Chiunque può capire cosa sia il peccato originale, basta guardare dentro sé, vedersi in azione e domandarsi: “perché nonostante io sappia cosa è giusto, scelgo ciò che è sbagliato?” Tale condizione originale dell’uomo, cioè desideroso di felicità ma strutturalmente incapace di conquistarla, è facilmente riconoscibile da chiunque.
«Questo mistero del peccato originale, che è poi così tremendamente vero», scriveva Carl Gustav Jung; «Il legno con il quale siamo costruiti è storto», scriveva Eugenio Scalfari qualche settimana fa. Non è la Chiesa ad aver “inventato” il peccato originale, ma – al contrario – è lei l’unica ad aver dato una spiegazione della nostra situazione. Se si toglie il peccato originale non si capisce più l’uomo.
Tuttavia è abbastanza usuale scovare Vito Mancuso che, con il suo noto ghignetto sarcastico sul volto e l’aria dimessa e stropicciata, liquida il dogma del peccato originale riprendendo l’obiezione dei più disparati anticlericali secondo cui metterebbe «inimicizia tra Dio e il bimbo che nasce». Che un docente di teologia cattolica usi un’obiezione tanto banale e abusata mediaticamente spiega in parte perché i più noti colleghi di Mancuso non lo considerino all’altezza del ruolo che svolge. Il teologo di Carate Brianza vorrebbe dunque riscrivere il dogma parlando «di “caos” originale» perché secondo lui «il centro del cristianesimo consiste in un tale legame tra Dio Padre e l’umanità da rendere insostenibile l’idea che gli uomini siano peccatori agli occhi di Dio per il fatto stesso di essere uomini, idea che considero un’offesa alla creazione e alla paternità divina».
Leggendo tale obiezione, Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, dove è anche professore ordinario di teologia fondamentale, ha così commentato: «Questa semplificazione, che intende riassumere il nucleo della dottrina, non è leale. Questa equivoca forzatura è propria del dualismo gnostico, semmai, al quale il cristianesimo si è duramente opposto fin dall’inizio». Mancuso non rifiuta il dogma ma intende «la natura umana come precario impasto di un “caos originario”, in cui lavora un’oscura “forza distruttiva”, al di sotto e al di là di ogni profilo morale. È perciò curioso – oltre che “sbagliato” – che, pur sostenendo questa naturalizzazione del peccato e del male nell’uomo, Mancuso rimproveri questa “scandalosa” dottrina al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento, in verità, che fronteggia proprio su questo punto il radicalismo agostiniano del protestantesimo, condivide l’idea di una corruzione della natura umana, ma resiste fermamente all’idea della corruzione come natura dell’uomo».
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, spiega che: «Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza”). Il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale» (CCC 405). Per il rapporto tra peccato originale e battesimo è interessante questa risposta del teologo padre Angelo Bellon.
Lo psicoanalista francese Jacques Arènes dal suo punto di vista, più vicino all’esperienza dei cristiani rispetto a quella di Mancuso, ha spiegato: «Nel mondo cristiano, fin dall’inizio, si credeva al peccato originale. Si condivideva più o meno questa “colpa”. Era impossibile esserne esenti, anche se si era comunque assolti. Trovo questo profondamente liberante. Il senso di colpa, quando non scade in un aspetto morboso, è libertà. Il fatto di avere un rapporto personale e soggettivo con la colpa, davanti all’altro – il prossimo e/o Dio – è molto importante per la libertà di ciascuno».
E’ intervenuto anche Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce, che ha spiegato: «L’esistenza di un peccato all’origine del genere umano si accorda con quanto l’uomo può verificare empiricamente, nella storia dei popoli e nella sua esistenza personale. È paradossale che un essere intelligente, capace di pensiero filosofico e di progresso tecnico-scientifico, che se volesse potrebbe impiegare le proprie risorse e la propria intelligenza per aumentare la qualità di vita dei popoli, eliminando tante sofferenze e cooperando come in una sola famiglia, applichi invece il suo genio e la sua razionalità per combattere, distruggere, umiliare e uccidere. Non si tratta di un retaggio della nostra biologia animale: ad essere onesti è molto di peggio. Non è pura bestialità, ma intelligenza che concepisce il male e lo persegue razionalmente. Qualcosa non funziona in noi. Mentre gli altri animali suonano sempre con lo stesso registro, noi siamo capaci di interpretare le note più sublimi e quelle più ignobili. Qualcosa è misteriosamente avvenuto alle origini e qualcosa continua ad avvenire in ognuno di noi: siamo depositari di una promessa maggiore di quanto siamo capaci di mettere in pratica. Il testo sacro può essersi servito anche del linguaggio del mito per trasmettere questa verità originaria, ma essa rimane tanto reale quanto l’esperienza quotidiana di ciascuno».
Rispetto alla classica obiezione anticlericale, usata anche da Mancuso, «si tratta di capirsi sul significato dei termini. Il termine inimicizia pone l’enfasi sulla gravità del peccato, in genere, e non intende umiliare nessuno, tanto meno i bambini che sono sempre creature predilette da Dio. L’inimicizia fa riferimento alla colpa (che non c’è nel peccato originale storicamente trasmesso) piuttosto che alla pena. Se la colpa (rifiuto di Dio) può causare inimicizia, la pena (beni perduti) causa piuttosto misericordia come lo stesso linguaggio comune ci ricorda. La storia dei nostri peccati, e dunque anche del peccato originale, più che rivelare l’ira di Dio, rivela la sua misericordia».
Vito Mancuso vive le fatiche esistenziali della confusione e le fragilità dell’uomo moderno: «L’uomo moderno alza il suo ditino fino al cielo, non solo perché sofferente del male, ma anche perché indignato per l’aliena e ingiustificata incursione del male nella nostra vita», ha spiegato Sequeri. «Noi non vogliamo condividere nessuna colpa di qualcun altro. Anzi, non vogliamo essere colpevolizzati e basta. Siamo caotici, siamo irrazionali, siamo pure bestiali. non vogliamo essere colpevolizzati da nessuno. Tanto meno da Dio, che semmai ha molto da farsi perdonare da noi. Quel tanto di accecamento che sta racchiuso in questa nostra presunzione, dovrebbe renderci più pensosi».
La redazione