Anna Lombroso per il Simplicissimus
Macché scuse, macché autocritica. Strafottente, spudorato, svergognato, tracotante, impudente il discorso di dimissioni del ministro Lupi è stato a un tempo una lectio magistralis sulla “morale” di una plutocrazia impegnata a privatizzare costituzione, rappresentanza, democrazia, e che di galantuomo, come ha avuto modo di ricordare, conosce solo il tempo, chiamato prossimamente a giudicare l’operato dell’uomo e del politico, pronto a ridiscendere in campo quando la caligine dello scandalo si sarà diradata, in quanto vittima sacrificale inspiegabilmente obbligata a un gesto inconsueto, anomalo, eccezionale. E dall’altro è stato la riconferma di una ideologia e di un programma di governo, per ricordare che lui era stato messo là a tracciare il solco, che la betoniera era Incalza, sfidando chi verrà dopo di lui a seguirne le tracce “per il bene del governo” e della coalizione, e come dubitarne se l’interim intanto se lo prende e custodisce il premier, giustizialista, moralizzatore e rottamatore ad intermittenza, in casa e in famiglia, intendendo per essa babbi bancari, sottosegretari fedeli, manager dinamici, finanzieri finanziatori, utili idioti.
Con tangentopoli non sono morti i partiti, anzi si è creato il terreno favorevole al nutrimento del partito unico, di un ceto senza principi, senza valori, senza vocazione, senza idee, ma superdotato invece di ambizione smodata quanto l’avidità, ben saldo grazie all’appartenenza o all’ammissione alla cerchia padronale, nella quale valgono solo a fondamenti potenti: fidelizzazione, mercificazione, sopraffazione, corruzione, clientelismo, familismo. E infatti la sua “morale” è quella mafiosa del rispetto dovuto a chi sta sopra e della soperchieria nei confronti di chi sta sotto, perché immeritevole, estraneo, diverso, della devozione alle divinità del profitto anche criminale, della fedeltà alla cricca, alla “famiglia”, ai padrini, della selezione del personale basata su criteri di ubbidienza, subordinazione, docilità, consolidata dal senso infinito e irremovibile della immunità cui segue l’impunità, anche stavolta messa in discussione da equilibri interni al branco, da lotte intestine che nulla hanno a che fare con la legalità, con la legittimità e nemmeno con l’opportunità.
Si, il governo ha perso il Lupi, ma non rinuncia certo ai suoi vizi: infatti il dimissionario ha lanciato un avvertimento nemmeno tanto trasversale, da patron dello Sblocca Italia, da Prometeo indomabile del fuoco futurista e dinamico che illumina la crescita alle porte con un’alta velocità più potente e progressiva dell’Autostrada del Sole, da Grande Costruttore di edilizia e benessere, ripetendo la litania mille volte ripetuta delle magnifiche sorti di uno sviluppo dissipato, illimitato, sgangherato, tirato su con il cemento e scavato come fanno le talpe che erodono il terreno e lo avvelenano. Attorniato dalle sfingi immote del suo partito, Lupi ha offerto il suo testamento in modo che ne sia dimostrato il carattere di documento programmatico, per il coronamento del disegno perverso dello Sblocca Italia, un inventario di investimenti destinato alla distruzione ambientale tramite opere faraoniche che non occorre nemmeno fare: finora solo l’8% è stato realizzato, a dimostrazione che è più redditizio andare a rilento, lucrare sui ritardi e il rinnovo di incarichi, trasformare ogni intervento in urgenza, così da rientrare nelle leggi obiettivo, pensate per ricreare il moto perpetuo della corruzione, per convertire ogni azione in emergenza legittimando misure eccezionali, licenze speciali, commissari straordinari. Come per l’affermazione di quella “contrattazione urbanistica”, il nuovo stile promosso proprio dall’ex per favorire rendite private, per svuotare di poteri i comuni, per avvilire le competenze dei soggetti di sorveglianza, per appagare appetiti speculativi e per punire con l’esproprio chi vi si oppone. C’è poco da dire: dobbiamo farci cacciatori.