Coach Phil Jackson si ritira, o così pare. Esce di scena nella maniera peggiore, con il primo sweep della carriera e un umiliante -36 in gara 4 a Dallas contro i Mavericks. Un ko immeritato per il “Maestro Zen“, l’allenatore con il maggior numero di titoli vinti in carriera e considerato uno dei primi coach Nba ogni epoca. 11 anelli, 6 con i Chicago Bulls (1991, 92, 93, 96, 97, 98) e 5 con i Los Angeles Lakers (2000, 2001, 2002, 2009, 2010), 4 riconoscimenti come allenatore dell’anno, 20 stagioni sempre con record vincente, compresa l’ineguagliabile 72-10 dei Bulls dell’annata 1995-96, e il maggior numero di vittorie da coach dei Lakers. A questo si aggiungono due anelli da giocatore con i New York Knicks dei primi anni ‘70 con Walt Frazier e Willis Reed. Uscirà davvero di scena? Diverse questioni lo fanno pensare: i problemi fisici alle anche, lo stress di una stagione massacrante con continui spostamenti, la gestione della squadra più osservata d’america e il desiderio di relax nel “suo” Montana al fianco della “sua” Jeanie Buss.
E poi c’è questa pesante sconfitta, che fa venire alla mente gli altri due ritiri: al termine della stagione 1998 decise di lasciare in corrispondenza dell’addio di Michael Jordan e dell’arrivo del lockout. Ma soprattutto nel 2004 lasciò nuovamente dopo la brutta sconfitta dei Lakers in finale contro i Pistons, dopo un campionato fin troppo chiacchierato per i dissidi con Kobe Bryant e uno spogliatoio invivibile. Il ritiro alla fine di questa annata era già in cantiere e il 4-0 subito dai Mavericks ha solo confermato le sue intenzioni. Potrebbe anche darsi che fra uno o due anni decida di rimettersi in pista, ma al momento, a 66 anni, non è ipotizzabile e di certo non lo farebbe ai Lakers.
Phil Jackson è un personaggio unico, c’è poco da fare. Cresciuto nello sperduto Montana in una famiglia di pastori cristiani di origini norvegesi, vive un’infanzia quasi da eremita sotto i rigidi dettami della spiritualità dei genitori. Niente tv, niente balli, niente “distrazioni pericolose“. Il giovane Phil cresce e diventa un giocatore Nba: 13 stagioni, sempre nella Grande Mela. 11 ai Knicks, con due titoli, e due ai Nets, per chiudere la carriera da giocatore. Nel 1982 inizia la vita da coach: niente Nba, per il momento. Bisogna fare la gavetta e parte dagli Albany Patroons, nella Cba. 117-90 il record al piano di sotto gli vale una chiamata dai Chicago Bulls nel 1987; due anni dopo subentra a Doug Collins e lì inizia il mito. Dieci stagioni, la triple post offense del guru Tex Winter, Michael Jordan, Scottie Pippen, il “Repeat of the Three-peat“, il 72-10: una dinastia con la squadra più forte di sempre.
Si ritira Air Mike e si ritira pure il Maestro Zen. Cosa? Jackson segue le dottrine di spiritualità e meditazione dell’oriente e queste influiscono sul suo modo di allenare. Punta sul concetto di squadra servendosi di massime zen, consegna dei libri da leggere ai giocatori per sviluppare la loro personalità interiore e si confronta con i suoi e la stampa in maniera unica, per certi quasi irridente. Ma tutto ciò fa parte del personaggio, così come il fatto che faccia coppia fissa con Jeanie Buss, la figlia del proprietario dei Lakers. Quasi 30 anni meno di lui, ex coniglietta di Playboy ed ora vicepresidente dei Lakers. Ah già, i Lakers….
Dopo una stagione di pausa, nel 1999 torna ad allenare e lo fa con i Lakers. Fa fare a Kobe Bryant e Shaquille O’Neal il salto di qualità e li porta al titolo, anzi, titoli. Sono tre di fila. Il quarto non arriva per la sconfitta nelle Finals contro i Pistons. Ed è un tonfo pesante giunto al termine di una stagione contorversa: lo spogliatoio, con Gary Payton e Karl Malone oltre a Kobe e Shaq, esplode. Jackson si ritira e scrive un libro, “L’ultima stagione”, in cui racconta i retroscena di quella annata e si scaglia soprattutto contro Kobe Bryant, indicandolo come egoista, inallenabile e desideroso di protagonismo.
Un anno dopo coach zen ritorna ai Lakers, in piena ricostruzione attorno a Kobe Bryant, l’inallenabile. Il binomio però è vincente, i gialloviola tornano a sedersi sul trono della Lega con il titolo del 2009 e quello dell’anno passato nella mitica finale coi Celtics, rivincita della sconfitta nel 2008. Adesso sembra davvero finita. E lo ha ribadito lo stesso Jackson dopo il disastro di gara 4 a Dallas:
“Questa è stata la mia ultima partita da allenatore, e sono contento che sia finita. Me ne vado con una nota di demerito, quei 35mila dollari di multa che mi ha inflitto l’Nba. Ma come disse Richard Nixon, ora non potrete più prendermi a calci. Sapevo che sarebbe stato difficile ripetersi, per via del ginocchio di Kobe e della nostra squadra un anno più vecchia. Siamo tornati in finale due volte dopo aver perso nel 2008, e per un team di basket è davvero tanto da sopportare. Sotto tutti i punti di vista“.
Grazie di tutto Coach, sei una leggenda. Goditi la vita, te lo meriti!