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Il duro lavoro dell’esecutore

Creato il 22 gennaio 2011 da Stefanorussoweb

Eseguire una musica contiene in sé inscidibilmente l’atto di tramandarla. È questa una caratteristica che appartiene solo a quest’arte e a nessun’altra. Qualunque musicista, nel momento in cui approccia allo studio e, successivamente, all’esecuzione di un brano deve fare i conti non solo con sé stesso e con l’autore di esso ma con tutti gli elementi che hanno arricchito e mutato il pensiero musicale e la capacità di ascolto del pubblico fin dal giorno della composizione di quella musica. L’opera del passato non arriva infatti mai a noi come era in origine, giunge all’esecutore permeata di tutti i segni e di tutti i sensi che le sono stati dati dal tempo. Il concetto di fedeltà all’autore ha valore solo quando, superando l’ingenuità delle impossibili esecuzioni filologiche, si riesce a cogliere tutto l’insieme dei sedimenti che inevitabilmente quella musica si porta addosso.

Diverso è il discorso per il direttore d’orchestra che, oltre a rivestire il ruolo di interprete, è pure, per i suoi musicisti e per il pubblico, “depositario della legge”. Il direttore, infatti, unico a stare in piedi, dalla sua posizione elevata e dando le spalle al pubblico si pone come una sorta di “domatore” che con i suoi gesti impone determinati comportamenti all’orchestra che finisce col divenire un’appendice di se stesso.
Tale concezione è relativamente recente, nel passato i direttori non avevano l’attuale preminenza fisica e simbolica e il ruolo di “prime donne” era solitamente riservato a solisti e cantanti di chiara fama. Oggi poi il direttore è sottoposto a un ulteriore “stress”: la necessità di distinguersi e “farsi scegliere” nell’immenso mercato dei prodotti musicali impone l’accentuazione delle sue caratteristiche interpretative insieme alla conservazione e all’accrescimento delle peculiarità sonore proprie di ogni orchestra.

Riferimenti bibliografici

  • T.W. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino 2002
  • A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin. Una riflessione su musica colta e modernità, Feltrinelli, Milano 1992
  • W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 2000
  • E. Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981
  • C. Casini, L’arte di ascoltare la musica, Bompiani, Milano 2004

da “Il Pendolo” del 7 Ottobre 2010

 



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