Ritiene infatti che non sia affatto un «aborto dolce», come i radicali hanno voluto tentare di accreditare. Avvenire ricorda che lo specialista si oppose infatti nel 2005 alla sperimentazione della pillola al al Sant’Anna di Torino. Ha sempre sostenuto, come il presidente dell’Associazione mondiale di medicina riproduttiva Severino Antinori (cfr. Ultimissima 4/4/10), «che la pillola abortiva è dannosa per la salute della donna, perché la obbliga a un iter abortivo lungo e doloroso, ma anche per le ricadute psicologiche. Iniziano le contrazioni, i dolori, le perdite di sangue e, sempre in misura variabile, anche vomito, nausea, diarrea. Spesso poi l’embrione viene espulso solo tra i 3 e i 20 giorni successivi». Inoltre «non è infrequente la necessità di ricorrere ai raschiamenti chirurgici per gli aborti incompleti».
Una procedura dunque molto macchinosa e difficile, ed è proprio il meccanismo della Ru486 a funzionare male: «Dopo l’assunzione del primo farmaco, pochissime donne abortiscono completamente. Almeno nell’80% dei casi la donna deve ricorrere, dopo un paio di giorni, al secondo farmaco – il misoprostolo – per ottenere l’espulsione del feto». L’uso di questo secondo farmaco potrebbe portare la donna a gestire l’aborto a casa, a dover così «controllare personalmente il flusso emorragico e l’espulsione del feto». Per chi decidesse di tornare indietro dopo aver assunto la prima pillola, «è molto difficile ipotizzare un esito positivo, visto che il feto nella grande maggioranza dei casi avrà già avuto sofferenze». Che tutto questo venga nascosto dal laicismo, dai radicali dell’Associazione Luca Coscioni, sedicenti “per la libertà di ricerca scientifica”, dimostra quanto poco sia da loro considerata, in realtà, la salute della donna.