L’ospite della puntata de Le Storie-Diario italiano è uno storico che non si limita a raccontare i fatti della politica ma li inserisce nel contesto culturale, storico, di spettacolo nel quale i fatti sono avvenuti, adottando uno sguardo panoramico. Si parla con il professor Guido Crainz autore del libro Il Paese reale da cui prende spunto la trasmissione di Corrado Augias per riflettere insieme sulla realtà che ci tocca da vicino. La copertina del libro reca l’immagine della bandiera italiana ottenuta con pezzi di stracci, realizzata nel 2007 da Michelangelo Pistoletto dal titolo Stracci d’Italia. Splendida allusione a qualcosa che si rigenera mantenendo la sostanza in un ‘altra possibilmente migliore.
L’ospite però la pensa diversamente : ” Una visione meno pessimistica del mio libro. Resto fortemente pessimista nei confronti della nostra Italia, perché penso che ci siano processi di lungo periodo che ci hanno portato fin qui. Mi ha molto colpito una frase del giornalista Sandro Viola che nel 1994 disse : “quando il governo attuale, guidato da Silvio Berlusconi, prima o poi cadrà non ci sarà un avvenire radioso, perché i miasmi che ci saranno depositati resteranno e non si sa chi ci libererà da tutto questo” – credo che ci si debba chiedere perché queste parole ci sembrino oggi, così attuali e profonde”.
Si parla di storia contemporanea. La nostra. La storia si guarda per grandi cicli, accumulando e analizzando i fatti che l’hanno caratterizzata, attraverso film, articoli di giornali, libri, letteratura e questa ottica da spessore e coloritura al racconto dei fatti. Il ciclo che ci riguarda e ci coinvolge, viene da lontano, dagli anni ottanta che sono da considerarsi come l’incubazione del nostro presente. Anni veloci, anni da bere. Una sorsata di ottimismo e di entusiasmo. Gli anni dei Campioni del mondo, del Made i Italy che non ha rivali. Spariva l’Eskimo e arrivava il Moncler. I giovani, in strada, ci andavano per fare shopping più che a manifestare. Il plurale diventava singolare, il sociale, individuale. ” Pur in una congiuntura internazionale favorevole, il debito italiano andò alle stelle e il debito pubblico è una questione etica prima ancora di quella economica. Noi lo consideriamo solo un fattore economico che diventa enorme e ci rende fragili economicamente. Negli anni ottanta esplode e arriva al 58% rispetto al prodotto interno lordo, vuol dire che eravamo ancora, se pur di poco, nei parametri imposti da Maastricht. Stavamo iniziando ad andare a rischio ed è un macigno che ci è restato sul piano etico perché un ceto si è abituato a rovesciare sulle generazioni future i loro sprechi e i disastri”.
Quando la sperequazione tra le spese e quello che lo Stato accumula con le tasse diventa enorme è un disastro. Molti confondono deficit e debito, in realtà sono cose differenti. Il deficit è il disavanzo di ogni esercizio di bilancio, è il termine che indica la situazione economica di un’impresa nella quale i costi superano i ricavi, o di un ente pubblico nel quale le uscite superano le entrate. Le dimensioni del deficit pubblico vengono solitamente prese in considerazione in rapporto al PIL, per diverse ragioni. Anzitutto si vuol mettere in relazione il deficit con la capacità di produrre ricchezza e quindi di ripagare il debito che si è accumulato. Si definisce invece debito pubblico il debito che lo Stato ha nei confronti di altri soggetti quali individui privati, imprese banche o altri soggetti stranieri che hanno sottoscritto obbligazioni ( ad esempio in Italia BOT e CCT) utili a coprire il fabbisogno finanziario statale ovvero coprire l’eventuale deficit pubblico.Il debito pubblico attuale è pregresso e si è accumulato negli anni fino ad oggi con una scalarità spaventosa. È mancato l’equilibrio con una più generale capacità di darsi delle norme. Abbiamo campato con lo slogan: finché la barca va…e ora la barca non va!
Le regole europee imposte con il Trattato di Maastricht, ci impediscono di fare le cicale, ci costringono a essere virtuosi, non vanno viste solo come una forma restrittiva. Quando L’Europa nasce, vuole essere un equilibrio tra le diverse parti per non ripetere gli errori del passato. Siamo alla fine della seconda guerra mondiale, lo scenario è di distruzione, dolore, morte, devastazione. L’Europa vuole rinascere più forte e unita con un nobile intento quello di impedire altri disastrosi conflitti e crimini. Quando si polemizza sui parametri imposti si dovrebbe anche tenere presente che ci hanno salvati e che ci potranno salvare anche in futuro. L’Europa ha aiutato le famiglie in una situazione di competizione in un’inevitabile globalizzazione. Il problema è che l’Europa ha avuto la moneta unica ma non un’anima unica. Dobbiamo leggere la realtà in maniera completa, forse l’Europa, tutta intera, riuscirà a competere nella globalizzazione mondiale tenendo testa a colossi come la Cina, il Sud America e l’Africa che sta per arrivare. L’Italia è una strisciolina e da sola nulla potrà fare, per non parlare della Padania, inesistente nella globale visione futura. Fa rabbrividire che in un contesto generale così difficle, qualcuno sia così miope da ipotizzare un’ autonomia territoriale, fuori dal contesto europeo o patriottico. Dobbiamo restare uniti, anzi, fortemente aggrappati all’Europa. Dobbiamo alzare lo sguardo per vedere l’intero panorama per capire meglio da dove veniamo e dove vorremmo andare. Comprendere che senza un rinnovamento profondo non vi sarà più nemmeno l’idea della democrazia .