Il “Design Thinking”, in quanto processo sociale creativo ruota intorno alla “costruzione” delle idee, si differenzia dal metodo lineare analitico che prevede l’esecuzione sequenziale delle fasi facendo spazio, al contrario, a fasi non lineari che possono avvenire simultaneamente o essere ripetute. Ma soprattutto dimostra la volontà di riconoscere la presenza di un “fare progettuale” diffuso, un’abilità delle comunità di inventarsi “nuovi modi di vivere”. Il design thinking usa la sensibilità ed i metodi del designer per soddisfare i bisogni della gente attraverso qualcosa che sia tecnologicamente disponibile e che una strategia sostenibile di business sappia convertire in un valore per il cliente e in un’opportunità per il mercato.
Oggi Il design deve essere inteso e vissuto come strumento flessibile per l’interpretazione delle trasformazioni della società contemporanea, da sempre il buon design rivolge all’utenza finale una particolare attenzione, ma in questo caso l’uomo, abitante e utente è focus dichiarato del progetto e contemporaneamente il progettista di oggi e di domani a cui fornire indicazioni attraverso la ricerca, guardando a un nuovo umanesimo culturale.Si tratta di riflessioni e proposte aperte al riorientamento etico del design, da considerare come possibili risposte a una domanda di design che sta cambiando dal «come fare», da tradursi in design =solutore di problemi, al «che cosa fare», ossia design =strumento strategico per il cambiamento, da intendersi come missione nella ricerca di un approccio più aperto e flessibile.
Se il design si riferirà, quindi, al progetto di prodotto, riguarderà il passaggio dal come disegnare un buon prodotto a quale strategia adottare per riorientare il prodotto; se riferita al design di servizio, graviterà intorno alla necessità che i buoni prodotti/servizi siano comunque figli di visioni ampie interpreti dei nuovi scenari di cambiamento e di condivisione; se riferita al processo produttivo, riguarderà la transizione possibile dalla capacità del design sistemico di reindirizzare la produzione verso un processo non lineare in cui gli output di alcune fasi del processo produttivo si trasformano in input per nuove sostenibili produzioni, anche in direzioni molto diverse da quella della filiera produttiva originaria.
Sono in molti oggi a domandarsi come mai il design non si occupi solo di dare forma e contenuto al prodotto fisico ma anche di disegnare prodotti immateriali, nuovi scenari e strategie, intersecando il ruolo di altre discipline. La ragione sta nella flessibilità del design, capace di connettere saperi diversi, dalle scienze tecniche alle humanities, e di sviluppare tematiche ad ampio raggio, dal lavoro alla salute, dall’alimentazione ai trasporti, ai beni culturali, alle catastrofi. Inoltre, è importante la capacità del designer di comunicare attraverso strumenti divulgativi alla comunità intera percorsi concettuali e visioni che normalmente vengono discussi e compresi solo all’interno degli ambiti accademici e scientifici.
Quindi in sintesi le caratteristiche di un designer sono:
- Emphaty (empatia con l’utente).
- Integrative thinking (comprendere sistemi complessi e generarne di nuovi).
- Optimism (pensare che esiste sempre una soluzione migliore di quelle già disponibili).
- Experimentalism (tendere all’innovazione radicale anziché incrementale).
- Collaboration (relazionarsi efficacemente con profili interdisciplinari).