maestria di un grande chef. Questo libro fa venire voglia di leggere, fa venire voglia di mangiare, fa venire voglia di fare l'amore. Fa venire un'irresistibile voglia di Sicilia. Dalle pagine escono sapori, profumi, passioni, dolori, femmine di questa terra. Come da una pentola messa sul fuoco di una bianca casa sul mare. Il sole fuori caldo e crudele, dentro una penombra rassicurante. E le mura della casa impregnate di aromi, di parole appena sussurrate o di lacrime violente.
Un libro femmina mi sentirei di definirlo, più che femminile. Un libro dove le parole non possono, nemmeno per un istante, staccarsi dalla loro portata di sensualità, spesso brutale, arcaica, talvolta più attenuata. Storie di generazioni di donne, indomite, forti anche nelle loro debolezze. Relegate in casa in una società patriarcale più per paura delle donne stesse che per reale convinzione della superiorità maschile. Donne che sono riuscite a tessere le fila di storie e famiglie nonostante gli uomini.
E a fare da filo rosso per tutte le pagine le "minne" deliziose cassatine tipiche della zona di Catania ma anche intese come seno; a cui assomigliano spudoratamente nella loro morbida rotondità. Minne che accompagnano momenti felici e tragedie, che ammansiscono fantasmi reali o presunti, che si procurano la protezione di Sant'Agata e che procurano piacere. La preparazione culinaria di questi dolci presuppone e impone, nel corso delle generazioni, sempre la stessa cura. La stessa cura con cui le donne della famiglia hanno portato con sé i loro seni.
Belle e fiere di questo dono di Dio, tutte le donne della famiglia attraversano le loro vite appassionate e difficili. E fanno di questo dono di Dio un richiamo ipnotico per uomini incapaci di sottrarsi alla loro malia. E, proprio per questa loro incapacità, le desiderano di un desiderio quasi crudele, le cercano, le amano e le tradiscono per altre minne.
La voce narrante ci racconta di madri, nonne, zie, intrepide o abbattute, timide o sfrontate. Mai sconfitte. Mai, né quando le minne non vengono buone né quando, a ciascuna di loro, le minne si ammalano di un male allora sconosciuto. E per loro non è solo una malattia che sottrae un pezzo del corpo, ma una sciagura che le punisce proprio in ciò che hanno di più prezioso: la loro femminilità. Ma è sbandamento che in alcune dura solo un attimo, in altre condiziona tutta la vita; come le due zie zitelle, chiuse in casa a parlare una lingua solo loro. Mi rendo conto che devo tenere a bada l'entusiasmo che mi pervade mentre scrivo di questa lettura. Può sembrare esagerato e sopra le righe. Ma siccome quando leggerete questa recensione non si saranno ancora spenti del tutto i caldi estivi, credo che queste parole ben si addicano ad un libro che è pura luce accecante.
C'è poco di letterario in questa recensione e molto di epidermico. E ne sono ben contenta. Vi sfido a leggere solo con la testa questo libro, senza che gli occhi, il gusto, l'olfatto e il tatto reclamino la loro dose di appagamento. I vostri sensi che diventano quelli dei protagonisti, tutti, di questo romanzo. E allora per il tempo della lettura diverrete occhi che divorano, mani che toccano, bocche che mangiano e baciano.
E in fondo la letteratura è anche questo, deve essere anche questo. Puro piacere fisico. E la Torregrossa ha un innegabile talento in questo. Non scrive solo bene. Ti prende per il collo e ti fa entrare nelle pagine. Che sono comunque molto ben scritte, perché la storia e le storie non vengono messe in secondo piano dalla forza delle parole e delle immagini. Ve le ricorderete le storie di queste donne, vi ricorderete le loro parole e i loro gesti, la loro incontenibile voglia di vivere, i loro sguardi maliziosi e velati. Ma vi ricorderete anche l'odore della loro pelle, la consistenza dei loro corpi e il gusto di quelle cassatine con la ricotta e la ciliegia sulla sommità. Buona lettura e buon appetito.
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