Con il Downhill, Alfred Hitchcock tenta di raccontare il vero e proprio declino della vita di un giovane ragazzo altolocato, interpretato da Ivor Novello, a causa di colpe non sue. La crudele parabola discendente di un giovane che sembrava avere tutto, è sottile e ben strutturata. Nel corso di tutta la proiezione si è tentati di continuare a vedere le vicende per sapere se ci sarà un lieto fine o meno. Ancora una volta ritroviamo Eliot Stannard nella sceneggiatura, da un adattamento di un’opera teatrale scritta dallo stesso Novello (che abbiamo imparato a conoscere come sceneggiatore con la saga di The Rat) e Constance Collier.
Roddy (Ivor Novello), sembra avere tutto dalla vita: è giovane, bello, benestante ed ha appena ottenuto l’onore di capitanare la squadra di Rugby della scuola. Ma quando, assieme al suo amico Tim (Robin Irvine), meno ricco e fortunato di lui, si mette nei guai con la malvagia Mabel (Annette Benson), rossa di invidia perché Roddy gli ha negato un bacio (e forse anche attratta della sua fortuna), questi si assume tutta la colpa della presunta violenza nei confronti della ragazza pur di consentire al suo amico di vincere una borsa di studio, essenziale per il proseguimento degli studi. Viene così cacciato dalla scuola e presto cacciato dal padre (Norman McKinnel). Roddy si ricicla così come attore e ballerino, tentando di conquistare Julia (Isabel Jeans), senza riuscirci. Quando però Roddy eredita una forte somma, la malvagia donna non esita a sposarlo per spendere ogni singolo soldo che questi ha messo da parte. Il ragazzo si ritroverà nuovamente in mezzo alla strada in un baratro sempre più profondo che lo porterà, infine, tra le mani di alcuni malviventi marsigliesi. Il tunnel di decadenza in cui Roddy si è cacciato sembra così non avere mai fine, eppure c’è pur sempre una speranza…
Hitchcock dirige ottimamente questo film, che colpisce per la sua profondità e per alcuni esperimenti e trovate che avranno spazio anche in film più noti del regista britannico. Mi riferisco, ad esempio, alla scena in cui Roddy è in preda alle allucinazioni (tinte di verde), dove tutto ruota e poi prende forma con le persone che hanno usato e umiliato il ragazzo, lì a denigrarli (nel video a fondo pagina in edizione, ovviamente, non restaurata). Alcuni elementi di questa scena ricordano da vicino altre che vedremo in film come Vertigo (1958). Ma è la chiarezza a mancare, o forse una certa uniformità nella trama. Alcuni elementi della trama sembrano essere dati per scontati, come già noti allo spettatore, altri appena accennati e non sviluppati. Chi perde la prima parte del film si ritrova completamente spaesato (e sappiamo quanto Hitch non amasse chi entrava quando lo spettacolo era già cominciato). Nel complesso comunque si tratta di un film piacevole anche grazie allo splendido, ancora una volta, lavoro di restauro effettuato dal BFI. Ora non ci resta che aspettare questo pomeriggio per una nuova visione dal vivo dei muti di Hitchcock.