di Giuseppe Dentice
In seguito alla crisi di Hormuz, anche la Cina sta vagliando nuove strategie di approvvigionamento energetico nel cuore della regione Golfo. Lo scorso mese (14-19 gennaio), il Primo Ministro cinese Wen Jiabao, insieme ad una pletora numerosissima di ministri e uomini d’affari del Paese del Dragone, ha effettuato una missione di sistema in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti per rafforzare i rapporti bilaterali con questi Paesi e per discutere della situazione nel mondo arabo. Con l’occasione sono stati siglati una serie di accordi di cooperazione del valore di svariati miliardi di dollari: in settori strategici come economia, commercio, cultura e istruzione con l’Arabia Saudita e in materia di finanze, energia e sport con gli EAU e il Qatar.Le esigenze energetiche di Pechino
Le tensioni che caratterizzano la regione mediorientale, soprattutto quelle legate alla questione del nucleare iraniano e ai difficili rapporti tra Iran e Paesi del Golfo, potrebbero mettere a rischio i rifornimenti di idrocarburi di Pechino. Anche se finora si è fortemente opposta all’approvazione di sanzioni finanziarie unilaterali sul petrolio iraniano come invece fatto da USA e UE, la Cina sta cominciando a sondare nuovi mercati e nuove forniture petrolifere in grado di compensare un possibile calo di importazioni da Teheran. L’Iran rappresenta per la Cina il terzo fornitore di greggio dopo Arabia Saudita e Angola. I dati ufficiali della dogana cinese dicono che Pechino ha acquistato greggio persiano per un valore di $ 30 miliardi, 50 previsti nel 2015, coprendo quasi il 22% dell’export petrolifero iraniano. Da Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi, invece Pechino ha acquistato da gennaio a novembre dello scorso anno 1,15 milioni di barili di petrolio al giorno, circa il 25% delle importazioni totali.È su queste basi che nel recente tour nel Golfo, Wen Jiabao e le rispettive controparti politiche, il Re saudita Abdullah e gli Emiri di Qatar ed EAU, al-Thani e al-Maktoum, hanno discusso degli sviluppi regionali e internazionali, nonché della cooperazione economico-strategica tra i rispettivi Paesi.Più specificatamente, infatti, secondo i dati dell’agenzia stampa cinese Xinhua, l’Arabia Saudita è il maggior fornitore di petrolio del Dragone (45,5 milioni di tonnellate di petrolio, +13%rispetto al 2010) e il commercio bilaterale tra i due Paesi ammonta a 58,5 milioni di dollari per i primi undici mesi del 2011. Il Qatar, invece, è il suo maggior fornitore di gas naturale con 1.8 milioni di tonnellate, +76% nul 2010. Invece gli EAU sono per la Cina il secondo maggior partner commerciale, in quanto Abu Dhabi è un punto di smercio importantissimo dei prodotti di Pechino nella regione: infatti, circa il 70% delle esportazioni cinesi negli EAU viene poi riesportato negli altri Paesi del Golfo, in Africa e in Europa. I commerci cinesi coi Paesi arabi nel 2015 dovrebbero valere circa 200 miliardi di dollari. Nel 2011 sono già arrivati a 190 miliardi.I contratti firmati con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti
Durante la visita a Riyadh, i due leader hanno “discusso di politica e di affari”, come spiegato da Rayed Krimly, funzionario saudita del Ministero degli Esteri, sottolineando come la cooperazione bilaterale “è destinata a crescere ancora”, complice anche l’accordo siglato tra la compagnia petrolifera saudita Aramco e quella cinese Sinopec per la costrizione di una raffineria di greggio a Yanbu – città sul Mar Rosso e principale alternativa strategica per il passaggio di pipelines terrestri alla minacciatachiusura dello Stretto di Hormuz – dalla capacità produttiva di 400mila barilidi petrolio al giorno. I due Paesi hanno, inoltre, firmato diversi accordi economici e culturali tra cui spiccano sia un protocollo d’intesa tra il colosso petrolchimico saudita Sabic e quello cinese Sinopec volto a costruire un impianto petrolchimico in Cina a Tianjin, sia un accordo di cooperazione per l’uso pacifico dell’energia nucleare.Diversi accordi sono stati conclusi anche tra Cina e Qatar durante la visita di Wen a Doha, rendendo di fatto le due economie ancora più interdipendenti. Tra gli accordi firmati spiccano quello firmato dalla Qatar Petroleum, Shell e la China National Petroleum Corp (CNPC) riguardante un progetto da 12.6 miliardi di dollari per una raffineria e un complesso petrolchimico a Taizhou, nella Cina Orientale. Il progetto prevede la realizzazione di una raffineria che dovrebbe arrivare a produrre 400 mila barili giornalieri e di un complesso da 1.2 milioni di tonnellate di etilene all’anno. Tra gli altri accordi conclusi vi è l’istituzione di un comitato misto e di un’intesa per la lotta alla desertificazione.Ultima tappa del tour cinese nel Golfo sono stati gli Emirati Arabi Uniti. La visita di Wen a Dubai, oltre che confermare la già forte cooperazione bilaterale esistente, ha mirato a produrre un certo salto di qualità nelle relazioni tra i due Paesi per arrivare ad instaurare un vero e proprio partenariato strategico: Wen e al-Maktoum hanno di fatto firmato una serie di accordi come quello tra la Emirates Central Bank e la People’s Bank of China, finalizzato a mantenere una certa stabilità nel cambio tra il dinaro emiratino e lo yuan-renmimbi in modo tale da incrementare l’interscambio (circa 32miliardi di dollari nei primi undici mesi del 2011, +38,6% rispetto al 2010 secondo le stime del Ministero dell’Economia emiratino). Altri accordi particolarmente rilevanti sono quelli tra le compagnie petrolifere Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC) e la CNPC ed, infine, un MoU (Memorandum of Understanding) nel settore delle energie rinnovabili, volto a rafforzare gli investimenti nella “green economy”.L’importanza strategica del Golfo e il “filo di perle” cinese
A conclusione del viaggio di lavoro, il Premier cinese Wen ha proposto di creare un istituto internazionale che stabilisca il prezzo delpetrolio e regoli l’intera catena di rifornimenti, anche nei Paesi in transito. Insomma creare un meccanismo più indipendente e diverso dall’attuale sistema OPEC.Tale dichiarazione è passata quasi inosservata e nasconde qualcosa di molto più ambizioso e diverso di un semplice contratto miliardario o di un po’di petrolio in più. La Cina da circa un decennio sta perseguendo una strategia, definita dal politologo statunitense Christopher Pehrson, del “Filo di Perle” (Strings of Pearl Strategy): questa prevede il rafforzamento delle relazioni politico-commerciali con i Paesi della fascia costiera asiaticache va dal Mar Rosso fino all’Indocina. Secondo tale strategia, la Cina per rafforzare il proprio sea power utilizzerebbe la costruzione di opere infrastrutturali, realizzate in compartecipazione tra aziende o capitali cinesi e partner della nazione interessata, come strumento di influenzageo-politico. Ogni intervento è realizzato in una “località di notevole importanza geo-strategica e costituisce appunto una delle “perle”, dotata di una propria valenza autonoma e realizzata secondo specifiche valutazioni del rapporto costo/benefici”[1].Questa politica marittima costituisce per Pechino un’importante rete di punti d’appoggio portuali – attraverso la quale transita circa il 40% del commercio globale – lungo la cruciale rotta commerciale che si snoda tra il Canale di Suez, gli Stretti di Bab el-Mandeb e Hormuz, l’Oceano Indiano e lo Stretto di Malacca. Infatti, secondo i dati del Dipartimento dell’Energia USA, si stima che i 2/3 degli approvvigionamenti energetici dei quali beneficiano i Paesi asiatici provengono dal Medio Oriente. Il “filo di perle” mira, appunto, ad allargare la fascia di protezione degli approvvigionamenti energetici di Pechino, cercando di ampliare la sua fascia di sicurezza alla regione del Golfo, fino ad arrivare nel prossimo futuro al Sudan, creando così un continuum terrestre delle pipelines. In questo modo, la strategia del “filo di perle” assomiglia sempre più ad una politica di contenimento, che da una parte ha lo scopo di accerchiare e isolare l’India, principale competitor geopolitico cinese, dall’altra punta ad assicurare a Pechino i diritti di navigazione e la protezione delle rotte petrolifere che vanno dall’Africa Orientale al Pacifico.
Strategia del “Filo di Perle” cinese
Se oggi la regione del Golfo e il suo sistema di sicurezza, il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), appaiono essere ancora troppo vicini alle istanze statunitensi, in futuro una sempre maggiore alleanza dei Paesi arabi dell’area con la Cina potrebbe ridefinire sensibilmente gli orientamenti dei singoli Stati e dell’intero CCG e portare ad una potenziale estromissione degli StatiUniti da uno snodo geopolitico strategico.* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)