Ancora una volta il laico e non credente Giuliano Ferrara dimostra una lucidità di giudizio senza paragoni. Lo avevamo citato in Ultimissima 26/4/11, ma vale ancora la pena soffermarsi sulla recente puntata del programma "Qui Radio Londra", dove il direttore de "Il Foglio" ha preso posizione sul gesto estremo e pubblicitario di Lucio Magri, che ha voluto togliersi la vita a causa della depressione recandosi nella clinica della morte svizzera.
Abbiamo già avuto modo di giudicare la vicenda sostenendo che per un "senza Dio" non ci può essere alcun valore nel dolore e nella sofferenza e che è quasi un obbligo il suicidio per chi non condivide la prospettiva cristiana, un dovere di coerenza estrema. Perciò tanti vedono in queste persone degli eroi, degli esempi. Ferrara ha però posto la questione del suicidio assistito, del diritto a suicidarsi richiesto allo Stato, come sfida diretta al cristianesimo, ovvero alla visione sacra dell'uomo, alla visione che difende la vita, la sua inviolabilità, che combatte l'autodeterminazione radicale. Ancora una volta la cultura della morte sfida i cristiani.
"Quello che è sicuro è che la pratica di stato del suicidio assistito", dice Giuliano, "la pratica di business e questa generale messa in scena come messaggio culturale significa una cosa sola: via Cristo dalla faccia della terra, via le beatitudini, via il Vangelo, via quell'idea e quella concezione della persona umana per cui c'è qualcosa di misterioso che non è riducibile alla nostra libertà, al nostro potere di fare della cose". E ribadisce la sua posizione: "Io sono di questa scuola, nel senso che non si regge il mondo occidentale su queste idee estreme, radicali di autonomia dell'individuo, di potere nichilista, annientatore dell'individuo [...]. In molti hanno sostenuto questo atto di libertà per sradicare il cristianesimo dalla terra. Dal punto di vista della mia felicità personale, della mia coscienza", dice infine, "preferirei che restasse".