Vita di Confucio scritta dal gesuita Padre Prospero Intorcetta
Spesso, chi si ritiene nel giusto compie grossi danni per l’incapacità di vedere che il suo concetto di giustizia non è valido universalmente. La gradazione di questa miopia ha una scala vastissima: si va dai conflitti di religione al volere aiutare a tutti i costi il prossimo, pur non avendone le capacità. Come ben sa chi si occupa di volontariato, le buone intenzioni non bastano e spesso sono d’intralcio. Sul campo ci vogliono conoscenze e capacità di adattamento, pena risultati controproducenti. La buonafede può essere addirittura pericolosa nel caso in cui, in occasione del confronto con il diverso, le brave persone possono diventare molto cattive quando notano che lo “sfortunato” non apprezza le loro attenzioni.
Un libro molto interessante che tocca questi temi pur partendo da lontano è L’enigma di Hu scritto da Jonathan D. Spence e pubbicato da Adelphi. L’editore lo presenta come la storia del primo cinese sbarcato in Occidente, nel XVIII sec. In realtà il nostro Hu non è stato il primo, e l’autore lo conferma, ma nonostante questa “svista editoriale” l’opera resta di estremo interesse. Spence compie un certosino lavoro tra carteggi ed archivi per ricostruire le vicende narrate, esponendole quindi in ordine cronologico lungo l’arco di cinque anni. Giovanni Hu, cinese convertito, arriva in Francia al seguito del gesuita Padre Jean-François Foucquet, scontrandosi con un mondo nuovo e spesso difficile.
Al centro del libro la disperazione del gesuita bibliofilo, che non trova in Hu l’aiutante sperato ma una persona incomprensibile, che fa cose strane e non si integra nella società. Per contro Hu non capisce le imposizioni richieste e perché non possa sentirsi libero di comportarsi come meglio crede. Pur animati dalle migliori intenzioni i due non riescono ad intendersi, convinti in ogni caso di essere nel giusto. L’essere in terra francese non aiuta certo Hu che si ritrova rinchiuso a lungo in manicomio, mentre Focquet si dedica ai suoi libri ed al viaggio verso Roma, dove lo attende un colloquio con il Papa. Anche Hu vorrebbe fare visita al pontefice, ma il suo desiderio non si realizzerà.
Nel corso dell’opera di Spence vediamo all’opera molti personaggi di contorno, portatori di diverse visioni della fede e della vita. Quasi sempre, tuttavia, Hu riesce ad essere l’elemento straniante che fa arrabbiare anche coloro che ritengono sbagliato il comportamento di Focquet, ben presto pentito della sua scelta di portare con sè lo sfortunato cinese ed ansioso di “rifilarlo” a qualcuno magari perché lo rimandi in Cina. Molto interessante anche il panorama fugace che Spence lascia intravedere, quel mondo di missionari e congregazioni con il loro “assalto al cielo”, in questo caso il cielo cinese. I gesuiti in particolare sono un elemento chiave nella storia della Cina.
Dalle pagine di Spence non emergono vittime o colpevoli, sia Hu che Focquet sembrano essere di volta in volta buoni e cattivi. Certo Hu è sfavorito dal suo trovarsi in terra straniera, ma sembra davvero rifiutare l’integrazione rivendicando invece il diritto di vivere come faceva al suo paese. Entrambi i protagonisti in svariate occasioni sembrano egoisti e capricciosi, incapaci anche solo di voler capire l’altro. Sembra quasi che non ci possa essere dialogo senza un preliminare riconoscimento della superiorità della scala di valori altrui. Alla fine Hu riuscirà a tornare in Cina, mentre Focquet continuerà la sua carriera ecclesiastica.
Varie questioni di fondo non abbandonano il lettore una volta terminato il libro, come può realizzarsi un incontro tra culture diverse che non sia traumatico? Senza umiltà come si può dialogare con il diverso? Tutte questioni che oggi riecheggiano più forti che mai. Certamente non si può generalizzare, la sorte dei precedessori di Hu è stata a volte molto diversa, tuttavia riflettere su questi temi può essere molto utile.
Fonte immagine Wikicommon