(Pubblicato su Kataweb Forumcinema il 24 febbraio 2003)
Al termine del film, la domanda sorge spontanea: che c’entra Baudelaire e Les Fleurs du Mal? Già, perché La Fleur du Mal è l’ennesimo ritratto dipinto con colori acidi della buona borghesia di provincia cui Chabrol ci ha abituato, il consueto piattino nero condito di veleni e ipocrisie insaporito da un trito di arsenico e cianuro. La vicenda ruota intorno un nucleo familiare stretto in un intrico di convenienze fondate sulla brama del potere, avviluppato in una rete di finzioni, intrighi, macchinazioni. Un omicidio avvenuto nel passato e un senso di colpa in cerca d’espiazione costituiscono il propulsore neanche troppo oscuro della storia e pure la sua risoluzione.
Chabrol costruisce come suo solito una ragnatela di situazioni complesse, ma stavolta è incapace di dare aria all’intreccio, generando nello spettatore una sensazione di soffocamento claustrofobico. La trama gira a vuoto, avvitandosi su se stessa senza trovare sbocchi di sceneggiatura. Il mistero soggiacente non è proprio un mistero. Il finale, frettoloso e deprivato di qualsiasi suspence, chiude la vicenda senza sorprese. La Fleur du Mal nulla aggiunge e nulla toglie a un Maestro che, in passato ha saputo fustigare usi e costumi con ben altra forza.