Produttività, produttività, produttività! E' questa la parola d'ordine del governo, di Confindustria, degli editoriali dei giornali: “La produttività del lavoro in Italia è molto più bassa di quella tedesca, ecco perché siamo in crisi”.
Raramente si spiega però cosa voglia dire e la terminologia tecnica (“produttività del lavoro”) lascia intendere che il problema siano i lavoratori. Magari, come dice la Fornero, perché da noi c'è il sole, si mangia bene, la gente si rilassa. Oppure, come sostiene il sottosegretario Polillo, perché facciamo troppe vacanze.
Ma cos'è la produttività? Vi sono molti modi per misurarla, ma i due fondamentali sono la “produttività oraria”, cioè quanto prodotto un lavoratore realizza in un'ora, e il “costo del lavoro per unità di prodotto”, cioè quanto costa, in termini di salari, contributi e altre spese produrre qualcosa. Ma ecco il punto su cui fare attenzione: il “prodotto” viene calcolato generalmente in termini monetari, non di quantità, visto che non possiamo mischiare automobili a confetture di frutta. Per cui la produttività oraria significa quanto PIL l'Italia realizza con un'ora di lavoro di un lavoratore e il “costo del lavoro per unità di prodotto” significa quanto salario, contributi e altre spese legate al personale sono necessarie per produrre 1 euro di PIL.
A questo punto possiamo capire dove sta l'inghippo. Il problema è che i lavoratori italiani lavorano meno ore di quelli tedeschi? No, è il contrario. Gli italiani lavorano molte più ore dei tedeschi, come si evince da questo grafico:
e guardate i famosi “sfaticati” greci, loro lavorano molto più di noi.
Allora, si dirà, il problema è che i lavoratori italiani costano troppo alle aziende. Neppure: ecco la classifica del costo del lavoro nei paesi dell'OCSE.
Insomma, non lavoriamo poco e non prendiamo salari troppo alti. Il problema è quindi da un'altra parte. Dove? Perché nonostante lo sforzo lavorativo e nonostante i salari non elevati, la nostra “competitività” è bassa?
Pensiamo ad un lavoratore della terra. Se deve arare il campo con le mani nude gli può servire una settimana per smuovere la terra di un piccolo appezzamento. Se ha una zappa, allora ci metterà un giorno. E se invece ha un trattore, impiegherà solo un'ora. Il problema è quindi nell'altro fattore produttivo oltre al lavoro, cioè il capitale.
Proviamo a capirne le cause. Quel che sappiamo è che le nostre imprese non investono in ricerca e sviluppo, non ammodernano i macchinari, sono generalmente piccole, così che non possono ottimizzare i costi come fanno le grandi imprese. Ma sappiamo anche che il problema è anche in ciò che (non) produciamo: ad esempio non produciamo software, pannelli solari, prodotti tecnologici e tra poco rischiamo anche di non produrre automobili, cioè che prodotti che hanno un elevato valore aggiunto (in sostanza costa relativamente poco produrli e vengono venduti a prezzi relativamente elevati). La Grecia fa molto peggio di noi, vista la debolezza del suo settore industriale.
Allora, si dirà, la Germania è il campione della produttività europea. Sicuramente loro producono in modo più efficiente di tutti, grazie alla proverbiale organizzazione tedesca. I loro prodotti sono migliori e la gente è disposta a pagarli di più. La risposta è che sì, i tedeschi sono bravi, ma non i più bravi di tutti. Questo grafico mostra la produttività oraria di alcuni paesi europei.
Come si nota la Germania è messa decisamente meglio dell'Italia, la Spagna e la Grecia, ma altrettante decisamente è indietro rispetto alla Francia e addirittura leggermente al di sotto della media europea. Quindi la Germania non è “il campione” della produttività. Ma allora come si spiega che la Francia importa dalla Germania più di quanto esporti e non il contrario? La risposta è che la Germania sta competendo sui prezzi. Da 10 anni i salari dei lavoratori tedeschi sono fermi, quindi mentre la produttività oraria cresceva, con i salari stagnanti il “costo del lavoro per unità di prodotto” precipitava, come mostra questo grafico:
Per non parlare della compressione della domanda interna grazie ai lavori sottopagati (i cosiddetti mini jobs), che ha provocato la frenata delle importazioni. Gli altri paesi, invece, chi più, chi meno, hanno visto aumentare i salari con la produttività.
Insomma, diciamo la verità: i tedeschi – leggasi: le classi dirigenti tedesche – stanno facendo i “furbi”, approfittando della mancanza di regole europee sui costi dei dipendenti. Impongono ai paesi periferici la stretta sui bilanci pubblici, l'austerità, le riforme regressive sul mercato del lavoro, ma di regole contro la “deflazione salariale” che vadano a colpire i loro interessi non se ne parla. Forti dell'egemonia economica che hanno conquistato grazie alla mancanza di regole, la trasformano in egemonia politica che usano per fare in modo che le regole continuino a favorirli.
Nei giorni scorsi le parti sociali hanno firmato un accordo sulla “produttività”. Come al solito si è fatto un passo indietro in termini di tutele, lasciando ai contratti di secondo livello (che poi non si fanno quasi mai) una serie di regole sulla flessibilità di orari e mansioni e sul recupero dell'inflazione, svuotando il contratto nazionale e colpendo i già bassi salari. Sono le stesse ricette che si applicano da 20 anni a questa parte: flessibilità, deflazione salariale. Ma abbiamo visto che il grosso del problema produttività in Italia è di tutt'altra origine. E come nei precedenti 20 anni queste misure non serviranno a nulla, se non a dare un po' di ossigeno ai settori più arretrati del sistema produttivo italiano, invece di puntare decisamente su l'innovazione di prodotto e di processo.
Guido Iodice | @guiodic
The false myth of the Italian inefficiency and German perfection
Productivity, produttività, produttività! This is the mantra of the government of Confindustria, of the newspapers: "Productivity of work in Italy is lower than in Germany, that's why we're in crisis."
Rarely do they explain what the technical terminology ("work productivity") truly means, and leaves to understand that the problem are the workers themselves. Because maybe, as Fornero says, we have sun and good food, and people relax. Or, as Polillo says, because we have too many vacations.
Ma cos'è la produttività? Vi sono molti modi per misurarla, ma i due fondamentali sono la “produttività oraria”, cioè quanto prodotto un lavoratore realizza in un'ora, e il “costo del lavoro per unità di prodotto”, cioè quanto costa, in termini di salari, contributi e altre spese produrre qualcosa. Ma ecco il punto su cui fare attenzione: il “prodotto” viene calcolato generalmente in termini monetari, non di quantità, visto che non possiamo mischiare automobili a confetture di frutta. Per cui la produttività oraria significa quanto PIL l'Italia realizza con un'ora di lavoro di un lavoratore e il “costo del lavoro per unità di prodotto” significa quanto salario, contributi e altre spese legate al personale sono necessarie per produrre 1 euro di PIL.
A questo punto possiamo capire dove sta l'inghippo. Il problema è che i lavoratori italiani lavorano meno ore di quelli tedeschi? No, è il contrario. Gli italiani lavorano molte più ore dei tedeschi, come si evince da questo grafico:
e guardate i famosi “sfaticati” greci, loro lavorano molto più di noi.
Allora, si dirà, il problema è che i lavoratori italiani costano troppo alle aziende. Neppure: ecco la classifica del costo del lavoro nei paesi dell'OCSE.
Insomma, non lavoriamo poco e non prendiamo salari troppo alti. Il problema è quindi da un'altra parte. Dove? Perché nonostante lo sforzo lavorativo e nonostante i salari non elevati, la nostra “competitività” è bassa?
Pensiamo ad un lavoratore della terra. Se deve arare il campo con le mani nude gli può servire una settimana per smuovere la terra di un piccolo appezzamento. Se ha una zappa, allora ci metterà un giorno. E se invece ha un trattore, impiegherà solo un'ora. Il problema è quindi nell'altro fattore produttivo oltre al lavoro, cioè il capitale.
Proviamo a capirne le cause. Quel che sappiamo è che le nostre imprese non investono in ricerca e sviluppo, non ammodernano i macchinari, sono generalmente piccole, così che non possono ottimizzare i costi come fanno le grandi imprese. Ma sappiamo anche che il problema è anche in ciò che (non) produciamo: ad esempio non produciamo software, pannelli solari, prodotti tecnologici e tra poco rischiamo anche di non produrre automobili, cioè che prodotti che hanno un elevato valore aggiunto (in sostanza costa relativamente poco produrli e vengono venduti a prezzi relativamente elevati). La Grecia fa molto peggio di noi, vista la debolezza del suo settore industriale.
Allora, si dirà, la Germania è il campione della produttività europea. Sicuramente loro producono in modo più efficiente di tutti, grazie alla proverbiale organizzazione tedesca. I loro prodotti sono migliori e la gente è disposta a pagarli di più. La risposta è che sì, i tedeschi sono bravi, ma non i più bravi di tutti. Questo grafico mostra la produttività oraria di alcuni paesi europei.
Come si nota la Germania è messa decisamente meglio dell'Italia, la Spagna e la Grecia, ma altrettante decisamente è indietro rispetto alla Francia e addirittura leggermente al di sotto della media europea. Quindi la Germania non è “il campione” della produttività. Ma allora come si spiega che la Francia importa dalla Germania più di quanto esporti e non il contrario? La risposta è che la Germania sta competendo sui prezzi. Da 10 anni i salari dei lavoratori tedeschi sono fermi, quindi mentre la produttività oraria cresceva, con i salari stagnanti il “costo del lavoro per unità di prodotto” precipitava, come mostra questo grafico:
Per non parlare della compressione della domanda interna grazie ai lavori sottopagati (i cosiddetti mini jobs), che ha provocato la frenata delle importazioni. Gli altri paesi, invece, chi più, chi meno, hanno visto aumentare i salari con la produttività.
Insomma, diciamo la verità: i tedeschi – leggasi: le classi dirigenti tedesche – stanno facendo i “furbi”, approfittando della mancanza di regole europee sui costi dei dipendenti. Impongono ai paesi periferici la stretta sui bilanci pubblici, l'austerità, le riforme regressive sul mercato del lavoro, ma di regole contro la “deflazione salariale” che vadano a colpire i loro interessi non se ne parla. Forti dell'egemonia economica che hanno conquistato grazie alla mancanza di regole, la trasformano in egemonia politica che usano per fare in modo che le regole continuino a favorirli.
Nei giorni scorsi le parti sociali hanno firmato un accordo sulla “produttività”. Come al solito si è fatto un passo indietro in termini di tutele, lasciando ai contratti di secondo livello (che poi non si fanno quasi mai) una serie di regole sulla flessibilità di orari e mansioni e sul recupero dell'inflazione, svuotando il contratto nazionale e colpendo i già bassi salari. Sono le stesse ricette che si applicano da 20 anni a questa parte: flessibilità, deflazione salariale. Ma abbiamo visto che il grosso del problema produttività in Italia è di tutt'altra origine. E come nei precedenti 20 anni queste misure non serviranno a nulla, se non a dare un po' di ossigeno ai settori più arretrati del sistema produttivo italiano, invece di puntare decisamente su l'innovazione di prodotto e di processo.
Magazine Attualità
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