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In questi giorni ho avuto modo di leggere alcuni post in merito al famoso sogno italiano, quello fatto di un lavoro sicuro, di una casa in cui tornare dopo una dura giornata lavorativa e della pensione da ritirare quando ormai si era faticato abbastanza. Bene, condivido il disappunto, la scarsa voglia di uniformarsi a questo sistema, anche se io per primo in questo sistema ci sono vissuto. Mio padre muratore in una grossa ditta, poi fallita. Mia madre casalinga, che praticava qualche lavoretto per arrotondare. La domenica il vestito della festa e a Natale a pranzo dai parenti. Cosa c'era di male?
Beh, vista così, nulla. Lavoro fisso è sinonimo di stabilità, di possibilità di progettare un futuro su delle basi che paiono durature. Quindi ben venga il posto fisso. E poi, ricordiamo che questo sitema è nato come nuova opportunità, quando di speranze ce n'erano ben poche. Si è lottato per raggiungere questo, a volte duramente, e quindi credo non sia giusto dargli addosso a priori. Non metto in dubbio che sia un meccanismo vecchio, stantio, però... Peccato che qualcosa non mi torni… Certo, in questo mondo fatto di precariato, di disoccupati e gente che studia per ottenere sempre più, l'utopia di una stabilità è tutta da stabilire. E poi subentra altro, un lato morale e psicologico mica da poco. L'apatia, l'abbandono delle passioni e del proprio IO. Già, perché accettare il sistema vuol dire uniformarsi, significa lasciare andare i propri sogni e abbracciare quelli di qualcun altro. E questo non fa bene all'animo. Quindi? Bisogna avere coraggio? Bisogna tentare di seguire i propri sogni e farli avverare? O perlomeno fallire tentando? Ecco, su questo non riesco ad avere un'opinione perfettamente chiara. È vero, tentare è giusto, se si può… non tutti hanno i mezzi per farlo, non tutti possono permettersi di lasciare quella stabilità per… per cosa? Un futuro incerto? Un sentiero impervio e difficile? Ok, la riuscita porterebbe ad esaudire un nostro sogno, una parte del nostro ego che non deve venire soppressa. Ma a che prezzo? Certo, il coraggio di chi ci prova è ammirevole, lodevole sotto certi aspetti. Ma questo non può valere per tutti… Esistono persone che questo salto non lo fanno, e non per mancanza di coraggio, ma proprio perché sanno di non potersi permettere di cadere. È triste fare il solito discorso del portare a casa il pane, e per certi versi pure riduttivo e inesatto, ma non esiste solo quello come problema… Molti parlano di andare all'estero, di crearsi il proprio destino grazie al fiorire di nuovi mercati e nuove opportunità. E chi non conosce le lingue? Chi si trovasse in un paese straniero, con regole straniere, senza possibilità di farsi capire se non a gesti, come se la caverebbe? E poi bisogna sempre considerare quel minimo di investimento che si fa, anche fosse solo il biglietto aereo… Ma anche in Italia le cose non andrebbero tanto meglio… Prestiti sempre più ridotti e con tassi d'interesse che soffocano invece di aiutare. Concorrenza spietata, che se non sei uno squalo ma ti accontenti di sguazzare nel tuo piccolo laghetto, sarai sempre relegato al minimo della categoria. Sono molti gli aspetti in contraddizione, molti e complicati, al punto che non me la sento di giudicare, di puntare il dito verso chi, questa scelta, non si sente di farla. Questo però mi porta a muovere una critica… Così come io non condanno ne premio le scelte altrui, lo stesso dovrebbe avvenire anche per gli altri. Insomma, non è possibile venire additati solo perché non si accetta il sistema e si cerca un modo per evitarlo. Il futuro è quello che ci costruiamo, non quello dettato da altri, quindi la parola d'ordine è "rispetto". Rispetto per le scelte altrui, per il coraggio, e anche per il fallimento. Perché ricordate, chi ha tentato e ha fallito non ha sbagliato, ha solo cercato un modo per esaudire i propri sogni. O si tratta di invidia?...
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