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Il Derby della Lanterna senza tifosi? Non sottovalutiamo il messaggio in arrivo da Genova

Creato il 25 gennaio 2014 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

Il Derby della Lanterna è da sempre considerato uno dei più belli, sia quando Genoa e Sampdoria imbroccano le annate buone, sia quando – ed è capitato – sono in momenti di appannamento, se non addirittura in serie minori.

 

Chiunque abbia avuto la possibilità di visitare Genova non può non aver respirato una sensazione particolare. Sarà perché a Genova, 121 anni fa, ha visto la luce la prima squadra di calcio; sarà perché è una città di 600.000 abitanti con due squadre di calcio di dimensione simile; sarà perché i genovesi, nonostante i fasti della Repubblica marinara siano relegati nel ricordo dei libri di storia sono orgogliosi della loro diversità e superiorità (non a caso, Genova è "la Superba").

Questo atteggiamento si vive anche quando si parla di calcio. Se vi fermate ad un semaforo e guardate gli scooter e le auto, non potete fare a meno di notare che quasi tutti i caschi ed i bauletti hanno un segno identificativo: che sia rossoblu o blucerchiato, un adesivo c'è sempre. È lì, in evidenza. A marcare il territorio e rivendicare la propria fede calcistica.

 

In un contesto del genere è naturale che il Derby sia vissuto come una cosa speciale.

La città tutta partecipa, perché i tifosi di altre squadre esistono ma sono decisamente una minoranza. Che assiste silente, che magari (specie se appartenente all'elite del calcio) sorride beffarda di fronte a questa partecipazione, a questa passione così presente e profonda.

 

Senza questa premessa, la protesta dei tifosi di Genoa e Sampdoria potrebbe sembrare puerile. Poinfondo anche l'ultimo Derby della Mole si è giocato il derby alle 12.30 e nessuno ha fatto tutte queste "sceneggiate".

Tutto vero. Ma non si può liquidare così il problema. Troppo semplice.

 

Il messaggio che arriva dalle due tifoserie è forte.

È partito dagli Utras, ma sta riscuotendo successo crescente in tutta la tifoseria.  Segno che, forse, qualche contenuto meritevole di attenzione esiste.

 

Questo sito nasce per approfondire le tematiche economiche e finanziarie del calcio. Quindi ci è perfettamente chiaro che i soldi "sono tutto" per il calcio e che l'Estremo Oriente sia in questo momento la nuova "mucca da mungere" per incrementare i ricavi commerciali e televisivi.

Ma la partita delle 12.30, per chiunque frequenti lo stadio, è obbiettivamente una gran menata.

L'abbiamo sopportata perché tanto non abbiamo armi per combattere, perché sappiamo che è dalle televisioni che il calcio trae il denaro per sopravvivere, perché poi alla fine capita ogni tanto e … ci facciamo andare bene tutto.

 

Ma un Derby no.

Un Derby è qualcosa di particolare, che merita rispetto aldilà degli interessi economici.

Un Derby è qualcosa che si inizia a vivere settimane prima, che ti fa svegliare alle 7 di mattina con le farfalle nello stomaco, che ti schiaccia fra il sottile piacere della preparazione alla "battaglia" e … la voglia che sia già tutto finito perché non ce la fai più.

Un Derby è qualcosa che ti coinvolge aldilà di ogni altro evento calcistico che riguarda la tua squadra. Perché si combatte in campo, ma anche sugli spalti, perché ti senti chiamato in prima persona, più che in altre partite, a difendere i "tuoi" colori contro "gli altri".

Un Derby sono anche settimane di lavoro per creare la coreografia ideale, quella che vuoi sbattere in faccia alla curva che è di fronte a te, una partita nella partita.

 

Ecco, mettete tutte queste sensazioni (penso comuni a qualunque tifoso) nel contesto della "Superba" descritto all'inizio. Otterrete la spiegazione del perché sta accadendo tutto questo a Genova.

 

Mettere un derby alle 12.30 è una decisione che non ha capo ne' coda.

Significa mancare di rispetto a chi da settimane si sta facendo un mazzo così lavorando per le coreografie. Ah, certo, sono gli ultras "brutti e cattivi", chissenefrega … Certo.

Poi però, quando dovete trasmettere le immagini dello stadio, vi fa piacere che ci sia un'atmosfera speciale. Vi viene bene vedere esplosioni di colori, solleticare lo spettatore pagante con riprese particolari, sentire uno stadio che ribolle.

Significa mancare di rispetto a chi magari vive fuori città, però al derby fa di tutto per esserci.

 

Quello che Genova sta urlando, pur da città che conta poco nelle geopolitica calcistica italiana, è che c'è un un limite. Ci deve essere un limite.

 

Ci avete costretto a digerire di tutto: tessere, tornelli, controlli, orari strampalati, majorettes, musica da discoteca. A un certo punto bisognerà anche fermarsi, no?

Perché è chiaro a tutti che le 12.30 la partita si "vende" meglio. Ma allo stadio ci vanno i tifosi, non i telespettatori. E fino a prova contraria sugli spalti non ci sono ancora i tifosi di cartone esposti provocatoriamente anni fa dal Presidente della Triestina.

 

Genova sta dando un segnale. Sta lanciando un nuovo "che l'inse".

Sta alle Istituzioni preposte, in primis, raccoglierlo. E magari accadrà e tutto rientrerà.

Non è una provocazione. Non è voglia di protagonismo. Non è la "lotta al calcio moderno". Sbaglierebbe chi legge i comunicati delle tifoserie in questo senso.

È una richiesta di maggiore rispetto per i tifosi.

 

Adesso sta a ciascuno di noi capire se vale la pena associarsi a questa iniziativa. Se trovare un modo per associarsi a questa presa di posizione o se, invece, abbandonare le tifoserie di Genoa e Sampdoria al loro destino, alle loro scelte.

Fino alla prossima volta …

 

 

 

 


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